[NuovoLab] Gay e Medioriente: Quali Scenari?

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著者: Edoardo Magnone
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To: forumgenova
題目: [NuovoLab] Gay e Medioriente: Quali Scenari?
GAY E MEDIORIENTE: QUALI SCENARI?
di Roberto Schinardi

da http://www.gay.it/channels/view.php?ID=22212

La presentazione di "FUORI FUOCO", documentario di Ernaldo Data e Daniele
Salaris, apre il dibattito su temi scottanti quali il World Pride a Gerusalemme
e l'omosessualità in Palestina.

TORINO - Si è svolto presso il Museo Diffuso della Resistenza un interessante
dibattito in occasione della presentazione del video 'Fuori fuoco' di Ernaldo
Data e Daniele Salaris prodotto da Paolo Hutter, classificatosi al secondo
posto ad Anteprima Spazio Torino e selezionato quindi in concorso al 24° Torino
Film Festival. Questo significativo documentario, diviso in tre capitoli,
affronta la questione palestinese durante la guerra in Libano attraverso la
testimonianza di quattro giovani lesbiche israeliane, un gruppo di 'religious
queers' e una drag queen araba abitante però a Jaffa.

Per Aurora Tesio, assessore alle Pari Opportunità e alle Relazioni
Internazionali della Provincia di Torino, l'opera «sollecita molte riflessioni
sulla situazione israeliano-palestinese, sulla pace, sulla paura che c'è da
entrambe le parti, sul ruolo delle tre religioni che agiscono nell'area di
Gerusalemme e hanno un atteggiamento discriminatorio relativo ai diritti delle
scelte individuali. Questo documentario, visti i contenuti, può essere proposto
nel 2007 per l'"Anno Internazionale delle Pari Opportunità per Tutti e Tutte"».

Edoardo Segre della Comunità Ebraica di Torino spiega di aver collaborato al
progetto «per tradurre le parti in ebraico. Abbiamo visto che le tensioni
nascevano non quando si parlava di Gay Pride ma di guerra. Per me il titolo
vuol dire anche che il Pride era fuori dal fuoco delle armi. E Gerusalemme ha
permesso ai gay di manifestare». «Il film mi è piaciuto e mi ha stupito»
sostiene Nizar Mansour di 'Albaiader', la comunità palestinese di Torino. «Il
popolo palestinese e quello israeliano sono condannati a vivere insieme:
dobbiamo aiutarci tutti quanti. Io sono palestinese ma mi sento israeliano,
sono di Nazareth, ma sono anche italiano: la drag queen del film non viene
accettata non perché gay ma perché palestinese».

«È una delle rare volte che vedo un prodotto non fatto da registi israeliani
underground - spiega Enzo Cucco del comitato Pride - e che non si accontenta
dei luoghi comuni: il gay pacifista, assolutamente di sinistra, contro tutte le
guerre. Giusto e sacrosanto, ma si tratta di un luogo comune e non la sola
faccia dell'omosessualità e della transessualità: si vede bene anche l'altra
parte. Ci sono israeliani convinti di esser membri di questo stato e della
Storia. Lo sforzo che bisogna fare è fare un passo oltre gli stereotipi: se ci
si limita a questa posizione non si fanno domande autentiche rispetto a questa
realtà. Questo film dice che Israele è un paese normale rispetto ai diritti
GLBT con una grossa parte della popolazione omofobica esattamente come in
Italia. La gerarchia del rabbinato ha posizione ortodosse ma la società è molto
laica in Israele come nelle comunità della diaspora. Siamo obbligati
nell'opposizione tra israeliani e palestinesi ma anche linguisticamente è un
errore: molti israeliani sono di origine palestinese. Gli omosessuali e le
donne sono le categorie più a rischio anche da noi. Io sono intimamente
anticlericale: non c'è una religione che è meglio o peggio di un' altra.
Ricordiamo che a Gerusalemme si festeggia il Pride da molti anni».

L'assessore al decentramento e all'area metropolitana della città di Torino
Marta Levi ricorda che «i temi principali della vita politica e sociale
israeliana sono ricchi di contraddizioni: c'è chi vuole morire in guerra e chi
si rifiuta di mandare i figli nell'esercito. Israele è un paese giovane e la
società israeliana è più radicale della nostra: i laici sono più laici e i
'teocratici' sono più religiosi. La parte più laica che rivendica i diritti
civili ha una certa forza». Gigi Malaroda del Circolo Maurice sottolinea infine
che «se la normalità è la guerra bisogna metterla profondamente in discussione.
Il Pride non è solo Gay Pride. Le barriere architettoniche che segnano il muro
che divide le terre, la gente, le case non possono parlarci di un paese
normale: è una ferita aperta, continua, che si approfondisce, che diventa
sempre più marcata. Le autorità religiose bisticciano continuamente anche
perché le religioni monoteiste tendono a imporre un elemento di inimicizia nei
confronti della differenza. Per me 'Fuori fuoco' vuol dire 'fuori fuoco
identitario'».