Auteur: ugo Date: À: forumgenova Sujet: [NuovoLab] I carabinieri andarono a Guantanamo a interrogare
(torturare?) i prigionieri
da liberazione
I carabinieri andarono a Guantanamo a interrogare (torturare?) i prigionieri
Benemerita e polizia a Guantanamo. Ossia anche le forze dell’ordine italiane
sono arruolate, fin dall’inizio, nella polizia globale della guerra permanente.
Tutto fuori da qualsiasi legalità. Se fosse confermata la testimonianza di
ieri, resa da un maresciallo dell’Arma al processo milanese contro tre presunti
terroristi algerini, lo scenario di incostizionalità, determinato dalla
missione - mai autorizzata da un magistrato - nel lager Usa aperto in una base
a Cuba, si macchierebbe anche dell’aggravante di «aver legittimato illegalità,
riconosciuta da tutti a livello internazionale, di quel carcere». Milziade
Caprili, vicepresidente del Senato, e membro, per il Prc, del Copaco, il
comitato di vigilanza sui servizi segreti, chiede che Prodi e il suo ministro
della Difesa, Parisi, riferiscano immediatamente al parlamento sulle ammissioni
di un maresciallo dei Ros, il reparto operativo dei carabinieri, attivissimo
anche sul fronte interno della guerra globale. Mentre quattro Ros erano a
Guantanamo, nelle stesse ore, veniva sfornato il discutibile teorema di Cosenza
contro una ventina di attivisti no global arrestati con azioni spettacolari
perché ritenuti eversori dell’ordinamento economico. Era il novembre 2002.
«Andammo in quattro a Guantanamo, tutti del Ros, a interrogare detenuti nel
campo nel novembre del 2002, su mandato del comando generale nella persona del
generale Ganzer. Non riferimmo all’autorità giudiziaria nulla sulla nostra
attività perchè nessuna delle persone che sentimmo rispose alle domande e
comunque a Guantanamo venimmo a sapere che eravamo gli ultimi italiani a
recarsi in missione per svolgere attività investigativa». Questa la rivelazione
choc di un maresciallo dei carabinieri nell’aula della prima corte d’assise di
Milano, nel corso di un processo per terrorismo internazionale a carico di tre
algerini, tra cui l’ex imam di Gallarate (Varese), Zergout.
E prima dei Ros, passarono dal campo di prigionia - al centro di un’iniziativa
internazionale di denuncia per le condizioni extralegali di detenzione - pure
uomini della Polizia di Stato, ossia uomini di Gianni De Gennaro, il più
“americano” tra i capi della polizia.
Se davvero lui e i suoi omologhi di Viale Romania, sede del comando generale
dell’Arma, hanno autorizzato interrogatori “extra-legem” di tute arancioni, i
detenuti nel lager di Guantanamo, dovrebbero «dimettersi immediatamente», dice
Gigi Malabarba, già membro del Copaco, per Rifondazione, nella precedente
legislatura: «Nessun processo può essere tenuto sulla base di elementi estorti
con la tortura, senza ordine di magistrati e senza presenza di difensori».
«Facemmo solo colloqui informali - ha detto il maresciallo in tribunale, quasi
minimizzando - abbiamo preso appunti e redatto dei report. Da questi colloqui
intendevamo capire se esistesse un rischio di attentati in Italia». Nulla di
quelle attività «è stato riversato» nel processo in corso a Milano.
Tra gli addetti ai lavori c’è chi minimizza facendo notare la differenza tra
“colloquio investigativo” di un detenuto già inserito in un processo e disposto
dal magistrato e la “frequentazione, da parte degli investigatori, di carceri e
luoghi di detenzione” per registrare informazioni d’ambiente, un’attività
lecita e che non prevede alcuna autorizzazione da parte della magistratura. Che
Guantanamo non sia San Vittore, però, è un dettaglio che non sfiora gli
apparati repressivi del Belpaese. Così come resta il mistero su come avrebbero
utilizzato i dati visto che, «nessuna autorità giudiziaria italiana - spiega il
sostituto procuratore Elio Ramondini - avrebbe mai accettato di mettere agli
atti di un’inchiesta l’eventuale contenuto di quei collqui».
E il mistero resta anche su come furono raccolti i dati. Per uno dei
difensori, «è la conferma che tanti investigatori italiani hanno usato fonti di
discutibile liceità ed eticità giungendo formalmente a legittimare, su espressa
autorizzazione dei vertici di Ros e Ps, una struttura illegale come Guantanamo
e andando a pescare informazioni su soggetti notoriamente sotto tortura».
Proprio ieri il governo tedesco ha ammesso che alcuni soldati della Bundeswehr
hanno avuto un «contatto verbale» con il turco-tedesco Murat Kurnaz - il
cosiddetto Talebano di Brema, detenuto in un campo afghano dagli americani -
che accusa invece da parte sua i militari tedeschi di averlo maltrattato.
Bontà loro, i Ros avvertirono, ma solo al ritorno e «in via informale, tra una
battuta e l’altra» due magistrati di Torino, Tatangelo e Ausiello, che, a detta
del maresciallo «hanno fatto finta di non sapere» della spedizione a
Guantanamo.
Uno stupore vero, invece, è stato mostrato da giudici togati e pm milanesi e
dagli avvocati della difesa mentre il militare rivelava dei sei o otto detenuti
avvicinati senza avvocati presenti.
Di “gite” a Guantanamo di uomini della digos di Milano e Torino s’era parlato
anche nel capitolo relativo a Es Sayed della più ampia vicenda del rapimento di
Abu Omar. Anche allora ombre inquietanti di un’attività «illegale e autonoma di
delicati apparati di sicurezza», continua Malabarba. Finora, però, è stato
enfatizzato solo il ruolo dei servizi e sottaciuto quello delle forze di
polizia. Anche nel caso dell’imam di Via Jenner, rapito da un bel po’ di agenti
della Cia, c’è la firma di settori della polizia giudiziaria italiana, in
particolare dei Ros di Ganzer, per l’esplicita ammissione di un suo agente.
Rispunta con forza lo scenario di uno scontro tra apparati, col “partito
americano”, quello di De Gennaro, finora vincente. Ma che le forze dell’ordine
italiane abbiano legittimato una struttura illegale che ha fatto indignare
mezzo mondo è un fatto di una gravità assoluta. Tuttavia, al momento in cui
Liberazione va in macchina, ci sono solo dichiarazioni di esponenti del Prc tra
i dispacci di agenzia.
Checchino Antonini (giovedì 19 ottobre)