Autore: Vitiello Mario Data: To: intergas Oggetto: R: [Intergas] Re: promozione schedature
Domande per riflettere.
E per coniugare i metodi con il reale obiettivo.
Non è forse vero che il questionario (spesso multiple-choice) è un metodo
ultra-rapido di indagine? Distante dalla lentezza delle relazioni e dalla
profondità dei rapporti che il consumo critico predilige?
Non è forse vero che i questionari in genere si interessano delle
applicazioni pratiche (cosa e come comperi, come e quanto mangi) e limitano
le domande su motivazioni e storia a due o tre punti?
Come si fa a raccontare di una scelta economica, politica, sociale, in tre
domande in cui lo spazio per ciascuna risposta è 1 riga?
Non è forse vero che i questionari sono prodotti dalle università o da
istituti simili, e sono spesso finanziati da committenti (società di
marketing, ...) la cui tracciabilità è difficoltosa e spesso ostacolata?
Come si interpreta in questo caso l'esigenza di conoscere tutta la filiera?
Non è forse vero che da sempre il mondo del consumo critico ha scelto di
parlare di sé nella condivisione e nella partecipazione, senza delegare ad
altri, in forme mediate e banalmente sintetizzate, la propria
rappresentazione? Altrimenti perché ai GAS esistenti è chiesto
l'accompagnamento a GAS nascenti? Non sarebbe più facile scrivere un bel
manuale o fare una bella campagna pubblicitaria?
Non è forse vero che tutta la storia del movimento (nonviolento) ha
privilegiato una forte assonanza tra metodi ed obiettivi, ritenendo che il
metodo utilizzato è parte dell'obiettivo da raggiungere? Se utilizzo un
metodo inventato 50 anni fa dalle prime multinazionali, se i lavoratori che
lo fanno sono precari, come accordiamo strumenti e finalità?
Non ho pregiudizi contro i questionari. Ma preferisco capire.
Diciamo che ho post-giudizi...