[NuovoLab] Afganistan e Libano: Usciamo dalla “superstizio…

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Autore: antonio bruno
Data:  
To: aderentiretecontrog8
CC: forumgenova, fori-sociali, forumsociale-ponge, debate
Oggetto: [NuovoLab] Afganistan e Libano: Usciamo dalla “superstizione

liberazione 4.10.2006

Sulla manifestazione per il ritiro dall’Afghanistan e contro la missione in
Libano
Usciamo dalla “superstizione” e rinnoviamo le nostre categorie analitiche

Lidia Menapace

Ero a Roma il 30 settembre e poiché abito molto vicino a dove si è conclusa
la manifestazione per il ritiro immediato delle truppe italiane
dall’Afghanistan, e contro la spedizione in Libano, ho incontrato un certo
numero di compagni e compagne che conosco da una vita e che mi chiedevano
amareggiati perché non ci fossi andata. Non ero e non sono d’accordo con la
piattaforma, anche se so che è scritta e agita con una coscienza politica
che in molti aspetti considero vicinissima a me. A allora? come mai? non
sono mai stata una che per aderire a una cosa vuole che ci siano tutte le
parole che ama.

Provo a spiegarmi.

Credo si debbano rinnovare le nostre categorie analitiche, e questa è una
affermazione generale che mi sento di fare ogni volta, di fronte a discorsi
che mi suonano poggiati su categorie note conosciute, studiate, ma ripetute
in un modo che mi pare un po’ “superstizioso”. Quello che avrei voluto
dire: come amuleti o portafortuna, insomma non razionali, ma solo
rassicuranti. Lo dico sempre di fronte a grandi categorie interpretative
che a mio parere bisogna conoscere amare, ma saper anche considerare non
più adatte a leggere il presente: per questo si cerca di fare la Sinistra
Europea. Meno di tutto serve ripristinare una ortodossia. Le scelte
moderate che facciamo non sono nate per caso, o per tradimento: i problemi
che mostrano sono reali, bisogna trovare altre soluzioni, non ripetere le
proposte di decenni fa.

Inoltre le nuove analisi vanno costruite attraverso il metodo del consenso
cioè cercando le approssimazioni successive verso un nucleo di realtà
convincente, anche se non per tutti/e allo stesso modo. Non credo si debba
cercare l’unità, ma la molteplicità, non la sintesi che non ospiti
varianti, ma ragioni diverse per concorrere allo stesso fine ecc. Vuol dire
fare i conti fino in fondo col pensiero della differenza che mette in crisi
tutti i monoteismi. E per raggiungere un buon consenso l’atteggiamento
verso chi è di altra opinione è bene che sia modesto, sommesso,
“repubblicano”, come sono solita dire, e non puro e duro, sprezzante.
Scrivo proprio perché tale atteggiamento critico e sommesso ho riscontrato
in chi, venendo dalla manifestazione mi ha incontrato.

Come base analitica, oltre a un atteggiamento consensuale, cioè di ricerca
del consenso e modesto, cerco sempre di partire da esperienze note. E
questa è la cosa che a me è tornata più utile. Mi spiego subito con esempi.
Appena avviata la faccenda libanese, le parole più forti sono state usate
verso gli Hezbollah, giustamente: ma ci siamo sbracciati a chiedere chi
dovesse disarmarli ecc. Intanto la missione dell’Onu non ha il compito di
disarmare, bensì di garantire la tregua, chiesta dai due popoli che si
fronteggiavano sanguinosamente. Aggiungo che per fondare una analisi
precisa si deve partire dall’uso corretto delle definizioni, anche tenendo
conto di alcune non sempre sincere sottigliezze del diritto sulle quali
però bisogna imparare a giocare e non invece sprezzantemente ignorare.
A proposito della manifestazione contro la missione in Libano e per il
ritiro dall’Afghanistan
Rinnoviamo le nostre categorie analitiche
Meglio far lavorare la fantasia che le parole d’ordine
Lidia Menapace
Mi spiego con un esempio: quando ci fu il fenomeno del fordismo, Lenin non
disse né che era cambiato il modo di produzione, né che non era cambiato
nulla, ma si occupò appunto del fordismo seriamente e con precisione, per
poter attrezzare la lotta operaia.

Appena dunque ho cominciato a leggere i fatti, prima di tutto ho cercato di
capire che cosa sono gli Hezbollah. Non sono Al Qaeda, sono proprio
un’altra forma politica di risposta ad Israele e agli Usa, meno ambigua di
Al Qaeda sulla quale pesano sospetti di infiltrazioni e peggio, persino a
proposito dell’11 settembre. Pensando agli Hezbollah mi è venuto in mente
Hamas, che avevo a lungo esaminato, dato che a me erano famigliari quelli
di Al Fatah, il partito di Arafat. Sapevo che era molto corrotto e che
Hamas era per questo espressione di altri pensieri politici: ma ambedue
erano e sono formazioni politico-militari. Così Hamas come partito
politico-militare prende parte alla lotta politica e vince le elezioni. Da
questo punto in poi tende a diventare partito politico (e quasi basta). Un
processo simile si verificò anche dentro la Resistenza: ogniqualvolta una
forma politico-militare vince, si divide tra chi pensa di aver ottenuto il
fine proposto e il maggior risultato possibile e passa all’azione solo
politica, cioè che escluda l’uso della forza e delle armi, e chi invece
vuole proseguire con le armi. Chi appoggia da fuori fa bene, a mio parere,
a favorire il processo verso la politica e ad escludere l’uso delle armi.
Almeno appena vede che si apre una strada che può essere percorsa appunto
dalla politica, e che rende perciò non accettabile qualsiasi uso di armi.
Per questo Hezbollah - per così dire - si disarma da sé e viene
costituzionalizzato entro lo stato libanese, del cui governo fa già
democraticamente parte.

Riusciamo a capire che cosa è utile fare da parte nostra? Possiamo fare
esempi con storie analoghe successe in Europa. Non siamo affatto estranei
da storie simili: ad esempio i Baschi e gli Irlandesi hanno formazioni
politico-militari e nei loro confronti è stata rispettata rigorosamente la
sovranità spagnola e inglese e non si sono invocate né condotte invasioni,
missioni liberatorie ecc. ecc. E ambedue sono sulla via di una risoluzione
per la quale si è usata una pazienza internazionale lunghissima.

Dunque, se Hamas e Hezbollah debbono essere considerati interlocutori,
ogniqualvolta si ha qualcosa da dire, perché non cercare che anche i
Talebani si riconvertano in formazione politico-militare ed entrino nel
discorso? la cosa è più difficile, dato che in Afghanistan formalmente c’è
un governo regolare, e truppe di vari stati sotto nome Nato di occupazione,
ma potrebbe essere l’Iran a consigliare Hezbollah, dato che è in contatto
con loro ed è capace di essere sufficientemente doppio e sottile.

Da ciò la mia assoluta incapacità di seguire altre strade che non siano a
un dipresso quelle che ho già detto: cerchiamo di trascinare la questione
afghana verso azioni simili a quelle del Libano, e - anche attraverso
rapporti decenti con il governo iraniano - cerchiamo di indire una
conferenza internazionale alla quale prendano parte tutti gli attori
afgani, il governo, ma anche l’opposizione, Rawa, i Talebani e i contadini
e le truppe stanziate sul territorio e l’Europa e trattiamo con gli Afghani
e vediamo se si riesce a trasformare i militari in garanti della tregua o -
meglio - a sostituirli con missioni di caschi bianchi, cioè con forze
organizzate ma non combattenti. Insomma a me pare che giovi far lavorare la
fantasia che è una bella forma della ragione, non ripetitiva né
catechistica, che non recitare rosari ossessivi di parole d'ordine che non
sono traducibili in nessuna azione politica.