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Aihe: [NuovoLab] [Fwd: appunti per una sintesi deicontenuti espressi nel seminario "Giù le armi"]



-------- Messaggio Originale --------
Oggetto:     appunti per una sintesi dei contenuti espressi nel seminario 
"Giù le armi"
Data:     Sun, 8 Oct 2006 21:11:24 +0200
Da:     Angelo <angelo.gandolfi@???>
A:     Silvano Tartarini <silvanotartarini@???>, Berrettibianchi 
<berrettibianchi@???>, LOC <locosm@???>, Clany 
<clany@???>, <ccpnews@???>, Centro di ricerca per la 
pace <nbawac@???>
CC:     <martone_f@???>, "Alfonso Navarra" <alfonav@???>, 
<brunoa01@???>, "norma" <norma.b@???>, "fuselli" 
<ffuselli@???>, "Carlo Schenone" <schenone@???>, "Enrico 
Peyretti" <e.pey@???>, "Fabio Corazzina" <alqantara@???>, "Lina 
Appiano" <l.appiano@???>, "Lorenzo Scaramellini" 
<axp@???>, "Mario Colasante" <mariocolasante@???>, 
"Francesca Vecera" <vecera3@???>, "Vittorio Pallotti" 
<vittoriopallotti@???>, "fernanda" <fernanda.lc@???>, 
"graziella bevilacqua" <bevilacquagraziella@???>, "Antonino 
Drago" <drago@???>, "Luciano Capitini" <capits@???>, "Gianni 
D'Elia" <degia7@???>, "Ciavarella Giovanni" 
<giovanni.ciavarella@???>, "Raffaele Barbiero" 
<raffaele.barbiero@???>, <paolo.cacciari_49@???>, "Paolo 
Candelari" <paolocand@???>, <pisa_s@???>, 
<iovene_a@???>, <DEZULUETA_C@???>, "deiana" 
<deiana_e@???>, <VENIER_I@???>, <giovanni.russotto1@???>, 
<luigipreviati@???>, "Massimo DallaGiovanna" 
<Massimo.DallaGiovanna@???>, "Tusio De Iuliis" 
<yuro.doc@???>, <alex.zanotelli@???>, 
<baracca@???>, <gianni.alioti@???>, "haidi" 
<haidi.gaggio@???>, "ugo" <alfredo.beiso@???>, 
"Martina Pignatti Morano" <pignattimora@???>, "Vittorio Agnoletto" 
<vagnoletto@???>, "BERGAMASCHI Paolo" 
<pbergamaschi@???>




Cari amici e compagni di entrambe i generi,
    scusandomi per il ritardo, Vi invio quel che son riuscito a mettere 
insieme rispetto al seminario tenutosi venerdì 29 settembre p. v. a 
Palazzo Marini.
 Colgo l'occasione per ricordarVi che delle mie inquietudini e dei miei 
scritti ciascuno ne può far quel che vuole e che se qualcosa venisse 
citato preferisco che venga dato risalto all'organizzazione (Berretti 
Bianchi ONLUS e Campagna di Obiezione di Coscienza alle Spese Militari) 
più che al redattore materiale.
 Vi sarò grato se mi aiutereTe a far circolare ad altri di cui non 
dispongo indirizzo di posta elettronica questo modesto scritto, sempre 
che pensiaTe che ne valga la pena.
 Purtroppo non son riuscito a seguire come si deve tutti gli interventi, 
se qualcuno avesse dei suoi appunti con cui integrare o correggere gli 
eventuali errori, e fosse interessato ad uno scambio eventualmente anche 
ad una condivisione, gliene sarei molto grato. 
 In particolare mi piacerebbe che andasse alle persone citate, 
specialmente a Chiara Bonaiuti, Riccardo Troisi, Giorgio Beretta, Emilio 
Lonati.
 Buon lavoro a tutti.
 A presto



                                                            Angelo


APPUNTI PER UNA SINTESI DEI CONTENUTI ESPRESSI NEL SEMINARIO "GIU' LE ARMI!"

Roma, Camera dei Deputati - Sala delle Conferenze di Palazzo Marini, 29
settembre 2006

    Mi asterrò da ogni commento, premettendo soltanto una inquietudine 
di fondo.
 Non sono riuscito a capire se l'intento del seminario fosse 
effettivamente quello di esprimere dei filoni di un lavoro da 
incominciare e portare avanti o se piuttosto il mantenimento dei 
rapporti con movimenti, associazioni e quanti nella società civile si 
stanno muovendo nella direzione del disarmo, della riconversione e di 
quanto vi sta intorno.
 Premesso questo, provo a raggruppare per argomenti le linee su cui si 
sono articolati i numerosi interventi della giornata.
 Tutti gli interventi sono stati caratterizzati non a partire 
dall'appartenenza, ma dalla posizione istituzionale ricoperta dai vari 
intervenuti. Dunque l'aggiunta dell'appartenenza alla forza politica è 
una specie di nota di redazione, introdotta per chiarezza.


1. La questione del disarmo
L'oggetto intorno a cui il seminario è stato costruito. Il seminario è
stato scandito nei due momenti coincidenti con le parti della giornata.
La questione del disarmo ha occupato tutto il pomeriggio, mentre la
sessione mattutina è stata dedicata soprattutto alla geopolitica.
Ad aprire sulla questione del disarmo è stato Nuccio Iovene,
rappresentante della Sinistra Ds nella Commissione Territorio e Ambiente
del Senato, che ha aperto il suo intervento ricordando l'ultimo discorso
di padre Ernesto Balducci, "Addio alle armi", in cui era contenuto un
passaggio sulle attività iraniane in campo nucleare che sembrerebbe
scritto ai giorni nostri. Silvana Pisa, senatrice Ds in Commissione
Difesa, organizzatrice del seminario, ha articolato sin da subito il
disarmo nella sua doppia direzione: da un lato a livello internazionale,
con la caratterizzazione tradizionale, dall'altro con una particolare
attenzione al problema delle "armi leggere" di cui l'Italia sarebbe il
secondo produttore ed esportatore a livello mondiale.
Di qui l'individuazione da parte di Silvana Pisa, ripresa da Alex
Zanotelli e nel pomeriggio da Francesco Martone, della Commissione
Esteri del Senato (PRC), Chiara Bonaiuti dell'Ires Toscana, da Riccardo
Troisi della Rete Nazionale per il Disarmo, della legge n.° 185/1990
come strumento da valorizzare in una politica di disarmo, in qualche
modo complementare alla questione della riconsegna graduale di armamenti
alle forze armate degli Stati Uniti d'America, con particolare riguardo
a quelli atomici e nucleari e alla riconversione dell'industria
"bellica". Come strumenti ulteriori sono stati individuati i corpi
civili di pace, la riduzione delle spese militari, con particolare
riguardo a quella per armamenti e la rinegoziazione delle servitù militari.
In generale, si è parlato di disarmo come realtà concreta, come
percorso da iniziare, dando segnali sulla riduzione delle spese
militari, che ha costituito un'introduzione abbastanza interessante e
documentata di Marco d'Eramo, giornalista del "manifesto", che ha
evidenziato come l'Italia sia l'unico paese europeo in cui la spesa per
armamenti sia pressoché pari a quella per tutto lo stato sociale. Mentre
molto differenti sono le percentuali di Francia, Gran Bretagna e Germania.
L'interrogativo posto in vari interventi è stato come mettere insieme
la lotta al terrorismo e il disarmo.
In particolare Silvana Pisa nella sua introduzione ha proposto, ripresa
soltanto da Eros Cruccolini, presidente del Consiglio Comunale di
Firenze, la prospettiva della discussione su una possibile dichiarazione
di neutralità dell'Italia.
E Jacopo Venier, della Commissione Esteri della Camera, del PDCI, ha
posto la necessità di un'azione italiana per la creazione di una zona
denuclearizzata nel Medioriente.
Della questione del disarmo come parte di un pacchetto che deve far
parte di uno scambio fra Unione Europea e Stati Uniti ha parlato Ana
Gomes, responsabile per il Disarmo del Partito Socialista Europeo.
Specificando ad es. la necessità di porre mano a delle convenzioni
contro le armi chimiche e biologiche.
Del ruolo degli Enti locali nel processo di disarmo ha parlato Eros
Cruccolini, presidente del Consiglio Comunale di Firenze, intervenuto in
sostituzione del sindaco Leonardo Domenici, da un lato ricordando che
nel 1955 Giorgio La Pira, primo cittadino del capoluogo toscano, riunì
35 sindaci di grandi città di tutto il mondo per firmare un trattato
comune proprio sulla questione in oggetto e candidando Firenze a
capitale per la costruzione dei corpi civili di pace e per il disarmo
atomico, citando il patto già stipulato con la città di Ghedi e quello
in preparazione con Aviano.

2. La questione degli armamenti nucleari
Molto spazio e attenzione sono stati dedicati alla questione degli
armamenti nucleari.
Fabrizio Battistelli dell'Archivio Disarmo ha rilevato il paradosso che
individua nella condizione italiana: uno fra i 5 paesi al mondo che
hanno sul loro territorio armi nucleari non proprie. E questo nonostante
lo Stato italiano, con un referendum nel 1987, abbia abbandonato l'uso
di tecnologie e impianti nucleari in campo civile. Inoltre ha aggiunto
che queste armi non sono più da considerarsi neppure "strategiche", dal
momento che non rispondono alle caratteristiche e alle finalità con e
per cui erano state progettate e costruite. Sono dunque un simbolo del
controllo esercitato sul nostro Stato e soprattutto una riduzione della
sovranità popolare nazionale. Egli ha aperto il suo intervento con
l'interrogativo sulla credibilità dei governi occidentali nella pretesa
di bloccare le attività nucleari in corso in altre nazioni.
A questo Francesco Martone, della commissione Esteri del Senato e
dell'Assemblea Parlamentare della NATO ha aggiunto che gli accordi con
le forze armate Statunitensi prevedono che gli ordini nucleari possano
essere imbarcati e sganciati anche da velivoli e sottomarini italiani.
Alex Zanotelli ha citato l'allarme di Angelo Baracca, degli Scienziati
per la Pace, che sostiene che mai come in questo momento il mondo è
stato così vicino ad una guerra nucleare.
Jacopo Venier, della Commissione Esteri della Camera (PDCI) ha citato
il problema della richiesta da parte del movimento dei paesi "non
allineati" di poter continuare le ricerche e le attività nucleari in
campo civile, avvertendo che comunque queste non sono disgiunte da
quello militare.
Secondo quanto riferito nell'introduzione da Silvana Pisa, le testate
nucleari presenti in Europa sarebbero 480 di cui circa la metà in
Italia, almeno 90 a Ghedi e le restanti nella base aerea di Aviano.
Altri paesi che ne ospitano sarebbero il Belgio, l'Olanda, la Germania
e la Turchia.
Già la Grecia e l'Irlanda hanno riconsegnato alle forze armate
Statunitensi e alla NATO le testate atomiche che erano presenti sul loro
territorio e pare che il Belgio si appresti a votare una proposta
simile, senza che nessuno di questi Stati abbia deciso di uscire
dall'alleanza. Per cui esistono già i precedenti e dunque la stessa
strada potrebbe essere ripercorsa in Italia.
Soprattutto della questione nucleare si è occupata Ana Gomes,
responsabile per il Disarmo del Partito Socialista Europeo, che ha
incentrato il suo discorso sul trattato di non proliferazione nucleare e
sulla necessità di dare attuazione allo stesso, tenendo presente che
quest'accordo internazionale è stato soprattutto voluto dagli
Statunitensi che oggi sono i primi a violarlo. Ha definito gli
Statunitensi "architetti" del trattato.
Dopo aver citato come capisaldi della questione dell'armamento nucleare
il controllo degli armamenti, il diritto internazionale e il principio
della non proliferazione, ha ricordato che il nucleo del trattato di non
proliferazione è uno scambio fra la rinuncia a chi non ha strumenti e
tecnologie nucleari ad averne e a chi le ha a disfarsene. Il trattato
stabilisce il diritto-dovere per i firmatari a evitare la
proliferazione, disarmare e rispettare l'uso delle tecnologie nucleari
in campo civile.
Ci sono state due conferenze per aggiornare il trattato di non
proliferazione: una nel 2000, nella quale si è raggiunto un impegno
rispetto al disarmo e una nel 2006, ma tuttavia proprio gli Stati che
sono rappresentati nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU hanno violato
l'art. 6 del trattato. Come conseguenza di questo mancato rispetto si
sono creati problemi con alcuni Stati firmatari del trattato come Iraq,
Corea del Nord e Iran (entrati nella lista degli "stati canaglia"
compilata dal governo Statunitense), e altri che non l'avevano
sottoscritto come l'India, il Pakistan e Israele.
Una minaccia al trattato di non proliferazione verrebbe secondo Ana
Gomes dalla possibile proliferazione da parte di agenti non statuali,
dei quali ha citato come es. Al-Qaeda, ricordando che il nuovo
responsabile dell'organizzazione in Iraq ha rivolto un appello agli
scienziati affinché mettano a disposizione le nuove tecnologie nucleari
per usarle contro le installazioni statunitensi.
La mancanza di una leadership statunitense ed europea ha avuto come
conseguenza l'indebolimento del trattato di non proliferazione.
E un es. di conseguenza di questo è l'impegno annunciato dal ministro
degli Esteri inglese e probabile successore di Anthony Blair alla guida
del governo Gordon Brown per il rinnovamento dei missili Trident per un
importo che ammonta a 8-10 miliardi di sterline.
La richiesta al governo di un impegno per la liberazione del territorio
italiano dalle armi nucleari e della trasparenza delle politiche
nucleari degli Stati insieme alla già citata proposta di creazione di
un'area denuclearizzata in Medioriente sono state le proposte concrete
presentate da Francesco Martone.


3. La questione della legge n.° 185/1990 e dell'estensione della legge
di messa al bando delle mine antipersona alle "cluster bomb"
Molto spazio ha preso la discussione sulla legge n.° 185/1990 sul
controllo del commercio delle armi.
Giorgio Beretta della campagna contro le Banche Armate ha detto, per
es., che il maggiore acquirente di armi italiane dal 2000 al 2005 è
risultata la Malaysia. Egli ha anche lamentato il fatto che la relazione
del Ministero per le Attività Produttive sia stata tutta centrata sulla
lettura in termini di mercato piuttosto che nello spirito della legge
stessa. Egli ha citato la necessità di tenere conto nella ricostruzione
della filiera delle armi dell'analisi del rispetto dei diritti umani nei
paesi nei quali vengono vendute, del rapporto fra spesa per armamenti e
prodotto interno lordo e debito estero.
Sulla legge n.° 185/1990 sono risultate le due posizioni contrapposte:
da un lato Silvana Pisa e Riccardo Troisi della Rete Nazionale per il
Disarmo restii a toccare la legge, dall'altra il sottosegretario
all'Economia Alfiero Grandi, dei DS, che ha sostenuto la necessità di
riporvi mano, mettendo la condizione di una ridiscussione "a valle di un
accordo concertato con un blocco sociale" capace di porre al centro il
ritorno allo spirito originario della legge. Ha indicato la necessità di
una campagna sulla ridiscussione della legge impostata con una forma di
sinergia fra le parti interessate, secondo la richiesta che era stata
fatta da Giorgio Beretta.
La necessità di attenzione a questa legge è stata rimarcata da Chiara
Bonaiuti dell'Ires Toscana, che ha citato come risultato della sua
applicazione la riduzione delle esportazioni di armi verso paesi di
conflitto da un volume del 50% rispetto al complesso della vendita di
armi all'estero al 15%.
Sia Giorgio Beretta della Campagna contro le Banche Armate che
Fabrizio Battistelli dell'Archivio Disarmo hanno sottolineato
l'insufficienza della legge soprattutto rispetto alla globalizzazione,
ponendo la necessità di una legislazione europea, dal momento che era
stato posto il problema della sottrazione delle fabbriche d'armi alla
normativa a partire dalla compresenza di aziende in nazioni nelle quali
vige una differente legislazione. Vi sono infatti aziende che hanno
stabilimenti produttivi in differenti nazioni e per vendere le armi si
servono dunque delle norme vigenti nella nazione in cui queste ultime
risultano più favorevoli per le loro necessità. In particolare Giorgio
ha sottolineato la necessità che la legge abbia un peso sanzionatorio e
non sia soltanto una semplice dichiarazione di un principio o di un
impegno.
Di una sorta di estensione della legge n.° 185/1990 si è parlato a
proposito del disegno di legge presentato da Francesco Martone e da
altri 36 senatori per la messa al bando della produzione delle "cluster
bomb", le famigerate bombe a grappolo, che stando a quanto detto da
Riccardo Troisi, verrebbero anche fabbricate da imprese italiane (ha
citato il caso della SIMEL). Egli ha anche informato che l'ONU avrebbe
in progetto di nominare una commissione d'inchiesta sull'uso di questi
ordigni. La questione era stata anche toccata in apertura del seminario
da Nuccio Iovene.
Sempre Riccardo ha posto la necessità di una legislazione
sull'intermediazione nel commercio delle armi, che a suo dire sarebbe
mancante. Della necessità di attrezzare dei sistemi di tracciabilità di
tutte le componenti delle armi ha parlato Chiara Bonaiuti, insieme
all'esigenza di un monitoraggio vero e proprio della globalizzazione del
commercio delle armi.
Della genericità del codice di condotta europeo e del suo superamento
hanno parlato Emilio Lonati della FIM CISL, Chiara e Riccardo.
Sui limiti del codice di condotta si è soffermato nella seconda parte
del suo intervento il gen. Fabio Mini, ex comandante della missione
delle forze armate italiane nei Balcani, definendolo addirittura
"ingenuo", in quanto non affronterebbe questioni come: la mancanza di
prevenzione rispetto alla prospettiva di utilizzare le "triangolazioni"
per aggirare divieti e limitazioni di vendita imposte dalle legislazioni
vigenti, il sostegno di regimi iniqui da parte dei paesi democratici e
soprattutto le speculazioni finanziarie nel commercio di armi da parte
degli speculatori finanziari.
In conclusione egli ha posto l'esigenza che l'approccio politico alla
materia sia caratterizzato dall'obiettivo di rendere svantaggioso il
commercio delle armi.

4. La questione delle armi "leggere"
Della maggiore pericolosità delle armi "leggere" rispetto agli
armamenti veri e propri, perfino di quelli nucleari, è stato fatto cenno
innanzitutto da Silvana Pisa nella sua introduzione, ripresa da Giorgio
Beretta della Campagna contro le Banche Armate, che ha posto la
necessità dell'estensione della normativa contenuta nella legge n.*
185/1990 anche a questo particolare settore.
Egli ha citato la vicenda delle pistole Beretta trovate in Iraq da un
giornalista come es. dell'insufficienza del controllo delle esportazioni
e di situazione di coinvolgimento dell'uso a fianco degli armamenti
usati per la guerra.
E' stato detto da più di un intervenuto che le vittime delle armi
"leggere" ogni anno sono molte di più di quelle delle guerre .
Fabrizio Battistelli dell'Archivio Disarmo ha proposto di riportare
all'Assemblea Generale dell'ONU l'urgenza di un trattato sul
trasferimento delle armi "leggere".
Della questione delle armi "leggere" come possibile leva in alternativa
alla riscrittura della legge n.° 185/1990, agendo piuttosto sulla n.°
110/1975 ha parlato Riccardo Troisi della Rete Nazionale per il Disarmo.

5. La questione degli impegni internazionali
E' stata la questione forse più articolata fra quelle trattate.
Giulio Marcon, della Campagna Sbilanciamoci, ha posto il problema di
come adeguare le forze armate agli impegni internazionali, e ha
individuato la prospettiva della riduzione dell'organico delle forze
armate da 190 mila persone come previsto dal modello di difesa vigente a
120 mila. Ha affermato che le forze armate Italiane avrebbero più
generali di quante ne hanno quelle Statunitensi. E ha anche posto il
problema dell'adeguamento delle forze armate italiane al ruolo dell'ONU
nelle crisi internazionali.
Con la sola eccezione di Alex Zanotelli, che ha portato
l'interrogativo, ripreso da nessuno, sulla prospettiva che le forze
armate Italiane possano essere usate come eventuale testa di ponte in un
attacco contro la Siria e l'Iran, specialmente a partire
dall'avvicendamento nel comando della missione previsto per il prossimo
anno, e Jacopo Venier che, salutando la fine dell'unipolarismo come
sistema di governo del mondo, ha ventilato la prospettiva che da un
equilibrio del terrore dei tempi della "guerra fredda" si stia passando
ad un multipolarismo del terrore, attraverso la costruzione di un
multipolarismo "armato", c'è stata una generale espressione di consenso
alla missione italiana in Libano che a detta di Ugo Intini, viceministro
agli Esteri (per la Rosa nel Pugno), Elettra Deiana, della Commissione
Difesa della Camera (per il PRC), Tana de Zulueta, vice presidente
della Commissione Esteri della Camera (per i Verdi), Eros Cruccolini,
presidente del Consiglio Comunale di Firenze (per i DS), Pasqualina
Napoletano, parlamentare europea (per i DS), che addirittura ha
lamentato l'insufficienza dell'impegno europeo, Paolo Beni, presidente
dell'ARCI, Giorgio Mele, della Commissione Esteri del Senato (sinistra
DS), Alfiero Grandi, sottosegretario all'economia, risulterebbe una vera
e propria "svolta".
Sono varie le interpretazioni date alla questione. Quella più ripresa è
stata quella del "paradigma".
Sulla base di una sollecitazione di Elettra Deiana, dellla Commissione
Difesa della Camera (PRC), che, rilevando che oggi non capiamo più la
lingua che si parla, ha posto la necessità della ricerca di un nuovo
pensiero strategico, Tana de Zulueta ha aperto la riflessione sul
paradigma della difesa, individuando nella centralità della persona come
soggetto della sicurezza rispetto agli Stati, il contributo nuovo
portato dagli italiani. E ha inquadrato in questo nuovo paradigma la
missione in Libano, mentre a suo dire quella in Afghanistan rientrerebbe
nel vecchio, pertanto ha posto la necessità di ririro delle truppe
italiane da quest'ultima missione. Così come nel vecchio paradigma
rientrava la presenza in Iraq. Come altro esempio di questo nuovo
paradigma ha citato la sconfitta delle milizie armate a suo dire dagli
Stati Uniti in Somalia ad opera delle Corti islamiche a Mogadiscio,
ricordando che l'attuale presidente della Banca Mondiale, Paul
Wolfowitz, prima che venisse deciso l'attacco all'Iraq, nella sua carica
di sottosegretario alla Difesa aveva ventilato proprio la possibilità di
un attacco alla Somalia. Tana de Zulueta ha identificato il paradosso
dell'Afghanistan nella sua essenza di guerra combattuta dagli Italiani
contro degli Afghani per conto di altri Afghani.
Dell'inopportunità della prosecuzione della missione in Afghanistan
aveva già parlato Elettra Deiana, vice presidente della Commissione
Difesa della Camera (per il PRC), sostenendo che al momento la NATO non
sarebbe in grado di "governare militarmente" la ripresa di attività dei
Taleban
La questione del paradigma della sicurezza è stata l'elemento di novità
rispetto alla ormai nota considerazione dell'importanza della missione
in Libano come momento di riscossa dell'ONU e di "risveglio" dell'Unione
Europea, a partire dall'intervento di Ugo Intini, fino a quello di
Alfiero Grandi, che ha posto la partecipazione alla missione in LIbano
sotto la speranza dell'uscita dalla fase della guerra preventiva,
segnandone la differenza appunto nel carattere di interposizione con
l'obiettivo di far finire una guerra.
Tuttavia sia Jacopo Venier, che ha posto la necessità
dell'accompagnamento della missione ad un processo di sostegno alla
statualità, che a suo avviso è il limite e la causa del fallimento
dell'intervento in Iraq, che Pasqualina Napoletano, vice presidente del
Gruppo del Partito Socialista Europeo presso il Parlamento di
Strasburgo, che ha invece segnalato la necessità della definizione di
una durata della missione, a fronte del rischio che se non venga
accompagnata da interventi sul piano sociale rischi di degrado fino a
diventare occupazione e quindi a far considerare le truppe come parte in
conflitto, hanno in qualche modo attenuato questa considerazione
altrimenti enfatizzata, problematizzandola.
Il gen. Mini, che ha argomentato buona parte del suo intervento sul
"fallimento" degli Stati, anche con ricorso a tabelle, ha detto che in
tutte le "aree di crisi" in cui essa è stata "risolta" con una missione
militare internazionale si è dovuti ritornare dopo 5 anni: in Libano c'è
voluto un po' di più.
L'argomento relativo alla missione in Libano è stato collegato
ripetutamente al ruolo e al rapporto non solo dell'ONU, ma anche della
NATO. Le due posizioni estreme sono risultate la lealtà reclamata da Ugo
Intini, che ha chiesto perché mai il peso della missione in Afghanistan
deve essere tutto sulle spalle della NATO, sollecitando una riflessione
in proposito, e la necessità di un cambiamento radicale posta da Alex
Zanotelli, che ha fatto riferimento all'illegittimità della svolta del
1999 in cui essa da alleanza difensiva è diventata strumento di difesa
degli interessi dei paesi che ne fanno parte al di fuori dei loro territori.
Fra le ragioni alla base della valutazione positiva della "svolta" che
rappresenterebbe la missione in Libano vi è anche, secondo il
sottosegretario all'Economia Alfiero Grandi, la prevalenza dell'impegno
per la ricostruzione e per gli aiuti, per i quali si può arrivare ad uno
0,7 % escludendo da questi naturalmente gli armamenti. Egli ha citato
inoltre l'iniziativa della viceministra agli Esteri Patrizia Sentinelli
impegnata a includere l'Italia fra i 43 paesi, che hanno come capofila
il presidente del Brasile Luiz Ignacio da Silva e quello francese
Jacques Chirac che stanno lavorando per un superamento delle politiche
nazionali in materia di cooperazione cercando altri strumenti, fra i
quali è stata citata la Tobin-tax, ovvero il prelievo fiscale pari allo
0.50% su ogni transazione bancaria superiore ad una certa cifra.

6. La questione della riconversione dell'industria bellica
La riconversione dell'industria bellica è stata posta al centro degli
interventi dei due rappresentanti sindacali, Paolo Nerozzi, segretario
generale della CGIL e Emilio Lonati della FIM CISL.
Annunciata nell'introduzione da Silvana Pisa, che ha posto l'esigenza
di una necessità della discfussione in sede europea. Ella ha poi
annunciatoi un piano per la riconversione dell'industria che attualmente
produce per le forze armate di cui avrebbe parlato Paolo Nerozzi, che ha
posto come problema nella riconversione oltre che alla questione
occupazionale la forte identificazione fra i lavoratori e il prodotto
del loro lavoro. Aprendo il proprio intervento, egli ha chiesto se la
riduzione di imposta detta "cuneo fiscale" si applica anche alle
fabbriche d'armi.
Emilio Lonati ha posto il problema della contraddizione fra la
partecipazione alle manifestazioni per la pace da parte di molti
lavoratori che, nel quotidiano, producono armamenti. Riprendendo
l'intervento di Paolo Nerozzi, ha articolato l'esigenza di una
strumentazione, in cui assume importanza un fondo nazionale per la
riconversione. Citando il caso dell'impresa Agusta, che si è salvata
dalla crisi proprio grazie ad una riconversione parziale dalla
produzione a destinazione militare a quella civile, egli ha posto la
necessità di un riorientamento della domanda pubblica, mettendo in
rilievo il paradosso per cui, pur essendo il paese che ha la migliore
produzione di elicotteri, ne ha la minore quantità utilizzati nel campo
sanitario. L'argomento è stato in parte ripreso da Alfiero Grandi che ha
posto la necessità di affrontare il tema del cambiamento degli obiettivi
produttivi. Nella stessa direzione la parte dell'intervento di Jacopo
Venier, che ha posto la necessità dello sganciamento dello sviluppo
tecnologico dall'industria militare. Anche Vincenzo Vita ha ricordato
come la tecnologia informatica sia nata dallo sviluppo di ricerche in
campo militare, come sistema di comunicazione interna del Dipartimento
della Difesa Statunitense nell'ipotesi che i nemici (all'epoca
sovietici) fossero riusciti a distruggere gli strumenti per la
comunicazione installati.
Fabio Corazzina, coordinatore nazionale di Pax Christi, è intervenuto
ponendo la necessità di evitare che il sostegno alla riconversione sia
esteso alle tecnologie duali, in quanto vi è il rischio che con i fondi
per la riconversione venga invece ulteriormente finanziata la produzione
di armamenti. Come esemplificazione ha portato il caso della Regione
Piemonte, in cui a breve distanza, sono stati presentati due disegni di
legge di sostegno alla riconversione, entrambi di iniziativa di
rappresentanti della coalizione di centrosinistra, nel secondo dei quali
è contemplata appunto la possibilità di finanziamento di quelle imprese
che hanno un'applicazione duale delle tecnologie di produzione, sia in
campo civile che in quello militare. Egli ha anche ammonito che la
logica della diversificazione produttiva piuttosto che la riconversione
viaggia in quella della tecnologia duale, con il rischio citato.
La presentazione di un disegno di legge per la costituzione di
un'agenzia nazionale per la riconversione è stata oggetto
dell'intervento di Francesco Martone, senatore della Commissione Difesa,
che ha detto di aver ripresentato un progetto di legge in merito,
avendone già proposto uno nell'ultimo periodo della precedente
legislatura. L'approccio scelto tuttavia è di un riesame dal punto di
vista della produzione industriale, più che da quello "ideologico",
quindi con attenzione a non penalizzare i lavoratori e le imprese.
Della necessità di una sinergia fra il mondo del lavoro e i movimenti
pacifisti ha parlato Alfiero Grandi.
Voci decisamente diverse sono state quelle di Alex Zanotelli in
mattinata e Riccardo Troisi nel pomeriggio che hanno chiesto con forza
la revoca degli accordi di cooperazione militare con Israele e con l'Egitto.

7. La questione della riduzione delle spese militari e della
rinegoziazione delle servitù militari
Al centro dell'intervento di Giulio Marcon, della Campagna
Sbilanciamoci, che ha fatto seguito al documentato intervento di Marco
d'Eramo che ne ha illustrato le dimensioni, la questione della riduzione
delle spese militari è stata posta in numerosi interventi.
Nella relazione introduttiva Silvana Pisa, dopo aver posto la necessità
della distinzione fra spesa per il personale militare e quella per
armamenti, a proposito della partecipazione italiana al progetto di
caccia aereo Joint Strike Fighter, frutto di cooperazione fra imprese
Statunitensi ed Europee, che impegna il nostro paese per decine di
miliardi, lo ha definito equivalente al costo di una finanziaria.
Nel suo intervento Marco d'Eramo ha detto che il bilancio del Ministero
della Difesa è pari allo 0,80 &% del prodotto interno lordo, ma le spese
per forze armate e armamenti in realtà raggiungono il 2%.
Dopo l'intervento di Giulio Marcon, Tana De Zulueta, a proposito della
audizione tenuta alcuni giorni prima in Commissione Difesa della Camera,
ha detto che stando a quanto ha riferito l'amm. Di Paola, capo di stato
maggiore della difesa, le forze armate sembrerebbero sull'orlo della
bancarotta. Sulla base di questo paradosso ha invece sostenuto la
necessità di analizzare attentamente le voci di spesa per rendere
giustizia a quella parte di elettorato che chiede la riduzione delle
spese militari.
Della riduzione delle spese militari come segnale necessario da dare a
chi sostiene la maggioranza di centrosinistra ha parlato anche Eros
Cruccolini, presidente del Consiglio Comunale di Firenze, che ha
dedicato attenzione anche alla rinegoziazione delle servitù militari,
citando la richiesta esplicitamente fatta al governo da parte del
presidente della Giunta regionale della Toscana.
A quest'ultimo tema ha anche naccennato introducendo i lavori anche
Silvana Pisa.

8. La questione dei corpi civili di pace
Si è parlato molto di corpi civili di pace, ma gli unici a scendere un
po' più in dettaglio sono stati Eros Cruccolini e Riccardo Troisi.
Quest'ultimo ha proposto l'inserimento nella finanziaria di un bando
pubblico per la formazione di volontari per la costituzione di un corpo
civile di pace.
Eros Cruccolini invece, candidando Firenze a capitale per la
costruzione dei corpi civili di pace, si è soffermato sull'importanza
dei corpi civili di pace, citando gli effetti positivi della loro
presenza in luogo di conflitto individuati nell'abbassamento del livello
di aggressività e di elevazione di quello del dialogo.
In precedenza Giulio Marcon aveva citato la costituzione dei corpi
civili di pace come esempio dell'intervento in campo civile per
affrontare il problema della sicurezza internazionale, ponendo la
necessità di riprendere la discussione sulla prevenzione dei conflitti.
Sulla questione della formazione era intervenuta anche Silvana Pisa,
proponendo la costituzione di un Istituto Superiore per la Formazione di
Operatori per la Pace collegato con i corpi civili di pace. Nel suo
intervento conclusivo, ha chiesto esplicitamente ad Alfiero Grandi un
intervento del Ministero dell'Economia per il reperimento delle risorse
finanziarie necessarie.

9. Il quadro di riferimento con particolare riguardo al problema energetico
Nella questione relativa agli impegni internazionali l'altro
argomento trattato a fondo è stata la situazione mediorientale. Le due
proposte più interessanti sono venute da Ugo Intini, che ha suggerito
l'obiettivo di uno status internazionale per Gerusalemme, ventilando la
possibilità di trasferirvi le sedi di alcune agenzie dell'ONU, e da
Jacopo Venier con la già citata questione della creazione della zona
denuclearizzata in Medioriente, ripresa da Francesco Martone. Grande
spazio sulla questione mediorientale è stato dato da Pasqualina
Napoletano, che ha cercato di smontare tutta una serie di luoghi comuni
rispetto al Medioriente. A partire dalla considerazione del ruolo di
Hezhbollah nel Sud del Libano, nel quale a suo avviso occorre portare
lavoro piuttosto che aiuti. Altra considerazione di rilievo ha
riguardato la necessità di sforzarsi di leggere i segnali che provengono
dalla Siria, così come di dedicare attenzione alla differenza di visione
della situazione, specialmente riguardo ad Israele, da parte del
presidente siriano Bashar Assad rispetto a quella del suo collega
iraniano Mahmoud Ahmadinejad, Gli sforzi che sta facendo la Siria
pongono la necessità di un negoziato che abbia come obiettivo il ritiro
delle truppe israeliane dal Golan, così come il primo ministro libanese
Fouad Siniora ha chiesto in un incontro al Parlamento Europeo alcuni
giorni prima di porre le fattorie della zona di Sheeba, attualmente
occupate da coloni israeliani, sotto il controllo dell'ONU. Ricordando
che l'Islam "politico" nasce come opposizione a dei regimi autoritari, e
da questi viene utilizzato come spauracchio per potersi accreditare agli
occhi dell'Occidente come difensori della laicità, ha rilevato come i
partiti religiosi possano essere invece importanti promotori di riforme.
In proposito ha citato il caso della Turchia, che da paese in mano a
governi laici sostanzialmente subalterni ai militari, nel momento in cui
è andato al governo un partito di ispirazione religiosa ha invece
incominciato importanti aperture nel campo dei diritti umani. Infine,
aprendo la riflessione più volte ripresa sulla differenza fra Hamas e
Hezhbollah e la necessità di non metterle sullo stesso piano di
Al-Qaeda, in parte incominciata da Elettra Deiana, della Commissione
Difesa della Camera (PRC), ha ammonito sulla necessità di rompere lo
schema del "noi" e "voi" sul piano culturale e superare la dimensione
identitaria.
Altro elemento molto trattato è stato il terrorismo. Addirittura di
"pericolo verde" destinato a durare decenni ha parlato Ugo Intini, che
ha affermato che "siamo nella quarta guerra mondiale e ha definito
l'oppio "l'acqua in cui nasce il pesce del terrorismo".
L'intervento di Initini è apparso tuttavia abbastanza equilibrato, dal
momento che a contenuti inquietanti hanno fatto da contrappeso proposte
interessanti, come quella di acquistare legalmente l'oppio dai
produttori afghani a scopo terapeutico, dal momento che scarseggerebbero
i medicinali per la terapia del dolore, mentre questa potrebbe risultare
molto importante negli anni a venire.
Da un lato ha definito gli ultimi decenni come periodo in cui si è
combattuto un nemico, e si continua tuttora, anche se ha individuato la
cultura come terreno di combattimento, non soltanto il piano militare.
Ha detto che per decenni si è combattuto il nemico sovietico, guardando
però a quello che di positivo poteva venire da quell'esperienza, come
l'antirazzismo e l'egualitarismo, adesso si fa lo stesso con il
fondamentalismo Islamico, che sarebbe a suo dire il nemico di oggi.
Di necessità di costruzione di un nemico come unica giustificazione
della guerra, in tutt'altro tono ha parlato successivamente Alex Zanotelli.
Mentre Elettra Deiana, della Commisione Difesa della Camera,
successivamente ha rilevato che la complessità delle situazioni viene
invece appiattita nella semplificazione estrema della riconduzione alla
categoria del terrorismo e conseguentemente al concetto dello scontro
fra civiltà.
Dell'uso delle nuove tecnologie dell'informazione come modalità
strutturale del terrorismo ha parlato Vincenzo Vita, Assessore alla
Cultura della Provincia di Roma (DS).
Di tutt' altro tono l'intervento di Giovanni Franzoni,
dell'Associazione Italia-Iraq - L'Iraq agli Iraqueni che, lamentando che
assente in tutti i discorsi degli oratori sia stata l'attenzione ai
movimenti resistenziali ha detto che egli "non piange" se arrivano armi
ad Hezhbollah. Sottolinenando la necessità di un dialogo con i movimenti
resistenziali, facendo riferimento per es. a quello guidato da Moqtada
al-Sadr, di cui starebbe cercando di invitare esponenti in Italia, ha
detto che siamo debitori nei confronti di queste organizzazioni. Inoltre
ha chiesto esplicitamente un aiuto per ottenere i visti per i
rappresentanti di movimenti di resistenza.
Altro aspetto delle questioni internazionali molto trattato è stato
l'attenzione al Mediterraneo. Mentre Ugo Intini ha individuato i due
pilastri della politica estera italiana nell'alleanza con gli Stati
Uniti e nell'impegno per l'unificazione europea che l'hanno
caratterizzata a suo dire sin dai tempi della "guerra fredda", Fabio
Alberti, dell'associazione Un ponte per ..., nel suo intervento, in
precedenza aveva posto la necessità di passare da un "euro-atlantismo"
ad una politica "euro-mediterranea", inglobando il Mediterraneo
nell'Europa.
Elettra Deiana, della Commissione Difesa della Camera, ha individuato
il Medioriente come "focus" dell'attenzione geopolitica nel nuovo
millennio, con uno spostamento dall'Europa, che lo era stata negli
ultimi due secoli, Titti Di Salvo, della Commissione Lavoro della Camera
(per i DS, anche se non in contrapposizione), aprendo la sessione
specifica sul disarmo nel pomeriggio, ha indicato nel Mediterraneo il
centro di tutti i problemi di oggi, citando le migrazioni, la guerra e i
rapporti fra le culture.
Accenti differenti sulla questione sono stati posti in vari interventi,
dei quali meritano citazione come modi opposti di affrontare la
questione, la considerazione da parte di Fabio Alberti,
dell'Associazione Un ponte per ... secondo il quale l'Europa non ha
ancora fatto i conti con il colonialismo, sottolineando l'impossibilità
di affrontare processi di pace e di riconciliazione senza un passaggio
attraverso l'assunzione di responsabilità rispetto alle responsabilità
di chi sta nella sponda nord del Mediterraneo rispetto al passato
coloniale e quello in cui invece, ammettendo che, in Afghanistan sono
stati commessi degli errori, Ugo Intini, viceministrro agli Affari
Esteri, ha sostenuto che si sarebbe dovuto dare appoggio al gen. Massoud
per un processo di pace, che, non a caso è stato ucciso da Osama bin
Laden proprio per le sue potenzialità di interlocutore credibile per i
governi occidentali.
Jacopo Venier ha lamentato che per almeno dieci anni "si è dormito"
sul Mediterraneo.
Altra questione di rilievo è stata quella relativa all'energia,
introdotta da Fabio Alberti, che ha sottolineato come la gestione non ne
può essere affidata soltanto alle leggi della competizione su cui si
fonda il mercato, non trattandosi di una merce come le altre. Citando il
caso della Svezia, che ha già annunciato l'intenzione di uscire dalla
sudditanza al petrolio, egli ha aggiunto che anche l'Italia potrebbe
incominciare a ragionare sulla possibilità di superare questa
dipendenza entro 10-15 anni, così come ha interrotto il ricorso
all'energia nucleare con il referendum del 1987. A rincarare la dose è
stato il missionario comboniano Alex Zanotelli, che ha indicato
nell'acqua più che ancora che nel petrolio la causa delle prossime
guerre. Egli ha concluso il suo intervento dicendo che mentre al momento
attuale abbiamo 50 milioni di persone all'anno che muoiono per fame, ben
presto potremmo averne addirittura 100 a causa della sete. Egli ha anche
ricordato come la distrubiuzione dell'acqua sia uno dei problemi alla
base del conflitto israelo-palestinese.
Pasqualina Napoletano, vice presidente del gruppo del Partito
Socialista Europeo al Parlamento di Strasburgo, ha introdotto il suo
intervento ponendo il problema di una mediazione tra il petrolio e
l'acqua, e definendo incomprensibile la mancanza di una politica
energetica italiana.