[NuovoLab] FW: Intervista di Raya Cohen sui Refusnik. Dichia…

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著者: Elisabetta Filippi
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To: forumgenova
題目: [NuovoLab] FW: Intervista di Raya Cohen sui Refusnik. Dichiarazione del refusnik Omri Evron



>From: Fiamma Bianchi Bandinelli <fiammabianchibandinelli@???>
>To: Amicizia Italia-Palestina:;
>Subject: Intervista di Raya Cohen sui Refusnik. Dichiarazione del refusnik
>Omri Evron
>Date: Tue, 24 Oct 2006 02:10:01 +0200
>
>    I refusnik sono una realtà importante di Israele. Esprimono la coscienza 
>morale della società civile israeliana che rifiuta di essere complice 
>dell'occupazione e della spoliazione spietata del popolo palestinese, con 
>comportamenti spesso classificabili come crimini di guerra.
>    Anche se il loro numero è relativamente esiguo, sono presenti in tutti gli 
>strati di questa società estremamente militarizzata: giovani in attesa di 
>chiamata alle armi, soldati, specialisti dell'esercito, riservisti, cioè 
>adulti che hanno una loro professione ma sono tenuti a tenersi pronti a un 
>richiamo alle armi.
>    Scelgono di seguire i loro principi morali anche a costo di disubbidire 
>alle leggi dello Stato e agli ordini dei superiori, e per questo sono 
>puniti con il carcere, ma sempre un po' in sordina, perché lo "scandalo" 
>non sia conosciuto nel paese e all'estero; così le condanne sono 
>inizialmente di pochi giorni, ma ripetibili molte volte. Un primo modo di 
>aiutare i Refusnik è dunque far conoscere la loro vicenda.

>
>    Ecco qui la DICHIARAZIONE di Omri Evron, condannato inizialmente a 14 
>giorni di prigione nell'ottobre 2006, a cui segue una intervista sul 
>problema dei refusnik di Italo Arcuri a Raya Cohen (storica israelana che 
>vive e lavora in Italia e zia di Omri Evron) pubblicata su diario 21.net
>    http://www.diario21.net/PrintArticle.asp?ArticleID=20ottobre2006

>
>==============================================
>Dichiarazione di rifiuto
>di Omri Evron
>
> Tel Aviv 12 Ottobre 2006
>
>Io, Omri Evron, rifiuto di servire nell'esercito perché intendo restare
>fedele
>ai principi morali in cui credo. Il mio rifiuto di arruolarmi è un atto di
>protesta
>contro la lunga occupazione militare del popolo palestinese,
>un'occupazione che approfondisce e rafforza l'odio e il terrore fra i
>popoli.
>Mi oppongo alla partecipazione alla guerra crudele per il controllo
>dei territori occupati, una guerra condotta per proteggere le colonie
>israeliane
>e per mantenere l'ideologia del "Grande Israele".
>Rifiuto di servire un'ideologia che non riconosce il diritto di tutte le
>nazioni
>all'indipendenza e alla coesistenza pacifica. Non sono disposto a
>contribuire
>in alcun modo all'oppressione sistematica di una popolazione civile
>e alla privazione dei suoi diritti, così come essa viene effettuata
>dal regime dell'apartheid e dalle truppe israeliane nei territori occupati.
>Sono sdegnato per l'incarcerazione di milioni di persone dietro muri e
>checkpoint,
>e per la fame che ne consegue.
>Mi rifiuto di arruolarmi perché non credo che la violenza sia una
>soluzione
>e che la guerra porti la pace. Mi rifiuto di servire le industrie degli
>armamenti,
>le aziende globali, gli avidi appaltatori, i predicatori di razzismo
>e i cinici leader la cui attività è volta all'incremento della sofferenza,
>e che deprivano le persone dei loro diritti umani basilari.
>Il mio rifiuto serva a portare l'attenzione sul fatto che non tutti sono
>pronti
>a farsi indottrinare e cooptare per cause nazionaliste e razziste.
>Con questo atto voglio esprimere la mia solidarietà con tutti i
>prigionieri
>per la libertà in tutto il mondo. Mi rifiuto di credere alle bugie
>diffuse allo scopo di indurre divisioni e antagonismi fra i lavoratori
>delle due parti
> così che essi non possano allearsi nella lotta per i loro diritti.
>Vorrei che il mio rifiuto sia un messaggio di pace e di solidarietà e un
>appello
>a coloro che uccidono e sono pronti a farsi uccidere per interessi che non
>sono i loro,
>a deporre le armi e a unirsi nella lotta per un mondo più giusto.
>Sebbene sia conscio che questo atto costituisce una violazione delle leggi
>israeliane,
> mi sento tenuto a mantenere i miei valori democratici, umanistici ed
>egualitari.
>Tenere sotto un governo militare milioni di Palestinesi non è democratico.
>È mio dovere oppormi a qualunque legge che renda possibile
>privare altri dei loro diritti e della libertà, o trattarli con tale
>violenza
>da negare la loro umanità fondamentale.
>
>Rifiuto di uccidere! Rifiuto di opprimere! Rifiuto di occupare!
>Dichiaro la mia lealtà alla pace e rifiuto di servire la guerra e
>l'occupazione!
>
>==================================================================
>
>diario 21.net
>http://www.diario21.net/PrintArticle.asp?ArticleID=20ottobre2006
>
>L'Europa presti più attenzione e solidarietà ai refusniks
>
>Intervista di Italo Arcuri
>a Raya Cohen
>(storica israelana che insegna all'Università di Napoli)
>
>
>"Israele non riconosce il diritto all'obiezione di coscienza, per cui
>coloro che rifiutano di arruolarsi sono comunque convocati e inquadrati
>nell'esercito e subiscono le regole militari. Sono di solito processati per
>il rifiuto di un ordine militare e rischiano, in teoria, una sentenza
>severa (formalmente fino all’età di 45 anni) o sono umiliati e riformati in
>quanto mentalmente disabili". È quanto afferma Raya Cohen, docente
>israeliana di storia, che si occupa di storia ebraica contemporanea e che
>insegna all'università Federico II di Napoli, in un'intervista al nostro
>giornale, a proposito dei refusniks.
>
>
>Chi sono e cosa rischiano i refusniks?
>
>Israele non riconosce il diritto all'obiezione di coscienza e non prevede
>servizio civile alternativo. Coloro che rifiutano di arruolarsi sono
>comunque convocati e inquadrati nell'esercito e subiscono le regole
>militari. Sono di solito processati per il rifiuto di un ordine militare e
>quando escono ricevono un nuovo ordine e così via. Rischiano, dunque, in
>teoria, una sentenza severa (formalmente fino all'età di 45 anni) o sono
>umiliati e riformati in quanto mentalmente disabili. Tutti coloro che
>rifiutano il servizio militare per ragioni politiche sono chiamati
>"rifusniks". Nel 2003, sullo sfondo della brutale repressione
>dell'Intifada, dopo aver passato un anno in carcere, 5 rifusniks sono stati
>giudicati tutti insieme da un tribunale militare. Sono stati condannati per
>un altro anno di carcere e poi riformati, alla fine, come "inadatti". Da
>allora sembra che l'esercito cerca di non arruolarne più di uno alla volta,
>perché così i rifusniks cedono prima. Di solito, l'esercito cerca di
>evitare il confronto con gli obiettori e li dichiara "inadatti", tramite
>una commissione militare. Esiste anche una commissione militare interna, a
>cui è difficilissimo avere accesso, che ha riformato qualche soldato in
>quanto pacifista "totale", cioè, che non fa critiche specifiche contro
>l'esercito israeliano. Solo quelli che insistono sul loro diritto di essere
>riconosciuti come obiettori di coscienza, perché non vogliono partecipare
>all'occupazione israeliana, sono processati. Essi rimangono in carcere
>finché sono sostenuti all'esterno dai movimenti, per poi continuare la loro
>lotta pacifista contro l'occupazione".
>
>Quale è stato il percorso che ha portato a dichiararsi "refusniks" i
>ragazzi recentemente incarcerati?
>
>“Nel marzo del 2005, oltre 250 liceali si sono organizzati
>indipendentemente da altri gruppi e hanno firmato una lettera aperta nella
>quale hanno dichiarato di rifiutare "di prendere parte alla politica di
>occupazione e di oppressione" e hanno chiesto di servire la società
>israeliana in modo alternativo. Fra essi c'erano i 7 incarcerati e tanti
>altri che sono stati riformati. Da storica, posso dire che mi stupisce il
>fatto che giovani che sono stati educati nelle scuole d'Israele, i cui
>confini riconosciuti sono letteralmente spariti dalle carte geografiche,
>che studiano a "Shomron, Jehuda e Gaza", nomi biblici dei territori
>Palestinesi occupati, ai quali non insegnano che "sotto Israele c'è la
>Palestina", cresciuti tra eventi violenti, atti di terrorismo e "uccisioni
>mirate", sentano il bisogno personale di non partecipare alla repressione
>dei palestinesi. Molto spesso sono giovani che non hanno mai incontrato dei
>palestinesi, ma sognano un futuro non violento a loro e a se stessi. Il
>rifiuto di arruolarsi è una decisione difficile, di coscienza appunto,
>perché nell' "etos" israeliano l'esercito è la garanzia per la vita
>nazionale, quello che deve affrontare le minacce militare sull'esistenza
>dello Stato. Ma nessuno in Israele considera che controllare la vita di 4
>milioni di Palestinesi contribuisca alla sicurezza di Israele stessa. La
>Palestina non ha un esercito e non possono minacciare la sicurezza dello
>Stato. Invece, da 40 anni l'esercito israeliano è coinvolto in repressioni,
>in "guerre sporche" in mezzo alla popolazione civile palestinese, che non
>può risultare una "vittoria". La difficile esperienza che subiscono i
>soldati nell'affrontare la popolazione civile provoca un "rifiuto
>differenziale": un movimento di "soldati contro il silenzio" che denuncia i
>crimini di guerra a cui i soldati (riservisti) sono stati testimoni; a
>gennaio 2002, 650 ufficiali hanno deciso di rifiutare di servire nei
>territori occupati; nel settembre del 2003, 27 piloti hanno rifiutato di
>eseguire un ordine illegale e immorale.
>
>Il loro atto di ribellione e di coraggio come viene percepito dall'opinione
>pubblica israeliana ed europea?
>
>La simpatia che l'Europa può portare nei loro confronti è molto importante,
>dato che si tratta innanzitutto di resistenza difficile dal punto di vista
>psicologico e sociale, e non tanto fisica. L'isolamento di tutti quelli che
>protestano fa sì che alla fine anche essi cedano e si chiudano dentro, nel
>loro mondo personale, sfuggendo alla politica.
>
>C'è qualcosa che l'Italia e l'Europa possono fare? Secondo lei, storica,
>che conosce molto bene la realtà israeliana, come si può risolvere la
>questione israelo-palestinese?
>
>Il problema è che mediamente in Europa ci si interessa poco di questa
>resistenza interna e pacifica. Ciò avviene per due motivi: il primo, perché
>si tratta di poche voci e non di una forza "che conta"; il secondo, perché
>si tende ad accettare la repressione militare dei palestinesi, proiettando
>su di essa la paura che crea la guerra contro il terrorismo in Europa. Il
>primo motivo mi sembra sbagliato perché non c'è un'opposizione più
>pertinente di questo rifiuto, dato che solo grazie all'esercito, cioè alla
>politica di forza, Israele può imporre le sue "soluzioni" al conflitto con
>i palestinesi. Il secondo motivo mi sembra anche sbagliato, perché, almeno
>fino ad ora, il terrorismo palestinese è nutrito dall'occupazione
>israeliana e a dall'isolamento economico che è stato imposto, piuttosto che
>dal terrorismo internazionale. Colui che cerca di ridurre la possibilità
>che diversi movimenti sovranazionali trovino grande eco nei territori
>occupati deve assicurare che la situazione politica ed economica rafforzi
>il quadro nazionale palestinese. Uno stato palestinese sovrano, accanto ad
>Israele, ridurrà la violenza fra le due parti al minimo e permetterebbe di
>trovare una coesistenza in futuro. Non esiste un'altra soluzione, dato che
>nessuna parte è abbastanza forte per imporre una soluzione all'altra, ed
>entrambe non hanno un'altra patria per andarsene.
>
>Un suo nipote, in Israele, adesso, rischia di finire in prigione, perché
>refusniks. Proprio partendo da questa sua esperienza diretta, vuole
>lanciare un messaggio all'opinione pubblica italiana?
>
>Mio nipote, Omri Evron, sta scontando 14 giorni di carcere militare in
>isolamento; ha rifiutato di indossare la divisa ed è rimasto in mutande per
>3 giorni (Haaretz, 18.10.2006). Se dovessi lanciare un appello non sarebbe
>certo solo per mio nipote ma per la liberazione di tutti prigionieri
>pacifisti, israeliani e palestinesi, che sono imprigionati solo perché si
>sono opposti all'occupazione. Come scrive Evron nella sua lettera: "Il mio
>rifiuto serva a portare l'attenzione sul fatto che non tutti sono pronti a
>farsi indottrinare e cooptare per cause nazionaliste e razziste". In
>particolare, mi rivolgerei ad Amir Peretz, il ministro della difesa:
>l'unico che possa riformare un soldato per ragioni ideologiche.
>====================================================
>
>Dunque Omri Evron sta scontando i (primi) 14 giorni di carcere militare, in
>isolamento perché ha rifiutato anche di indossare la divisa (è rimasto in
>mutande per 3 giorni e non ha diritto di avere libri; intanto lo hanno
>processati di nuovo per rifiuto di indossare la divisa ...). Insieme a lui
>c'è un altro giovane, Yakir Perez, che anche lui ha rifiutato di
>arruolarsi.
>
>Come possiamo aiutarli?
>
>1. diffondere le notizie.
>
>2. scrivere e-mail
>    -al ministro della difesa, l'unico che può reformarle per motive di 
>coscienza.
>Amir Peretz,  Ministro della Difesa
>Ministero della Difesa  <sar@???>
>Fax 00 972 3 696 27 57
>00 972 3 691 69 40
>37 Kaplan St.Tel Aviv 61909, Israel
>(con copia eventualmente alla zia Raya, Raya Cohen <rayacn@???> )

>
>    - all'Ambasciata Israeliana a Roma:   <amb-sec@???>
>Fax 06 36198555
>  (con copia eventualmente alla zia Raya, Raya Cohen <rayacn@???> )

>
>                    3. protestare davanti l'ambasciata, chiedendo il rispetto dei diritti 
>degli obietori di coscienza.

>
>============================================
>Per altre informazioni, ecco diversi siti di rifusniks:
>
>Sito di Yesh Gvul :    www.yeshgvul.org/
>Sito di New Profile:      www.newprofile.org/


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