[NuovoLab] rassegna stampa su manifestazione contro grandi o…

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Szerző: antonio bruno
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Tárgy: [NuovoLab] rassegna stampa su manifestazione contro grandi opere a Roma

liberazione 15.10.06

In migliaia sono arrivati a Roma da tutte le regioni della penisola.
Vogliono difendere "il giardino", la bellezza dell'Italia. Non ci guadagnao
niente per loro. E' l'immagine rovesciata dei professionisti no-tax e
dell'egoismo sociale della destra
No Tav-Ponte-Mose: in piazza non per soldi ma per passione
Checchino Antonini
Migliaia di persone hanno manifestato ieri a Roma. Erano i no Ponte, i no
Tav, i no Mose. Chi aveva visto i “professionisti” scesi in piazza un paio
di giorni prima, e che contestavano la finanziaria più o meno nelle stesse
strade, è rimasto colpito. Quelli cosa volevano? Soldi. Cosa difendevano? I
loro interessi corporativi. Il popolo che è sceso in piazza ieri era
esattamente l’opposto: non aveva da difendere privilegi, interesssi di
gruppo, di casta, di ceto, ma semplicemente l’interesse generale e
l’importanza della bellezza, dell’ambiente, del “Giardino”. Da una parte i
valori della evasione fiscale dall’altra i valori del Giardino. Due idee
opposte di lotta politica.

A far fede che fosse una manifestazione autorganizzata, che partiva dal
basso, c’è la cifra sulla partecipazione fornita dagli organizzatori:
dodicimila. Sicuramente erano di più, ma quel numero non ha le malizie di
altre somme roboanti fornite in altre occasioni. Sono venuti a Roma da
tutte le regioni per ricordare a chi l’ha scritto il programma dell’Unione.


igliaia di persone da tutta Italia a Roma per far cancellare la legge
obiettivo
«Fermate le grandi opere, vogliamo scendere»
Checchino Antonini
Ci si potrebbe scrivere una guida alternativa del Belpaese sui paesi e le
valli nominate dagli striscioni che attraversavano ieri le vie di Roma
chiedendo di cancellare la legge obiettivo sulle grandi opere. Se la
dovessero scrivere i protagonisti della manifestazione sarebbe un libro
pieno di storie di democrazia partecipata, di sindaci che si riuniscono con
le comunità che li hanno eletti, e si mettono in rete con altre comunità e
altri movimenti per negoziare un futuro ospitale, anche per le generazioni
future. Se la dovesse scrivere il “partito” trasversale delle grandi opere
sarebbe, quella guida, una galleria degli orrori, di vallate viste dai
cavalcavia, di falde acquifere sconquassate dalle trivelle, di bucati
anneriti dalle polveri sottili e polmoni avvelenati. «Senza risparmiare
simboli storici delle città», denuncia, reggendo uno striscione in difesa
dal Pincio, minacciato da un parcheggio, un’ambientalista della prima ora
come Annamaria Procacci.

Chi li vuole sminuire li accusa di essere comitati “Nimby” - acronimo
americano per designare coloro che si interessano solo del proprio
giardino. «Ma stavolta - avverte Roberto Musacchio, capogruppo Prc a
Strasburgo - i giardini si sono messi insieme. E’ l’Italia un solo, grande
giardino».

Nel programma dell’Unione si legge, a occhio e croce, che mai più opere
pubbliche saranno calate sulla testa della gente. Perché sia possibile va
cancellata «l’antistorica e antidemocratica legge obiettivo che, invece, Di
Pietro, nel Dpef, ha definito “grande novità amministrativa”», spiega,
mentre marcia su Via Cavour, Antonio Ferrentino, sindaco diessino di
Sant’Antonino e presidente della comunità montana della Bassa Valsusa.
Sindaco No Tav, come parecchi altri in testa al corteo che scende verso il
Colosseo, fascia tricolore e bandiera bianca con la croce rossa che sbarra
il passaggio di un treno. No Tav, No Ponte, No Mose. «Un fronte inventato
dalla legge che stabilisce tutte quelle opere e cancella la valutazione di
impatto ambientale», dice Stefano Lenzi del Wwf, portavoce lillipuziano ai
tempi di Genova, oggi esperto di infrastrutture per l’associazione del
Panda. Intorno c’è gente di tutte le età, spesso intere comunità che
marciano in buona compagnia di Legambiente, Cobas, Action, Forum
ambientalista, Rifondazione, Sinistra europea, verdi ecc... «Sono parte del
popolo dell’Unione», dice Paolo Ferrero, l’unico ministro che passa a
salutare. Il suo collega all’Ambiente, Pecoraro, è a Ginevra al congesso
europeo dei verdi ma ci sono un po’ di vice e sottosegretari, il verde
Cento; Patrizia Sentinelli, vice di D’Alema agli Esteri, vecchia conoscenza
del popolo ambientalista, che sale sul palco e assicura: «Non si può fare a
meno della volontà delle comunità». Ma al governo «c’è un’anima
“sviluppista-industrialista” e una che crede in un altro modello di
sviluppo - segnala Laura Marchetti, sottosegretaria all’Ambiente - la forza
dei movimenti può fare la differenza, governare non significa essere
espressione dei poteri forti». Questa connessione tra tutte le vertenze
ambientali «è un segnale importante, utilissimo in questa fase», dice,
sfilando a fianco del sindaco di Acerra (No inceneritore) Tommaso Sodano,
presidente della commissione Ambiente di Palazzo Madama. Sta pensando al
dibattito sulla la delega ambientale, eredità del ministro Matteoli che
stravolge i codici su acqua, scarichi, rifiuti.

Se chiedi quanti siano in piazza, Mirko Lombardi, responsabile Ambiente di
Rifondazione, risponde che sono «più dei professionisti» che, due giorni
prima, hanno contestato la Finanziaria per interessi molto meno generali. I
promotori dicono 12mila, forse sono di più e tutti “autoconvocati”.

La Tav pare essere l’incubo più “gettonato”. Non piace neppure ai
marchigiani pronti a battersi contro il cosiddetto Quadrilatero. Potrebbe
non attecchire nemmeno in Valbondone, dirimpettaia della Valsusa, dove
certi sindaci di centrodestra stanno negoziando con il “partito delle
grandi opere” per far passare l’alta velocità in cambio di un pugno di
miliardi consistente. Gianni Ascheni, che al suo paese fa il
fisioterapista, racconta che è un vecchio progetto di quando l’attuale
presidente piemontese, Mercedes Bresso, diessina “sì-tav” come Chiamparino,
era presidente della provincia. E’ solo un’ipotesi, tutta da verificare, ma
non pare meno cruenta di quella bocciata dai valsusini che, al momento
giusto, potrebbero ricambiare la cortesia di Gianni Ascheni e quelli come
lui che, dalla Valbondone, vanno a Susa a dare manforte a chi difende la
valle. Perché da quelle parti la vita è cambiata da quando la
partecipazione popolare ha inceppato le grandi, devastanti, obsolete opere.
Basta sentire il racconto di Giuliana e Lea su quello che succede ogni
giorno nei tre presìdi costruiti dove sarebbero sorti i cantieri. Sono
diventati luoghi di socialità consapevole, di dibattito e festa. «Il
binomio è dato da beni comuni e partecipazione», spiega il coordinatore
nazionale di Attac, Marco Bersani, domandandosi, anzi, domandando
all’Unione: «Chi decide l’interesse generale?».

Chi avesse pensato che la decisione del governo di accantonare il Ponte
sullo Stretto potesse fermare i manifestanti da Scilla e Cariddi avrebbe
commesso un errore. Erano tanti e visibili. Anche perché non hanno ancora
vinto: «Per quello bisogna che chiuda per sempre la società Stretto di
Messina Spa», chiede Renato Accorinti, insegnante di ginnastica messinese.
Anche perché la «legge c’è ancora, e c’è ancora la lobby che vuole quelle
opere», avverte Claudio Calisti del Wwf teramano, animatore della battaglia
contro un altro progetto accantonato, il terzo traforo del Gran Sasso,
“capolavoro” di Lunardi (che con i primi due, da giovane ingegnere, dimezzò
la più grande riserva idrica d’Europa).

Sulla scia delle tre battaglie più famose è scesa in piazza un’Italia - da
Genova ad Aprilia, dalla Lombardia a Ciampino, da Mestre a Civitavecchia
fino alla calabrese Val di Neto - angosciata da progetti di turismo
invasivo o da inceneritori, rigassificatori, antenne, megaparcheggi, terzi
valichi, gronde, porti, funivie, aeroporti, autostrade, centrali a carbone,
che impoveriscono territori, cancellano paesaggi unici e fanno ammalare la
gente ricattata dalla promessa di «lavoro poco e cattivo», riconosce
Giorgio Cremaschi della Fiom cogliendo la connessione sentimentale con chi
scenderà in piazza il prossimo 4 novembre contro la precarietà e una
finanziaria che - denuncia dal palco Agnoletto - «dirotta sulle grandi
opere i soldi dei Tfr». Come ieri, si tratterà «di una grande questione di
democrazia e di un’idea di sviluppo diversa», conclude Paolo Beni,
presidente dell’Arci.
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In centinaia dalla Toscana
«Salviamo
la Val Di Sieve.

No alla tratta tirrenica»
«Siamo venuti da Firenze per dire “no”». A cosa? Agli inceneritori della
Val Di Sieve, al sottoattraversamento della città, alla tratta autostradale
tirrenica. Sfilano dietro gli striscioni di “un’altra città, un altro
mondo” capeggiati da Ornella De Zordo e dal fratello Maurizio. E sono in
tanti. «Dicono che hanno trovato i fondi per la Tav di Firenze - ci spiega
Tiziano Cardosi, del comitato cittadino “No Tav” - ma sapete che
significa?». No, che significa? «Intendono avviare la cantierizzazione
della città per la realizzazione di un sottoattraversamento. Una cosa
assurda dalle conseguenze inimmaginabili per la città. Il progetto è fermo
al Mugello. Noi faremo di tutto per bloccarlo definitivamente». «Siamo qui
- spiega ancora Ornella De Zordo - perché vogliamo far sentire la voce
della Toscana, di quella che chiede di bloccare un’opera innanzitutto
devastante come il sottoattraversamento della città, ma anche per chiedere
di fermare gli inceneritori della piana di Firenze della Val Di Sieve e per
quel tratto autostradale del corridoio tirrenico». Le richieste sono
molteplici, i comitati cittadini sono numerosi, i movimenti in marcia ma -
spiega De Zordo - il nostro obiettivo è unico: sollecitare risposte da
questo governo.

Dalla Val Di Sieve vengono per fermare gli inceneritori. «Sulle rive del
fiume Sieve hanno in mente di ingrandire l’inceneritore esistente - ci
racconta Elena Camparini - e di almeno dieci volte. Ma non si rendono conto
che deturperebbero una valle che dal punto di vista naturalistico è
inimmaginabile?». Luigi Chezzi la accompagna. «Quella valle - aggiunge - ce
la invidiano nel mondo. Ma ci rendiamo conto?». Evidentemente no. E le
tante domande che non trovano ancora risposta si uniscono a una sola
richiesta. «E’ necessario che questo governo - sottolinea ancora Ornella -
si renda conto che non intendiamo cedere sulle politiche ambientali, sul
territorio. Vogliamo che si rispettino degli obiettivi prioritari che non
sono certamente la Tav o un’opera assolutamente inimmaginabile come il
sottopassaggio di Firenze. Vogliamo che si rispettino la natura, gli
ecosistemi, il paesaggio, e anche i cittadini».

CM
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Da Aprilia la rete cittadina
«La centrale turbogas? Debbono bloccarla»
Castalda Musacchio
«Ci stiamo muovendo». Maria porta lo striscione. E ci sono ancora Roberto
rigorosamente in tuta bianca e Michele. Segue il carro. E’ la rete
cittadina di Aprilia in piazza contro un progetto «mostruoso». La
costruzione della centrale turbogas. Una delle tante lotte in corso portate
simbolicamente qui a sfilare per le strade della Capitale. Distribuiscono
volantini. La domanda resta la stessa da due anni. «La Società energia Spa
ha presentato un progetto per la costruzione di una centrale termoelettrica
a ciclo combinato, alimentata a gas naturale, con una potenza elettrica di
780 Mwe da fare proprio ad Aprilia. Perché costruirla proprio da noi?».
Già, perché costruirla “tout court”?

La battaglia della rete cittadina è cominciata da tempo, da quando al
governo - sottolinea Roberto Sanna uno dei promotori della Rete - c’era il
centrodestra. E adesso? «Adesso ci aspettiamo che l’Unione ci fornisca ben
altre risposte». «Nel 2002 - spiega - è stato varato il decreto che ha
approvato questo progetto. Ed è tutto pronto per la costruzione della
centrale, ma noi? Noi non la vogliamo». «Chiediamo - aggiunge Michele
Azzerri (segretario di Rifondazione ad Aprilia) - un segnale di
discontinuità. Quella discontinuità che non si vede. Sembra che le
intenzioni anche di questo governo non vadano nella direzione che
auspicavamo. E ci attendiamo attenzione. Lo scorso governo ha attuato una
politica energetica disastrosa, a questo governo chiediamo altro.
Sicuramente pretendiamo altre risposte». Rifondazione e i Verdi all’interno
della compagine di centrosinistra sono a fianco dei cittadini.

Gli unici partiti, contro le resistenze di Margherita e Ds - spiega Mario -
che sono scesi in campo per dire “no” a un’altra opera inutile e dannosa.
Dannosa per un territorio già devastato, dannosa per la salute stessa dei
cittadini. Una centrale di turbogas - spiega uno dei volantini distribuiti
- dispiega nell’aria 4.400 tonnellate di ossidi di azoto, 2.600 tonnellate
di monossido di carbonio, 5.900mila tonnellate di C02 e 730 tonnellate di
polveri totali. Non basta: perché produce un innalzamento della temeratura
di 2/3 di gradi centigradi. Consuma 1.750mila litri di acqua al giorno,
producendo ancora piogge acide dannose per l’agricoltura. «E’ questo lo
sviluppo sostenibile che vuole l’Unione?»
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il manifesto 15.10.06

Migliaia di «no» alle grandi opere
In diecimila sfilano a Roma contro Tav, Mose e ponte sullo Stretto, ma
anche contro decine di progetti «decisi sulla nostra testa»
Carlo Lania
Roma
Il Ponte sullo Stretto non c'è più, affossato tre giorni fa dall'Unione che
ha bocciato la sua costruzione. Al suo posto, però, sopravvivono altre
grandi opere. Come il Mose a Venezia, o come l'alta velocità che, a partire
dalla val di Susa, riguarda mezza Italia. E poi trafori, inceneritori,
gassificatori, centrali a carbone, progetti di privatizzazione dell'acqua,
discariche... Basta leggere gli striscioni scivolati ieri pomeriggio lungo
via Cavour a Roma per capire quante sono in Italia le grandi opere (ma
anche le medie e le piccole) in progetto o in fase di realizzazione più o
meno avanzata. Opere spesso non volute. Contestate e contrastate da chi,
poi, ci dovrebbe vivere accanto e invece non ci pensa nemmeno. Chiamarli
no-Tav sarebbe riduttivo. Sì perché le migliaia di persone arrivate ieri a
Roma da tutta Italia non sono solo contro l'alta velocità, ma contro tutte
le grandi opere decise «sopra le nostre teste». «E' bello vedere come,
dalla val di Susa alla Sicilia, siamo tutti contrari al modo in cui vengono
realizzati certi mega progetti, prescindendo dalle popolazioni locali e con
un gestione discutibile degli appalti», spiega ad esempio Viviana, 25 anni,
una dei ragazzi del RitaExpress che sfilano dietro uno striscione contro il
ponte sullo Stretto.
Hanno risposto in tanti all'appello per una manifestazione nazionale contro
le grandi opere lanciato dai comitati No-Tav, No-Mose, No-Ponte e alla
quale hanno aderito Wwf, Legambiente, Italia nostra, Campagna
Sbilanciamoci, rete del Nuovo Municipio, Fiom, Carta e il manifesto. Quando
il corteo parte da piazza Esedra, dietro uno striscione che grida «Non ci
ruberete il futuro», sono circa diecimila le persone che si incamminano
verso il Colosseo, allegre e determinate nel chiedere la modifica della
legge obiettivo, che oggi esclude i piccoli comuni dalla concertazione. Un
corteo che, a ben guardare tra i cordoni, si potrebbe definire di lotta e
di governo. Numerose, infatti, le facce dei politici presenti, tutti
targati Verdi e Prc. Come Paolo Cento, sottosegretario all'Economia, o come
il ministro per la Solidarietà Paolo Ferrero, la sottosegretaria agli
Esteri Patrizia Sentinelli, il capogruppo di Rifondazione al Senato
Giovanni Russo Spena, Angelo Bonelli, Francesco Caruso o l'europarlamentare
Vittorio Agnoletto. Una contraddizione? Macché. «Rivendichiamo il fatto che
dentro il governo deve prevalere il no alla realizzazione di opere
altamente distruttive», spiega Cento. E poco male se Di Pietro ha definito
la legge obiettivo come la novità legislativa più importante degli ultimi
anni. «Le popolazioni locali - replica pacatamente Russo Spena - hanno
vinto tante battaglie, batteranno anche Di Pietro».
La mappa della protesta è varia e non risparmia nessuno. E così se a
Venezia si contesta il Mose, a Civitavecchia il comitato no-coke protesta
contro la riconversione a carbone della centrale Enel. Fino a scoprire
progetti di cui si parla troppo poco. Come la costruzione da parte di Ray
Way di una mega antenna a Blera, in provincia di Viterbo: «180 metri di
altezza, 600 kw di potenza irradiante e 5.300 metri cubi di nuove
costruzioni in cemento armato, il tutto in uno dei luoghi simbolo della
cultura etrusca», come ti spiega chi protesta. Ma ce n'è anche per il
sindaco di Roma Veltroni e per il suo progetto di costruire un parcheggio
al Pincio.
Ma il cuore della protesta sono loro, i valligiani della val di Susa. A
Roma sono arrivati in tanti, almeno 1500/2000, sindaci in testa, e si fanno
sentire: «Sarà dura» gridano sparsi per il lungo corteo. Sarà dura sì, se è
vero che i colleghi sindaci della vicina Val Sangone avrebbero detto di sì
all'alta velocità. «Ma sarà vera questa notizia?» si chiede Mauro, passo da
montanaro allenato sui sentieri di Condove. «La settimana scorsa abbiamo
fatto un volantinaggio proprio tra quei comuni e le popolazioni non mi pare
che siano d'accordo». Comunque sia, una cosa è sicura: «Noi non siano di
quelli che dicono "Non nel mio cortile" e poi chiudono gli occhi se la tav
la fanno da un'altra parte. Noi diciamo no alla tav ovunque, non
scarichiamo i nostri problemi sugli altri». La pensa così anche Antonio
Ferrentino, «il meridionale più amato della val di Susa», il presidente
della comunità montana della valle che ha guidato fino a oggi la protesta
contro l'alta velocità. Con su la fascia tricolore non nasconde la
soddisfazione per il successo della manifestazione: «Non era facile mettere
d'accordo tutte le associazioni, ma ce l'abbiamo fatta». Qualche problema
in effetti c'è stato. Più di un'associazione, infatti., ha ritenuto la
piattaforma dell'iniziativa un po' troppo benevola nei confronti del
governo di centrosinistra. Un mal di pancia che si fa sentire anche nel
corteo, come conferma uno striscione che avverte: «Tav: non esistono
governi amici».
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Alta velocità, un pozzo senza fondo che il governo alimenta
Stefano Lenzi *
Tentazioni di un ritorno al futuro emergono dai segnali contraddittori che
vengono dal governo sulla questione delle infrastrutture strategiche e del
sistema dell'Alta velocità ferroviaria. Un «pianeta governo» piuttosto
caotico, visto che vi convivono gli entusiasmi acritici del ministro delle
Infrastrutture Di Pietro sulle grandi opere e le prudenze istituzionali del
presidente del Consiglio Prodi e del ministro dell'Economia Padoa-Schioppa.
Prudenze che svaniscono come una bolla di sapone se si legge quanto c'è
scritto nel disegno di legge sulla Finanziaria 2007 riguardo alla
destinazione a un Fondo costituito presso l'Inps dei 6 miliardi di euro
(derivanti dalla quota inoptata del trattamento di fine rapporto) per le
grandi opere o se ci si sofferma sui 2 miliardi e 100 milioni di euro
previsti per finanziarie l'alta velocità dal 2008 (derivanti probabilmente
dal Fondo Inps), sugli altri 286 milioni di impegni quindicennali sempre
per la Tav e sui 200 milioni di euro previsti in 15 anni per le
infrastrutture strategiche.
La costituzione del Fondo Tfr dei lavoratori del settore privato presso
l'Inps, sinora affidato alle aziende, rischia di naufragare perché qualcuno
ha avuto la bella idea di chiedere un prestito forzoso ai lavoratori per
finanziare le grandi opere. Come Wwf Italia abbiamo chiarito (come hanno
sottolineato anche i sindacati confederali) che questo Fondo non è né dello
Stato né delle aziende e che, soprattutto, non può essere utilizzato per
interventi ad alto rischio di investimento e bassa remuneratività come sono
quelli per la Tav e per le infrastrutture strategiche. I costi del progetto
originario Milano-Roma-Napoli, più la Milano-Genova, sono cresciuti di
circa il 500% (da 13 miliardi di euro agli attuali 60 miliardi) a partire
dal '91, senza contare gli investimenti necessari per le nuove tratte ad
alta velocità (corridoio dei due mari da Genova ad Anversa e prosecuzione
verso nord, Milano-Brennero, e verso Sud, Battipaglia-Reggio Calabria,
della dorsale tirrenica) che rischiano di far raggiungere quota 100
miliardi. I costi del Primo Programma delle infrastrutture strategiche sono
esplosi in meno di 5 anni, secondo il Servizio studi della Camera che ha
rilevato come il costo totale fosse più che raddoppiato, salendo da 125,8
miliardi di euro a 264 miliardi.
Il governo vuole alimentare ancora questo pozzo senza fondo, che va solo a
beneficio delle grandi società di progettazione e delle grandi aziende del
settore edile, o vuol fare gli investimenti veramente necessari nel settore
dei trasporti, ponendo a seria verifica il sistema contrattuale e
finanziario dell'alta velocità e i meccanismi realizzativi derivanti dalla
Legge Obiettivo che gravano sui conti pubblici e contribuiscono alla
devastazione dell'ambiente?
Il Wwf Italia chiede chiarezza rilanciando il suo decalogo per il
superamento della Legge Obiettivo, basato su tre capisaldi: riportare
trasparenza e legalità nell'assetto neo-corporativo del mercato dei lavori
pubblici, condizionato dallo strapotere dei generali contractor e dei
concessionari autostradali; sottoporre i piani e programmi a Valutazione
ambientale strategica e ripristinare la Valutazione di impatto ambientale
sui progetti definitivi, nel rispetto delle procedure partecipative per
cittadini ed enti locali; definire un nuovo Piano dei trasporti e della
mobilità che cancelli il programma Lunardi e riscriva le priorità di
intervento.
* Wwf Italia