-------- Messaggio Originale --------
Oggetto:     appunti per una sintesi dei contenuti espressi nel seminario 
"Giù le armi"
Data:     Sun, 8 Oct 2006 21:11:24 +0200
Da:     Angelo <angelo.gandolfi@???>
A:     Silvano Tartarini <silvanotartarini@???>, Berrettibianchi 
<berrettibianchi@???>, LOC <locosm@???>, Clany 
<clany@???>, <ccpnews@???>, Centro di ricerca per la 
pace <nbawac@???>
CC:     <martone_f@???>, "Alfonso Navarra" <alfonav@???>, 
<brunoa01@???>, "norma" <norma.b@???>, "fuselli" 
<ffuselli@???>, "Carlo Schenone" <schenone@???>, "Enrico 
Peyretti" <e.pey@???>, "Fabio Corazzina" <alqantara@???>, "Lina 
Appiano" <l.appiano@???>, "Lorenzo Scaramellini" 
<axp@???>, "Mario Colasante" <mariocolasante@???>, 
"Francesca Vecera" <vecera3@???>, "Vittorio Pallotti" 
<vittoriopallotti@???>, "fernanda" <fernanda.lc@???>, 
"graziella bevilacqua" <bevilacquagraziella@???>, "Antonino 
Drago" <drago@???>, "Luciano Capitini" <capits@???>, "Gianni 
D'Elia" <degia7@???>, "Ciavarella Giovanni" 
<giovanni.ciavarella@???>, "Raffaele Barbiero" 
<raffaele.barbiero@???>, <paolo.cacciari_49@???>, "Paolo 
Candelari" <paolocand@???>, <pisa_s@???>, 
<iovene_a@???>, <DEZULUETA_C@???>, "deiana" 
<deiana_e@???>, <VENIER_I@???>, <giovanni.russotto1@???>, 
<luigipreviati@???>, "Massimo DallaGiovanna" 
<Massimo.DallaGiovanna@???>, "Tusio De Iuliis" 
<yuro.doc@???>, <alex.zanotelli@???>, 
<baracca@???>, <gianni.alioti@???>, "haidi" 
<haidi.gaggio@???>, "ugo" <alfredo.beiso@???>, 
"Martina Pignatti Morano" <pignattimora@???>, "Vittorio Agnoletto" 
<vagnoletto@???>, "BERGAMASCHI Paolo" 
<pbergamaschi@???>
Cari amici e compagni di entrambe i generi,
    scusandomi per il ritardo, Vi invio quel che son riuscito a mettere 
insieme rispetto al seminario tenutosi venerdì 29 settembre p. v. a 
Palazzo Marini.
 Colgo l'occasione per ricordarVi che delle mie inquietudini e dei miei 
scritti ciascuno ne può far quel che vuole e che se qualcosa venisse 
citato preferisco che venga dato risalto all'organizzazione (Berretti 
Bianchi ONLUS e Campagna di Obiezione di Coscienza alle Spese Militari) 
più che al redattore materiale.
 Vi sarò grato se mi aiutereTe a far circolare ad altri di cui non 
dispongo indirizzo di posta elettronica questo modesto scritto, sempre 
che pensiaTe che ne valga la pena.
 Purtroppo non son riuscito a seguire come si deve tutti gli interventi, 
se qualcuno avesse dei suoi appunti con cui integrare o correggere gli 
eventuali errori, e fosse interessato ad uno scambio eventualmente anche 
ad una condivisione, gliene sarei molto grato. 
 In particolare mi piacerebbe che andasse alle persone citate, 
specialmente a Chiara Bonaiuti, Riccardo Troisi, Giorgio Beretta, Emilio 
Lonati.
 Buon lavoro a tutti.
 A presto
                                                                        
                                                                        
                                                            Angelo
APPUNTI PER UNA SINTESI DEI CONTENUTI ESPRESSI NEL SEMINARIO "GIU' LE ARMI!"
Roma, Camera dei Deputati - Sala delle Conferenze di Palazzo Marini, 29 
settembre 2006
    Mi asterrò da ogni commento, premettendo soltanto una inquietudine 
di fondo.
 Non sono riuscito a capire se l'intento del seminario fosse 
effettivamente quello di esprimere dei filoni di un lavoro da 
incominciare e portare avanti o se piuttosto il mantenimento dei 
rapporti con movimenti, associazioni e quanti nella società civile si 
stanno muovendo nella direzione del disarmo, della riconversione e di 
quanto vi sta intorno.
 Premesso questo, provo a raggruppare per argomenti le linee su cui si 
sono articolati i numerosi interventi della giornata.
 Tutti gli interventi sono stati caratterizzati non a partire 
dall'appartenenza, ma dalla posizione istituzionale ricoperta dai vari 
intervenuti. Dunque l'aggiunta dell'appartenenza alla forza politica è 
una specie di nota di redazione, introdotta per chiarezza.
 
1. La questione del disarmo
  L'oggetto intorno a cui il seminario è stato costruito. Il seminario è 
stato scandito nei due momenti coincidenti con le parti della giornata. 
La questione del disarmo ha occupato tutto il pomeriggio, mentre la 
sessione mattutina è stata dedicata soprattutto alla geopolitica.
 Ad aprire sulla questione del disarmo è stato Nuccio Iovene, 
rappresentante della Sinistra Ds nella Commissione Territorio e Ambiente 
del Senato, che ha aperto il suo intervento ricordando l'ultimo discorso 
di padre Ernesto Balducci, "Addio alle armi", in cui era contenuto un 
passaggio sulle attività  iraniane in campo nucleare che sembrerebbe 
scritto ai giorni nostri. Silvana Pisa, senatrice Ds in Commissione 
Difesa, organizzatrice del seminario, ha articolato sin da subito il 
disarmo nella sua doppia direzione: da un lato a livello internazionale, 
con la caratterizzazione tradizionale, dall'altro con una particolare 
attenzione al problema delle "armi leggere" di cui l'Italia sarebbe il 
secondo produttore ed esportatore a livello mondiale.
 Di qui l'individuazione da parte di Silvana Pisa, ripresa da Alex 
Zanotelli e nel pomeriggio da Francesco Martone, della Commissione 
Esteri del Senato (PRC), Chiara Bonaiuti dell'Ires Toscana, da Riccardo 
Troisi della Rete Nazionale per il Disarmo, della legge n.° 185/1990 
come strumento da valorizzare in una politica di disarmo, in qualche 
modo complementare alla questione della riconsegna graduale di armamenti 
alle forze armate degli Stati Uniti d'America, con particolare riguardo 
a quelli atomici e nucleari e alla riconversione dell'industria 
"bellica". Come strumenti ulteriori sono stati individuati i corpi 
civili di pace, la riduzione delle spese militari, con particolare 
riguardo a quella per armamenti e la rinegoziazione delle servitù militari.
 In generale, si è parlato di disarmo come realtà concreta, come 
percorso da iniziare, dando segnali sulla riduzione delle spese 
militari, che ha costituito un'introduzione abbastanza interessante e 
documentata di Marco d'Eramo, giornalista del "manifesto", che ha 
evidenziato come l'Italia sia l'unico paese europeo in cui la spesa per 
armamenti sia pressoché pari a quella per tutto lo stato sociale. Mentre 
molto differenti sono le percentuali di Francia, Gran Bretagna e Germania.
 L'interrogativo posto in vari interventi è stato come mettere insieme 
la lotta al terrorismo e il disarmo.
 In particolare Silvana Pisa nella sua introduzione ha proposto, ripresa 
soltanto da Eros Cruccolini, presidente del Consiglio Comunale di 
Firenze, la prospettiva della discussione su una possibile dichiarazione 
di neutralità dell'Italia.
 E Jacopo Venier, della Commissione Esteri della Camera, del PDCI, ha 
posto la necessità di un'azione italiana per la creazione di una zona 
denuclearizzata nel Medioriente.
 Della questione del disarmo come parte di un pacchetto che deve far 
parte di uno scambio fra Unione Europea e Stati Uniti ha parlato Ana 
Gomes, responsabile per il Disarmo del Partito Socialista Europeo. 
Specificando ad es. la necessità di porre mano a delle convenzioni 
contro le armi chimiche e biologiche.
 Del ruolo degli Enti locali nel processo di disarmo ha parlato Eros 
Cruccolini, presidente del Consiglio Comunale di Firenze, intervenuto in 
sostituzione del sindaco Leonardo Domenici, da un lato ricordando che 
nel 1955 Giorgio La Pira, primo cittadino del capoluogo toscano, riunì 
35 sindaci di grandi città di tutto il mondo per firmare un trattato 
comune proprio sulla questione in oggetto e candidando Firenze a 
capitale per la costruzione dei corpi civili di pace e per il disarmo 
atomico, citando il patto già stipulato con la città di Ghedi e quello 
in preparazione con Aviano.
 
2. La questione degli armamenti nucleari
 Molto spazio e attenzione sono stati dedicati alla questione degli 
armamenti nucleari.
 Fabrizio Battistelli dell'Archivio Disarmo ha rilevato il paradosso che 
individua nella condizione italiana: uno fra i 5 paesi al mondo che 
hanno sul loro territorio armi nucleari non proprie. E questo nonostante 
lo Stato italiano, con un referendum nel 1987, abbia abbandonato l'uso 
di tecnologie e impianti nucleari in campo civile. Inoltre ha aggiunto 
che queste armi non sono più da considerarsi neppure "strategiche", dal 
momento che non rispondono alle caratteristiche e alle finalità con e 
per cui erano state progettate e costruite. Sono dunque un simbolo del 
controllo esercitato sul nostro Stato e soprattutto una riduzione della 
sovranità popolare nazionale. Egli ha aperto il suo intervento con 
l'interrogativo sulla credibilità dei governi occidentali nella pretesa 
di bloccare le attività nucleari in corso in altre nazioni.
 A questo Francesco Martone, della commissione Esteri del Senato e 
dell'Assemblea Parlamentare della NATO ha aggiunto che gli accordi con 
le forze armate Statunitensi prevedono che gli ordini nucleari possano 
essere imbarcati e sganciati anche da velivoli e sottomarini italiani.
 Alex Zanotelli ha citato l'allarme di Angelo Baracca, degli Scienziati 
per la Pace, che sostiene che mai come in questo momento il mondo è 
stato così vicino ad una guerra nucleare.
 Jacopo Venier, della Commissione Esteri della Camera (PDCI) ha citato 
il problema della richiesta da parte del movimento dei paesi "non 
allineati" di poter continuare le ricerche e le attività nucleari in 
campo civile, avvertendo che comunque queste non sono disgiunte da 
quello militare.
 Secondo quanto riferito nell'introduzione da Silvana Pisa, le testate 
nucleari presenti in Europa sarebbero 480 di cui circa la metà in 
Italia, almeno 90 a Ghedi e le restanti nella base aerea di Aviano. 
Altri paesi che ne ospitano sarebbero il Belgio, l'Olanda,  la Germania 
e la Turchia.
 Già la Grecia e l'Irlanda hanno riconsegnato alle forze armate 
Statunitensi e alla NATO le testate atomiche che erano presenti sul loro 
territorio e pare che il Belgio si appresti a votare una proposta 
simile, senza che nessuno di questi Stati abbia deciso di uscire 
dall'alleanza. Per cui esistono già i precedenti e dunque la stessa 
strada potrebbe essere ripercorsa in Italia.
 Soprattutto della questione nucleare si è occupata Ana Gomes, 
responsabile per il Disarmo del Partito Socialista Europeo, che ha 
incentrato il suo discorso sul trattato di non proliferazione nucleare e 
sulla necessità di dare attuazione allo stesso, tenendo presente che 
quest'accordo internazionale è stato soprattutto voluto dagli 
Statunitensi che oggi sono i primi a violarlo. Ha definito gli 
Statunitensi "architetti" del trattato.
 Dopo aver citato come capisaldi della questione dell'armamento nucleare 
il controllo degli armamenti, il diritto internazionale e il principio 
della non proliferazione, ha ricordato che il nucleo del trattato di non 
proliferazione è uno scambio fra la rinuncia a chi non ha strumenti e 
tecnologie nucleari ad averne e a chi le ha a disfarsene. Il trattato 
stabilisce il diritto-dovere per i firmatari a evitare la 
proliferazione, disarmare e rispettare l'uso delle tecnologie nucleari 
in campo civile.
 Ci sono state due conferenze per aggiornare il trattato di non 
proliferazione: una nel 2000, nella quale si è raggiunto un impegno 
rispetto al disarmo e una nel 2006, ma tuttavia proprio gli Stati che 
sono rappresentati nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU hanno violato 
l'art. 6 del trattato. Come conseguenza di questo mancato rispetto si 
sono creati problemi con alcuni Stati firmatari del trattato come Iraq, 
Corea del Nord e Iran (entrati nella lista degli "stati canaglia" 
compilata dal governo Statunitense), e altri che non l'avevano 
sottoscritto come l'India, il Pakistan e Israele.
 Una minaccia al trattato di non proliferazione verrebbe secondo Ana 
Gomes dalla possibile proliferazione da parte di agenti non statuali, 
dei quali ha citato come es. Al-Qaeda, ricordando che il nuovo 
responsabile dell'organizzazione in Iraq ha rivolto un appello agli 
scienziati affinché mettano a disposizione le nuove tecnologie nucleari 
per usarle contro le installazioni statunitensi.
 La mancanza di una leadership statunitense ed europea ha avuto come 
conseguenza l'indebolimento del trattato di non proliferazione.
 E un es. di conseguenza di questo è l'impegno annunciato dal ministro 
degli Esteri inglese e probabile successore di Anthony Blair alla guida 
del governo Gordon Brown per il rinnovamento dei missili Trident per un 
importo che ammonta a 8-10 miliardi di sterline.
 La richiesta al governo di un impegno per la liberazione del territorio 
italiano dalle armi nucleari e della trasparenza delle politiche 
nucleari degli Stati insieme alla già citata proposta di creazione di 
un'area denuclearizzata in Medioriente sono state le proposte concrete 
presentate da Francesco Martone.
  
 
3. La questione della legge n.° 185/1990  e dell'estensione della legge 
di messa al bando delle mine antipersona alle "cluster bomb"
  Molto spazio ha preso la discussione sulla legge n.° 185/1990 sul 
controllo del commercio delle armi.
 Giorgio Beretta della campagna contro le Banche Armate ha detto, per 
es., che il maggiore acquirente di armi italiane dal 2000 al 2005 è 
risultata la Malaysia. Egli ha anche lamentato il fatto che la relazione 
del Ministero per le Attività Produttive sia stata tutta centrata sulla 
lettura in termini di mercato piuttosto che nello spirito della legge 
stessa. Egli ha citato la necessità di tenere conto nella ricostruzione 
della filiera delle armi dell'analisi del rispetto dei diritti umani nei 
paesi nei quali vengono vendute, del rapporto fra spesa per armamenti e 
prodotto interno lordo e debito estero.
 Sulla legge n.° 185/1990 sono risultate le due posizioni contrapposte: 
da un lato Silvana Pisa e Riccardo Troisi della Rete Nazionale per il 
Disarmo restii a toccare la legge, dall'altra il sottosegretario 
all'Economia Alfiero Grandi, dei DS, che ha sostenuto la necessità di 
riporvi mano, mettendo la condizione di una ridiscussione "a valle di un 
accordo concertato con un blocco sociale" capace di porre al centro il 
ritorno allo spirito originario della legge. Ha indicato la necessità di 
una campagna sulla ridiscussione della legge impostata con una forma di 
sinergia fra le parti interessate, secondo la richiesta che era stata 
fatta da Giorgio Beretta.
 La necessità di attenzione a questa legge è stata rimarcata da Chiara 
Bonaiuti dell'Ires Toscana, che ha citato come risultato della sua 
applicazione la riduzione delle esportazioni di armi verso paesi di 
conflitto da un volume del 50% rispetto al complesso della vendita di 
armi all'estero al 15%.
 Sia Giorgio Beretta della Campagna contro le Banche Armate che  
Fabrizio Battistelli dell'Archivio Disarmo hanno sottolineato 
l'insufficienza della legge soprattutto rispetto alla globalizzazione, 
ponendo la necessità di una legislazione europea, dal momento che era 
stato posto il problema della sottrazione delle fabbriche d'armi alla 
normativa a partire dalla compresenza di aziende in nazioni nelle quali 
vige una differente legislazione. Vi sono infatti aziende che hanno 
stabilimenti produttivi in differenti nazioni e per vendere le armi si 
servono dunque delle norme vigenti nella nazione in cui queste ultime 
risultano più favorevoli per le loro necessità. In particolare Giorgio 
ha sottolineato la necessità che la legge abbia un peso sanzionatorio e 
non sia soltanto una semplice dichiarazione di un principio o di un 
impegno. 
 Di una sorta di estensione della legge n.° 185/1990 si è parlato a 
proposito del disegno di legge presentato da Francesco Martone e da 
altri 36 senatori per la messa al bando della produzione delle "cluster 
bomb", le famigerate bombe a grappolo, che stando a quanto detto da 
Riccardo Troisi, verrebbero anche fabbricate da imprese italiane (ha 
citato il caso della SIMEL). Egli ha anche informato che l'ONU avrebbe 
in progetto di nominare una commissione d'inchiesta sull'uso di questi 
ordigni. La questione era stata anche toccata in apertura del seminario 
da Nuccio Iovene.
 Sempre Riccardo ha posto la necessità di una legislazione 
sull'intermediazione nel commercio delle armi, che a suo dire sarebbe 
mancante.  Della necessità di attrezzare dei sistemi di tracciabilità di 
tutte le componenti delle armi ha parlato Chiara Bonaiuti, insieme 
all'esigenza di un monitoraggio vero e proprio della globalizzazione del 
commercio delle armi.
 Della genericità del codice di condotta europeo e del suo superamento 
hanno parlato Emilio Lonati della FIM CISL, Chiara e Riccardo.
 Sui limiti del codice di condotta si è soffermato nella seconda parte 
del suo intervento il gen. Fabio Mini, ex comandante della missione 
delle forze armate italiane nei Balcani, definendolo addirittura 
"ingenuo", in quanto non affronterebbe questioni come: la mancanza di 
prevenzione rispetto alla prospettiva di utilizzare le "triangolazioni" 
per aggirare divieti e limitazioni di vendita imposte dalle legislazioni 
vigenti, il sostegno di regimi iniqui da parte dei paesi democratici e 
soprattutto le speculazioni finanziarie nel commercio di armi da parte 
degli speculatori finanziari.
 In conclusione egli ha posto l'esigenza che l'approccio politico alla 
materia sia caratterizzato dall'obiettivo di rendere svantaggioso il 
commercio delle armi.
4. La questione delle armi "leggere"
 Della maggiore pericolosità delle armi "leggere" rispetto agli 
armamenti veri e propri, perfino di quelli nucleari, è stato fatto cenno 
innanzitutto da Silvana Pisa nella sua introduzione, ripresa da Giorgio 
Beretta della Campagna contro le Banche Armate, che ha posto la 
necessità dell'estensione della normativa contenuta nella legge n.* 
185/1990 anche a questo particolare settore.
 Egli ha citato la vicenda delle pistole Beretta trovate in Iraq da un 
giornalista come es. dell'insufficienza del controllo delle esportazioni 
e di situazione di coinvolgimento dell'uso a fianco degli armamenti 
usati per la guerra.
 E' stato detto da più di un intervenuto che le vittime delle armi 
"leggere" ogni anno sono molte di più di quelle delle guerre .
 Fabrizio Battistelli dell'Archivio Disarmo ha proposto di riportare 
all'Assemblea Generale dell'ONU l'urgenza di un trattato sul 
trasferimento delle armi "leggere".
 Della questione delle armi "leggere" come possibile leva in alternativa 
alla riscrittura della legge n.° 185/1990, agendo piuttosto sulla n.° 
110/1975 ha parlato Riccardo Troisi della Rete Nazionale per il Disarmo.
 
5. La questione degli impegni internazionali
 E' stata la questione forse più articolata fra quelle trattate.
 Giulio Marcon, della Campagna Sbilanciamoci, ha posto il problema di 
come adeguare le forze armate agli impegni internazionali, e ha 
individuato la prospettiva della riduzione dell'organico delle forze 
armate da 190 mila persone come previsto dal modello di difesa vigente a 
120 mila. Ha affermato che le forze armate Italiane avrebbero più 
generali di quante ne hanno quelle Statunitensi. E ha anche posto il 
problema dell'adeguamento delle forze armate italiane al ruolo dell'ONU 
nelle crisi internazionali.
 Con la sola eccezione di Alex Zanotelli, che ha portato 
l'interrogativo, ripreso da nessuno, sulla prospettiva che le forze 
armate Italiane possano essere usate come eventuale testa di ponte in un 
attacco contro la Siria e l'Iran, specialmente a partire 
dall'avvicendamento nel comando della missione previsto per il prossimo 
anno, e Jacopo Venier che, salutando la fine dell'unipolarismo come 
sistema di governo del mondo, ha ventilato la prospettiva che da un 
equilibrio del terrore dei tempi della "guerra fredda" si stia passando 
ad un multipolarismo del terrore, attraverso la costruzione di un 
multipolarismo "armato", c'è stata una generale espressione di consenso 
alla missione italiana in Libano che a detta di Ugo Intini, viceministro 
agli Esteri (per la Rosa nel Pugno), Elettra Deiana, della Commissione 
Difesa della Camera (per il PRC),  Tana de Zulueta, vice presidente 
della Commissione Esteri della Camera (per i Verdi),  Eros Cruccolini, 
presidente del Consiglio Comunale di Firenze (per i DS), Pasqualina 
Napoletano, parlamentare europea (per i DS), che addirittura ha 
lamentato l'insufficienza dell'impegno europeo, Paolo Beni, presidente 
dell'ARCI, Giorgio Mele, della Commissione Esteri del Senato (sinistra 
DS), Alfiero Grandi, sottosegretario all'economia, risulterebbe una vera 
e propria "svolta".
 Sono varie le interpretazioni date alla questione. Quella più ripresa è 
stata quella del "paradigma".
 Sulla base di una sollecitazione di Elettra Deiana, dellla Commissione 
Difesa della Camera (PRC), che, rilevando che oggi non capiamo più la 
lingua che si parla, ha posto la necessità della ricerca di un nuovo 
pensiero strategico, Tana de Zulueta ha aperto la riflessione sul 
paradigma della difesa, individuando nella centralità della persona come 
soggetto della sicurezza rispetto agli Stati, il contributo nuovo 
portato dagli italiani. E ha inquadrato in questo nuovo paradigma la 
missione in Libano, mentre a suo dire quella in Afghanistan rientrerebbe 
nel vecchio, pertanto ha posto la necessità di ririro delle truppe 
italiane da quest'ultima missione. Così come nel vecchio paradigma 
rientrava la presenza in Iraq. Come altro esempio di questo nuovo 
paradigma ha citato la sconfitta delle milizie armate a suo dire dagli 
Stati Uniti in Somalia ad opera delle Corti islamiche a Mogadiscio, 
ricordando che l'attuale presidente della Banca Mondiale, Paul 
Wolfowitz, prima che venisse deciso l'attacco all'Iraq, nella sua carica 
di sottosegretario alla Difesa aveva ventilato proprio la possibilità di 
un attacco alla Somalia. Tana de Zulueta ha identificato il paradosso 
dell'Afghanistan nella sua essenza di guerra combattuta dagli Italiani 
contro degli Afghani per conto di altri Afghani.
 Dell'inopportunità della prosecuzione della missione in Afghanistan 
aveva già parlato Elettra Deiana, vice presidente della Commissione 
Difesa della Camera (per il PRC), sostenendo che al momento la NATO non 
sarebbe in grado di "governare militarmente" la ripresa di attività dei 
Taleban
 La questione del paradigma della sicurezza è stata l'elemento di novità 
rispetto alla ormai nota considerazione dell'importanza della missione 
in Libano come momento di riscossa dell'ONU e di "risveglio" dell'Unione 
Europea, a partire dall'intervento di Ugo Intini, fino a quello di 
Alfiero Grandi, che ha posto la partecipazione alla missione in LIbano 
sotto la speranza dell'uscita dalla fase della guerra preventiva, 
segnandone la differenza appunto nel carattere di interposizione con 
l'obiettivo di far finire una guerra.
 Tuttavia sia Jacopo Venier, che ha posto la necessità 
dell'accompagnamento della missione ad un processo di sostegno alla 
statualità, che a suo avviso è il limite e la causa del fallimento 
dell'intervento in Iraq, che Pasqualina Napoletano, vice presidente del 
Gruppo del Partito Socialista Europeo presso il Parlamento di 
Strasburgo, che ha invece segnalato la necessità della definizione di 
una durata della missione, a fronte del rischio che se non venga 
accompagnata da interventi sul piano sociale rischi di degrado fino a 
diventare occupazione e quindi a far considerare le truppe come parte in 
conflitto, hanno in qualche modo attenuato questa considerazione 
altrimenti enfatizzata, problematizzandola.
 Il gen. Mini, che ha argomentato buona parte del suo intervento sul 
"fallimento" degli Stati, anche con ricorso a tabelle, ha detto che in 
tutte le  "aree di crisi" in cui essa è stata "risolta" con una missione 
militare internazionale si è dovuti ritornare dopo 5 anni: in Libano c'è 
voluto un po' di più. 
 L'argomento relativo alla missione in Libano è stato collegato 
ripetutamente al ruolo e al rapporto non solo dell'ONU, ma anche della 
NATO. Le due posizioni estreme sono risultate la lealtà reclamata da Ugo 
Intini, che ha chiesto perché mai il peso della missione in Afghanistan 
deve essere tutto sulle spalle della NATO, sollecitando una riflessione 
in proposito, e la necessità di un cambiamento radicale posta da Alex 
Zanotelli, che ha fatto riferimento all'illegittimità della svolta del 
1999 in cui essa da alleanza difensiva è diventata strumento di difesa 
degli interessi dei paesi che ne fanno parte al di fuori dei loro territori.
 Fra le ragioni alla base della valutazione positiva della "svolta" che 
rappresenterebbe la missione in Libano vi è anche, secondo il 
sottosegretario all'Economia Alfiero Grandi, la prevalenza dell'impegno 
per la ricostruzione e per gli aiuti, per i quali si può arrivare ad uno 
0,7 % escludendo da questi naturalmente gli armamenti. Egli ha citato 
inoltre l'iniziativa della viceministra agli Esteri Patrizia Sentinelli 
impegnata a includere l'Italia fra i 43 paesi, che hanno come capofila 
il presidente del Brasile Luiz Ignacio da Silva e quello francese 
Jacques Chirac che stanno lavorando per un superamento delle politiche 
nazionali in materia di cooperazione cercando altri strumenti, fra i 
quali è stata citata la Tobin-tax, ovvero il prelievo fiscale pari allo 
0.50%  su ogni transazione bancaria superiore ad una certa cifra.
 
6. La questione della riconversione dell'industria bellica
 La riconversione dell'industria bellica è stata posta al centro degli 
interventi dei due rappresentanti sindacali, Paolo Nerozzi, segretario 
generale della CGIL e Emilio Lonati della FIM CISL.
 Annunciata nell'introduzione da Silvana Pisa, che ha posto l'esigenza 
di una necessità della discfussione in sede europea. Ella ha poi 
annunciatoi un piano per la riconversione dell'industria che attualmente 
produce per le forze armate di cui avrebbe parlato Paolo Nerozzi, che ha 
posto come problema nella riconversione oltre che alla questione 
occupazionale la forte identificazione fra i lavoratori e il prodotto 
del loro lavoro. Aprendo il proprio intervento, egli ha chiesto se la 
riduzione di imposta detta "cuneo fiscale" si applica anche alle 
fabbriche d'armi.
 Emilio Lonati ha posto il problema della contraddizione fra la 
partecipazione alle manifestazioni per la pace da parte di molti 
lavoratori che, nel quotidiano, producono armamenti. Riprendendo 
l'intervento di Paolo Nerozzi, ha articolato l'esigenza di una 
strumentazione, in cui assume importanza un fondo nazionale per la 
riconversione. Citando il caso dell'impresa Agusta, che si è salvata 
dalla crisi proprio grazie ad una riconversione parziale dalla 
produzione a destinazione militare a quella civile, egli ha posto la 
necessità di un riorientamento della domanda pubblica, mettendo in 
rilievo il paradosso per cui, pur essendo il paese che ha la migliore 
produzione di elicotteri, ne ha la minore quantità utilizzati nel campo 
sanitario. L'argomento è stato in parte ripreso da Alfiero Grandi che ha 
posto la necessità di affrontare il tema del cambiamento degli obiettivi 
produttivi. Nella stessa direzione la parte dell'intervento di Jacopo 
Venier, che ha posto la necessità dello sganciamento dello sviluppo 
tecnologico dall'industria militare. Anche Vincenzo Vita ha ricordato 
come la tecnologia informatica sia nata dallo sviluppo di ricerche in 
campo militare, come sistema di comunicazione interna del Dipartimento 
della Difesa Statunitense nell'ipotesi che i nemici (all'epoca 
sovietici) fossero riusciti a distruggere gli strumenti per la 
comunicazione installati.
 Fabio Corazzina, coordinatore nazionale di Pax Christi, è intervenuto 
ponendo la necessità di evitare che il sostegno alla riconversione sia 
esteso alle tecnologie duali, in quanto vi è il rischio che con i fondi 
per la riconversione venga invece ulteriormente finanziata la produzione 
di armamenti. Come esemplificazione ha portato il caso della Regione 
Piemonte, in cui a breve distanza, sono stati presentati due disegni di 
legge di sostegno alla riconversione, entrambi di iniziativa di 
rappresentanti della coalizione di centrosinistra, nel secondo dei quali 
è contemplata appunto la possibilità di finanziamento di quelle imprese 
che hanno un'applicazione duale delle tecnologie di produzione, sia in 
campo civile che in quello militare. Egli ha anche ammonito che la 
logica della diversificazione produttiva piuttosto che la riconversione 
viaggia in quella della tecnologia duale, con il rischio citato.
 La presentazione di un disegno di legge per la costituzione di 
un'agenzia nazionale per la riconversione è stata oggetto 
dell'intervento di Francesco Martone, senatore della Commissione Difesa, 
che ha detto di aver ripresentato un progetto di legge in merito, 
avendone già proposto uno nell'ultimo periodo della precedente 
legislatura. L'approccio scelto tuttavia è di un riesame dal punto di 
vista della produzione industriale, più che da quello "ideologico", 
quindi con attenzione a non penalizzare i lavoratori e le imprese.
 Della necessità di una sinergia fra il mondo del lavoro e i movimenti 
pacifisti ha parlato Alfiero Grandi. 
 Voci decisamente diverse sono state quelle di Alex Zanotelli in 
mattinata e Riccardo Troisi nel pomeriggio che hanno chiesto con forza 
la revoca degli accordi di cooperazione militare con Israele e con l'Egitto.
7. La questione della riduzione delle spese militari e della 
rinegoziazione delle servitù militari
 Al centro dell'intervento di Giulio Marcon, della Campagna 
Sbilanciamoci,  che ha fatto seguito al documentato intervento di Marco 
d'Eramo che ne ha illustrato le dimensioni, la questione della riduzione 
delle spese militari è stata posta in numerosi interventi.
 Nella relazione introduttiva Silvana Pisa, dopo aver posto la necessità 
della distinzione fra spesa per il personale militare e quella per 
armamenti, a proposito della partecipazione italiana al progetto di 
caccia aereo Joint Strike Fighter, frutto di cooperazione fra imprese 
Statunitensi ed Europee, che impegna il nostro paese per decine di 
miliardi, lo ha definito equivalente al costo di una finanziaria.
 Nel suo intervento Marco d'Eramo ha detto che il bilancio del Ministero 
della Difesa è pari allo 0,80 &% del prodotto interno lordo, ma le spese 
per forze armate e armamenti in realtà raggiungono il 2%.
 Dopo l'intervento di Giulio Marcon, Tana De Zulueta, a proposito della 
audizione tenuta alcuni giorni prima in Commissione Difesa della Camera, 
ha detto che stando a quanto ha riferito l'amm. Di Paola, capo di stato 
maggiore della difesa, le forze armate sembrerebbero sull'orlo della 
bancarotta. Sulla base di questo paradosso ha invece sostenuto la 
necessità di analizzare attentamente le voci di spesa per rendere 
giustizia a quella parte di elettorato che chiede la riduzione delle 
spese militari.
 Della riduzione delle spese militari come segnale necessario da dare a 
chi sostiene la maggioranza di centrosinistra ha parlato anche Eros 
Cruccolini, presidente del Consiglio Comunale di Firenze, che ha 
dedicato attenzione anche alla rinegoziazione delle servitù militari, 
citando la richiesta esplicitamente fatta al governo da parte del 
presidente della Giunta regionale della Toscana.
 A quest'ultimo tema ha anche naccennato introducendo i lavori anche 
Silvana Pisa.
   
8. La questione dei corpi civili di pace
  Si è parlato molto di corpi civili di pace, ma gli unici a scendere un 
po' più in dettaglio sono stati Eros Cruccolini e Riccardo Troisi.
 Quest'ultimo ha proposto l'inserimento nella finanziaria di un bando 
pubblico per la formazione di volontari per la costituzione di un corpo 
civile di pace.
 Eros Cruccolini invece, candidando Firenze a capitale per la 
costruzione dei corpi civili di pace, si è soffermato sull'importanza 
dei corpi civili di pace, citando gli effetti positivi della loro 
presenza in luogo di conflitto individuati nell'abbassamento del livello 
di aggressività e di elevazione di quello del dialogo.
  In precedenza Giulio Marcon aveva citato la costituzione dei corpi 
civili di pace come esempio dell'intervento in campo civile per 
affrontare il problema della sicurezza internazionale, ponendo la 
necessità di riprendere la discussione sulla prevenzione dei conflitti.
 Sulla questione della formazione era intervenuta anche Silvana Pisa, 
proponendo la costituzione di un Istituto Superiore per la Formazione di 
Operatori per la Pace collegato con i corpi civili di pace. Nel suo 
intervento conclusivo, ha chiesto esplicitamente ad Alfiero Grandi un 
intervento del Ministero dell'Economia per il reperimento delle risorse 
finanziarie necessarie. 
9.  Il quadro di riferimento con particolare riguardo al problema energetico
   Nella questione relativa agli impegni internazionali l'altro 
argomento trattato a fondo è stata la situazione mediorientale. Le due 
proposte più interessanti sono venute da Ugo Intini, che ha suggerito 
l'obiettivo di uno status internazionale per Gerusalemme, ventilando la 
possibilità di trasferirvi le sedi di alcune agenzie dell'ONU, e da 
Jacopo Venier con la già citata questione della creazione della zona 
denuclearizzata in Medioriente, ripresa da Francesco Martone. Grande 
spazio sulla questione mediorientale è stato dato da Pasqualina 
Napoletano, che ha cercato di smontare tutta una serie di luoghi comuni 
rispetto al Medioriente. A partire dalla considerazione del ruolo di 
Hezhbollah nel Sud del Libano, nel quale a suo avviso occorre portare 
lavoro piuttosto che aiuti. Altra considerazione di rilievo ha 
riguardato la necessità di sforzarsi di leggere i segnali che provengono 
dalla Siria, così come di dedicare attenzione alla differenza di visione 
della situazione, specialmente riguardo ad Israele, da parte del 
presidente siriano Bashar Assad rispetto a quella del suo collega 
iraniano Mahmoud Ahmadinejad, Gli sforzi che sta facendo la Siria 
pongono la necessità di un negoziato che abbia come obiettivo il ritiro 
delle truppe israeliane dal Golan, così come il primo ministro libanese 
Fouad Siniora ha chiesto in un incontro al Parlamento Europeo alcuni 
giorni prima di porre le fattorie della zona di Sheeba, attualmente 
occupate da coloni israeliani, sotto il controllo dell'ONU. Ricordando 
che l'Islam "politico" nasce come opposizione a dei regimi autoritari, e 
da questi viene utilizzato come spauracchio per potersi accreditare agli 
occhi dell'Occidente come difensori della laicità, ha rilevato come i 
partiti religiosi possano essere invece importanti promotori di riforme. 
In proposito ha citato il caso della Turchia, che da paese in mano a 
governi laici sostanzialmente subalterni ai militari, nel momento in cui 
è andato al governo un partito di ispirazione religiosa ha invece 
incominciato importanti aperture nel campo dei diritti umani. Infine, 
aprendo la riflessione più volte ripresa sulla differenza fra Hamas e 
Hezhbollah e la necessità di non metterle sullo stesso piano di 
Al-Qaeda, in parte incominciata da Elettra Deiana, della Commissione 
Difesa della Camera (PRC), ha ammonito sulla necessità di rompere lo 
schema del "noi" e "voi" sul piano culturale e superare la dimensione 
identitaria.
 Altro elemento molto trattato è stato il terrorismo. Addirittura di 
"pericolo verde" destinato a durare decenni ha parlato Ugo Intini, che 
ha affermato che "siamo nella quarta guerra mondiale e ha definito 
l'oppio "l'acqua in cui nasce il pesce del terrorismo".
 L'intervento di Initini è apparso tuttavia abbastanza equilibrato, dal 
momento che a contenuti inquietanti hanno fatto da contrappeso proposte 
interessanti, come quella di acquistare legalmente l'oppio dai 
produttori afghani a scopo terapeutico, dal momento che scarseggerebbero 
i medicinali per la terapia del dolore, mentre questa potrebbe risultare 
molto importante negli anni a venire.
 Da un lato ha definito gli ultimi decenni come periodo in cui si è 
combattuto un nemico, e si continua tuttora, anche se ha individuato la 
cultura come terreno di combattimento, non soltanto il piano militare. 
Ha detto che per decenni si è combattuto il nemico sovietico, guardando 
però a quello che di positivo poteva venire da quell'esperienza, come 
l'antirazzismo e l'egualitarismo, adesso si fa lo stesso con il 
fondamentalismo Islamico, che sarebbe a suo dire il nemico di oggi.
 Di necessità di costruzione di un nemico come unica giustificazione 
della guerra, in tutt'altro tono ha parlato successivamente Alex Zanotelli.
 Mentre Elettra Deiana, della Commisione Difesa della Camera,  
successivamente ha rilevato che la complessità delle situazioni viene 
invece appiattita nella semplificazione estrema della riconduzione alla 
categoria del terrorismo e conseguentemente al concetto dello scontro 
fra civiltà.
 Dell'uso delle nuove tecnologie dell'informazione come modalità 
strutturale del terrorismo ha parlato Vincenzo Vita, Assessore alla 
Cultura della Provincia di Roma (DS). 
 Di tutt' altro tono l'intervento di Giovanni Franzoni, 
dell'Associazione Italia-Iraq - L'Iraq agli Iraqueni che, lamentando che 
assente in tutti i discorsi degli oratori sia stata l'attenzione ai 
movimenti resistenziali ha detto che egli "non piange" se arrivano armi 
ad Hezhbollah. Sottolinenando la necessità di un dialogo con i movimenti 
resistenziali, facendo riferimento per es. a quello guidato da Moqtada 
al-Sadr, di cui starebbe cercando di invitare esponenti in Italia, ha 
detto che siamo debitori nei confronti di queste organizzazioni. Inoltre 
ha chiesto esplicitamente un aiuto per ottenere i visti per i 
rappresentanti di movimenti di resistenza.   
 Altro aspetto delle questioni internazionali molto trattato è stato 
l'attenzione al Mediterraneo. Mentre Ugo Intini ha individuato i due 
pilastri della politica estera italiana nell'alleanza con gli Stati 
Uniti e nell'impegno per l'unificazione europea che l'hanno 
caratterizzata a suo dire sin dai tempi della "guerra fredda", Fabio 
Alberti, dell'associazione Un ponte per ..., nel suo intervento, in 
precedenza aveva posto la necessità di passare da un "euro-atlantismo" 
ad una politica "euro-mediterranea", inglobando il Mediterraneo 
nell'Europa.
 Elettra Deiana, della Commissione Difesa della Camera, ha individuato 
il Medioriente come "focus" dell'attenzione geopolitica nel nuovo 
millennio, con uno spostamento dall'Europa, che lo era stata negli 
ultimi due secoli, Titti Di Salvo, della Commissione Lavoro della Camera 
(per i DS, anche se non in contrapposizione), aprendo la sessione 
specifica sul disarmo nel pomeriggio, ha indicato nel Mediterraneo il 
centro di tutti i problemi di oggi, citando le migrazioni, la guerra e i 
rapporti fra le culture.
 Accenti differenti sulla questione sono stati posti in vari interventi, 
dei quali meritano citazione come modi opposti di affrontare la 
questione, la considerazione da parte di Fabio Alberti, 
dell'Associazione Un ponte per ... secondo il quale l'Europa non ha 
ancora fatto i conti con il colonialismo, sottolineando l'impossibilità 
di affrontare processi di pace e di riconciliazione senza un passaggio 
attraverso l'assunzione di responsabilità rispetto alle responsabilità 
di chi sta nella sponda nord del Mediterraneo rispetto al passato 
coloniale e quello in cui invece, ammettendo che, in Afghanistan sono 
stati commessi degli errori, Ugo Intini, viceministrro agli Affari 
Esteri, ha sostenuto che si sarebbe dovuto dare appoggio al gen. Massoud 
per un processo di pace, che, non a caso è stato ucciso da Osama bin 
Laden proprio per le sue potenzialità di interlocutore credibile per i 
governi occidentali.
  Jacopo Venier ha lamentato che per almeno dieci anni "si è dormito" 
sul Mediterraneo.
  Altra questione di rilievo è stata quella relativa all'energia, 
introdotta da Fabio Alberti, che ha sottolineato come la gestione non ne 
può essere affidata soltanto alle leggi della competizione su cui si 
fonda il mercato, non trattandosi di una merce come le altre. Citando il 
caso della Svezia, che ha già annunciato l'intenzione di uscire dalla 
sudditanza al petrolio, egli ha aggiunto che anche l'Italia potrebbe 
incominciare  a ragionare sulla possibilità di superare questa 
dipendenza entro 10-15 anni, così come ha interrotto il ricorso 
all'energia nucleare con il referendum del 1987. A rincarare la dose è 
stato il missionario comboniano Alex Zanotelli, che ha indicato 
nell'acqua più che ancora che nel petrolio la causa delle prossime 
guerre. Egli ha concluso il suo intervento dicendo che mentre al momento 
attuale abbiamo 50 milioni di persone all'anno che muoiono per fame, ben 
presto potremmo averne addirittura 100 a causa della sete. Egli ha anche 
ricordato come la distrubiuzione dell'acqua sia uno dei problemi alla 
base del conflitto israelo-palestinese.
 Pasqualina Napoletano, vice presidente del gruppo del Partito 
Socialista Europeo al Parlamento di Strasburgo, ha introdotto il suo 
intervento ponendo il problema di una mediazione tra il petrolio e 
l'acqua, e definendo incomprensibile la mancanza di una politica 
energetica italiana.