[NuovoLab] LE BUGIE HANNO LE GAMBE CORTE

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Author: Sergio Casanova
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To: forumgenova
Subject: [NuovoLab] LE BUGIE HANNO LE GAMBE CORTE



LE BUGIE HANNO LE GAMBE CORTE
 
Ogni giorno vengono alla luce pezzi di verità che sono stati occultati nella fase di costruzione e nei primi momenti di grande entusiasmo per “la manovra senza precedenti “ che, si diceva, essere riuscita nel miracolo di rispettare i vincoli di Maastricht e di ridistribuire il reddito. Sono talmente numerosi, al contrario, gli aspetti che vanno nel senso di un’ennesima redistribuzione a favore dei profitti e a discapito dei salari che ci vorrà ancora qualche giorno per farne un rendiconto preciso.
E’ estremamente importante fare bene e in fretta questo lavoro, perché solo demistificando il vantato segno redistributivo verso il basso e punitivo verso l’alto ( su cui la destra si è ovviamente buttata a pesce per la sua propaganda populista ) si potranno porre  le basi per l’apertura dei conflitti necessari al miglioramento dei contenuti della Finanziaria 2007. In caso contrario saranno poste all’ordine del giorno ( come sta avvenendo finora ) solo le modifiche in senso ulteriormente peggiorativo.
 
Mi pare necessario un chiarimento di fondo su cosa significa ridistribuire il reddito, visto che dal tenore del dibattito in corso sui mass media, pare proprio non essere chiaro.
La redistribuzione non può essere misurata solo tenendo conto del trasferimento di 2-3 mld. di €, come pare sia, dai redditi più elevati a quelli più bassi, che avverrebbe con la rimodulazione dell’IRPEF rispetto alla sua attuale, pessima, configurazione.
Questo spostamento è ovviamente positivo, pur essendo lontanissimo dal recuperare, anche solo in piccola misura, l’aumento della pressione fiscale avvenuto ai danni del salario e anche se non andrà neppure per intero al salario, ma in misura non piccola premierà parte degli evasori fiscali.  Esso, però non è l’unico elemento redistributivo.
Infatti va collocato nel quadro della fiscalità complessiva, del salario differito e del salario sociale ( inteso come l’insieme dei servizi pubblici di cui si può fruire gratuitamente o a prezzi inferiori a quelli di mercato).

Il complesso delle entrate fiscali e contributive è ammontato, nel 2005, a 575 mld. di €, quindi lo spostamento di 2-3 mld. riguarda circa lo 0,4% del totale e non modifica certo l’attuale struttura classista del nostro sistema tributario. Ricordiamoci, comunque, che i lavoratori dipendenti dovranno pagare lo 0,3% in più di contributi sociali!
Il peggioramento del sistema pensionistico è stato spostato di pochi mesi, solo per fare un favore ai sindacati, che, riconoscenti, hanno già concordato le linee generali della nuova “riforma”. Ma la manovra economica che si dipanerà nel 2007, lo comprende a pieno titolo! Sul TFR è in corso una partita molto complessa, ma che è rivolta, tra l’altro,  a trasformare il TFR da reddito di proprietà dei lavoratori a denaro disponibile per i fondi pensionistici privati e per l’INPS, tanto da essere considerati come entrate dello Stato (previsione di 5 mld.) già dal 2007!
I pesanti tagli agli enti locali e alla sanità ( 7,6 mld., per limitarci a questi) comporteranno una ulteriore riduzione del salario sociale e/o un aumento dell’addizionale IRPEF (proporzionale, quindi sfavorevole per i “più deboli”) fino allo 0,3% in più dell’attuale massimo e/o nuovi tickets sanitari
Anche solo da questo primo esame, non pare proprio che la redistribuzione avverrà verso il basso!!
 
Se ciò non bastasse, i soldi per le imprese non mancano certo ( 5,5 mld. solo sotto forma di taglio al “cuneo fiscale”) e vanno direttamente a foraggiare i profitti! Ma c’è dell’altro, naturalmente. Tutto ciò non per particolare malvagità, ma per le scelte di politica economica e ideologiche che sono notoriamente proprie da tempo della gran parte dei partiti dell’Unione, in conseguenza degli interessi materiali che essi rappresentano.
 
Ricordo, per la cronaca, che ci sono anche i soldi per un aumento dei finanziamenti alla scuola privata! Ma c’è ben di peggio: la spesa militare!
 
A titolo informativo riporto, per chi non li avesse letti, alcuni articoli che si riferiscono solo a due questioni: il “cuneo fiscale” scomparso ( la parte per i lavoratori, naturalmente!) e l’intesa governo-sindacati per i nuovi tagli alle pensioni da approvare entro il 31 marzo 2007.
 
Buona lettura e ciao a tutte e tutti,
 
Sergio Casanova
 














Visco si mangia il cuneo
Nella legge finanziaria è sparita la restituzione del cuneo fiscale ai lavoratori dipendenti.Del taglio del costo del lavoro beneficeranno solo le imprese: nelle buste paga non ci sarà un euro di più. La riduzione favorirà anche gli evasori fiscali.
Galapagos
Dal taglio di cinque punti del cuneo fiscale ai lavoratori dipendenti non arriverà una lira. Tutto il dibattito che aveva preceduto la riduzione del costo del lavoro è carta straccia: ai lavoratori dipendenti ai quali doveva andare il 40% del minor costo del lavoro non vedranno una lira in busta paga. A beneficiare dei soldi dei lavoratori (stimabili in circa 4 miliardi lordi di euro) saranno infatti tutti i contribuenti. Partiamo dall'inizio: una quindicina di giorni fa il governo aveva fatto il grande annuncio: taglieremo di cinque punti il cuneo fiscale e nelle tasche dei lavoratori finirà il 40% del taglio. Ovvero tra i 3,6 e i 4 miliardi di euro su base annua. Siccome l'appetito vien mangiando, alcuni sindacati e parte della sinistra radicale avevano rilanciato
chiedendo che il 50% del taglio fosse restituito ai lavoratori. Ma il governo tiene duro: il 40% non si discute. E tutti zitti, anche se la cifra netta in più in busta paga sarebbe bastata solo per un paio di pizze. Una settimana fa la prima sgradita sorpresa: per motivi finanziari (i soldi non bastano) viene comunicato che il taglio di 5 punti di cuneo avverrà in due tranche: (a febbraio e a luglio). In questo modo l'erario risparmierà un po' di soldi, viene spiegato. Ma state sicuri dal 2008 il taglio del cuneo fiscale andrà a regime. Venerdì il governo approva la legge finanziaria. In conferenza stampa, Visco e Padoa Schioppa parlano ampiamente del taglio del cuneo che sarà realizzato fondamentalmente attraverso una riduzione dell'imponibile Irap. I benefici - ci spiegano - del taglio sono evidenti: minor costo del lavoro, maggiore competitività e quindi un aiuto allo sviluppo. Poi ci
spiegano anche che per il Sud il taglio del cuneo fiscale sarà maggiore. E questo non può che fare piacere: magari un po' di sommerso emergerà. Ma del taglio del cuneo a favore dei lavoratori dipendenti, non parla nessuno. Perché? Ieri, finalmente, viene distribuito il testo definitivo della voluminosa (213 articoli) legge finanziaria ma da una meticolosa lettura del Capo VII (misure a favore dello sviluppo) che inizia con l'articolo 18 non emerge nulla, salvo la conferma di come sarà realizzato il taglio a favore delle imprese. E del cuneo a favore dei lavoratori non si parla in nessun altro articolo. Che fine hanno fatto i soldi dei lavoratori? A questo punto casualmente, a pagina 28 della Relazione previsionale e programmatica (il documeto macroeconomico che accompagna e completa la finanziaria) la scoperta: «la riduzione del carico fiscale sui lavoratori viene realizzata nell'ambito
di un più ampio intervento di riforma Irpef che interessa non solo i lavoratori dipendenti, ma tutti i contribuenti». Come dire che i soldi dei lavoratori non andranno direttamente a tutti i lavoratori, ma a tutti i contribuenti, compresi i proprietari delle pizzerie nelle quali il lavoratore dipendente «beneficiato» del taglio del cuneo avrebbe potuto consumare un paio di pizze per festeggiare l'evento. E invece a festeggiare saranno solo i proprietari delle pizzerie (e dei ristornati) che mediamente nel 2004 hanno denunciato al fisco poco più di 20 mila euro di reddito lordo annuo. Ma i sindacati non si erano accorti di nulla? «Lo sapevamo - ci dice un alto dirigente della Cgil - ma eravamo d'accordo» che a essere alleggerita fosse l'intera imposizione fiscale. Certo, ci dice un altro sindacalista «può apparire un po' spiacevole che anche gli evasori beneficino della redistribuzione
del reddito, ma il fisco deve essere uguale per tutti». «Senza considerare - spiega un altro - che gli aumenti degli assegni familiari sono destinati solo ai lavoraori dipendenti». Fatti due conti con le cifre fornite dal governo, si scopre che il ridisegno delle aliquote Irpef porterà benefici netti (esclusi gli assegni familiari) per appena 500 milioni di euro. Non era meglio lasciare ai lavoratori il 40% del taglio del cuneo fiscale? E perchè questa improvviso e misterioso cambio di rotta? Non c'erano risorse, ci dicono in molti. E qualcuno tecnicamente spiega che poiché la riduzione del cuneo avviene attraverso il taglio dell'Irap, ci si è trovati di fronte a una moltitudine di aziende che non pagano questa imposta in quanto presentano redditi negativi. Insomma, l'evasione condanna ancora una volta i lavoratori dipendenti.
 
Il manifesto 4/10/06


 
 














Commento
Manovra ingrata per troppi. Cuneo e pensioni.Botta sul lavoro dipendente, sindacati concordi col governo in nome dell'interesse generale
Carla Casalini
La botta calata dal cuneo fiscale addosso ai lavoratori dipendenti - perché di loro si tratta e delle imprese che ne usano il tempo di vita, quando si parla del taglio di questa voce del 'costo del lavoro' - è solo l'ultima scoperta in ordine di tempo sulla finanziaria-puzzle partorita dal governo di centro-sinistra. Solo che alle «imprese» si dà ciò che si promise,ossia il 60 per cento ricavato dal taglio del «cuneo» (con la necessità per lo stato di compensare questo dono con miliardi di soldi pubblici). Ai «lavoratori» invece non si dà nulla. E quindi da loro si prende: non esiste infatti un conto a somma zero fra contendenti di diverso potere, sia nelle questioni macroeconomich e che nei contenziosi politici, di rilievo pubblico non diversamente, per altro,
dall'esperienza che ciascuno può fare nelle relazioni della vita quotidiana, a meno che non decida di osare e cambiare il paradigma. Il primo problema, sul «cuneo» è che i sindacati non hanno neppure pensato di poter osare . Per loro, infatti, che il taglio del costo del lavoro non porti nulla ai lavoratori dipendenti, e che viceversa la quota, pur minore, loro promessa sia spalmata su tutti i «contribuenti italiani» sotto una certa soglia di reddito, pare non creare problema. Anzi, sono i sindacati che l'hanno 'concordata' col governo, assicurano alcuni leader: perciò la «scoperta» riguarda solo gli ingenui «profani». Dovendo scegliere se allinearsi o no con gli smagati «strateghi», è preferibile ancora sempre scegliere il campo dei «profani», degli ingenui, di chi aveva tante aspettative sulla svolta del governo di centro-sinistra dopo Berlusconi, e oggi passo dopo passo deve fare i
conti con le proprie tasche non meno che con le speranze e sogni di futuro - percezione materiale e simbolica insieme. L'immagine di giustizia «redistributiva» di questa finanziaria - che pure c'è - può essere giocata infatti solo sulle ali estreme: da un lato lo sforbiciamento dei redditi sopra i 75 mila euro (ridicolmente contrastato dalla campagna contro la punizione dei «ceti medi», concetto quanto mai sfuggente e comunque, stando al reddito, semmai collocato molto più in basso); dall'altro i vantaggi per chi si trova in fondo alla «scala» per reddito e condizione (ma anche qui colpiscono particolari stoltamente esosi, come la norma per cui ad esempio se un pensionato dimentica di ritirare il referto medico al tempo stabilito, pagherà l'intera prestazione, anche se sarebbe esente da queste spese sanitarie). Perciò, via via che si riesce a leggere l'impervio testo della manovra, pare
avvilente il goffo insistere dei manifesti di Rifondazione su Robin Hood. Fuori dalle «ali», invece, c'è da pagare per tutti coloro che pur si trovano nella parte bassa della graduatoria del reddito. E i lavoratori dipendenti, il cui prelievo fiscale è automatico e non disponibile a loro scelte (magari di evasione, come per altri) sono un buon esempio del nocciolo duro nel cuore di questa finanziaria. Di conseguenza i sindacati, che li rappresentano, sono un buon esempio di ciò che sono disposti a sacrificare a loro danno, una volta ingabbiatisi nella morsa dell'«interesse generale». Se infatti l'indifferenza della finanziaria per i lavoratori precari, «parasubordinati», sembra non risvegliare l'attenzione dei sindacati (come se poco li riguardasse), che dire dell'accordo che hanno fatto col governo, accettando un aumento dello 0,3 per cento dei contributi pensionistici a carico dei
lavoratori dipendenti - in cambio presumibilmente di una rinuncia a «chiudere una finestra» di uscita per le pensioni di anzianità? Non è un buon anticipo per l'incombente trattativa sulle pensioni. E intanto, già quel carico dello 0,3% vuol dire un taglio medio di 60-80 euro l'anno; più lo 0,3% di addizionale Irpef dei comuni (Moratti l'ha già annunciato) fanno altri 60-80 euro in meno. Ecco che per i redditi sopra i 20 mila euro non si prende più niente (e stando solo alle imposte dirette).
 
Il manifesto 4/10/06


 
 














Ma il sindacato difende la misura. La Cgil: «Unica via per un fisco equo»
Il responsabile economico Lapadula: «Se non si voleva intervenire sui contributi, bisognava agire sulle aliquote Irpef». Cgil, Cisl e Uil sulla manovra: positiva, ma ci sono alcune «ombre»
Antonio Sciotto
Il sindacato difende il taglio del cuneo fiscale nei termini in cui il governo lo ha scritto in finanziaria, ovvero spalmandolo per tutti i contribuenti e non per i soli dipendenti: «Vengono beneficiati solo i redditi sotto i 40 mila euro spiega Beniamino Lapadula, responsabile economia della Cgil perché più in alto l'effetto si annulla. Se volevamo ottenere un risultato significativo, senza peraltro intaccare i contributi previdenziali, l'unica via che avevamo davanti era quella di intervenire per le imprese attravero l'Irap, e per i lavoratori attraverso la rimodulazione delle aliquote Irpef, le relative detrazioni e gli assegni per i figli». Dall'altro lato, nella serata di ieri, Cgil, Cisl e Uil hanno diffuso il comunicato unitario con cui promuovono la finanziaria,
seppur sottolineando diverse «ombre» su cui chiedono all'esecutivo dell'Unione di intervenire. Lapadula spiega nel dettaglio la modifica del cuneo: «Quello che sarebbe andato al lavoro, era la cifra di 3,5 miliardi di euro, irrisoria se si dovesse dividere per il complesso dei dipendenti. Dall'altro lato, non si voleva intervenire sui contributi previdenziali, dunque si è pensato di realizzare il taglio nel modo seguente: 1) le imprese beneficiano del taglio attraverso una riduzione dell'Irap; 2) per quanto riguarda il lavoro, si poteva intervenire solo sull'Irpef, che per necessità deve riguardare aliquote riferite a tutti i contribuenti. Si è scelto, perché la misura avesse una certa sostanzialità, di agire sulle aliquote sotto i 40 mila euro: dunque chi sta molto in basso ha una riduzione sostanziosa e - nello specifico chi è dipendente - buone detrazioni e assegni per i figli a
carico. Avvicinandosi ai 40 mila euro, l'effetto si attenua, per annullarsi del tutto sopra quella fascia di reddito». Dunque possono beneficiare di un taglio al costo del lavoro dipendente anche gli autonomi? Persino un ristoratore che dichiara 20 mila euro di reddito annuo e invece ne incamera 100 mila? «Gli autonomi beneficiano solo per l'aliquota - risponde l'esponente Cgil - Su detrazioni e assegni per i figli, notevoli nelle fasce più basse, ci sono capitoli specifici e dedicati esclusivamente ai dipendenti». «La manovra va vista nel complesso - conclude Lapadula - e non è certo tenera con gli autonomi, tanto che si stanno lamentando: basti pensare all'innalzamento degli studi di settore e al giro di vite contro l'evasione fiscale. In più: i lavoratori dipendenti beneficiano del taglio al cuneo sia che siano a termine che indeterminati, mentre le imprese vedono ridursi l'Irap solo
sullo stock dei dipendenti a tempo indeterminato». Sulla manovra, ecco le «ombre» indicate dai sindacati: 1) possibili tasse dovute ai tagli agli enti locali; 2) ticket sanitari a carico dei cittadini; 3) mancano risorse per assumere i precari pubblici. Servono: 4) interventi seri contro la precarietà, oltre alla parificazione di contributi e prestazioni dei parasubordinati; 5) miglioramenti per le pensioni; 6) la copertura del contratto dei trasporti locali. Infine, per il Tfr all'Inps, si chiede un confronto con il governo.
 
Il manifesto 4/10/06


 
 
 
LA STAMPA    4/10/06
 
Riforma delle pensioni, i punti d'intesa
Si passerà al sistema contributivo pienoAumento dell’età pensionabile e disincentivi
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ROMA. Un decalogo per la riforma delle pensioni. Asciutto, ma molto preciso: due pagine e qualche riga, 9 capitoletti in tutto e 10 punti finali che indicano un tracciato ben preciso. Nell’ultima pagina sei firme, tutte molto pesanti: quella del presidente del Consiglio Romano Prodi, dei ministri dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa e del Lavoro Cesare Damiano e dei tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Epifani, Bonanni ed Angeletti. E’ il testo del «Memorandum d’intesa» sulla previdenza siglato nei giorni scorsi a palazzo Chigi che detta «obiettivi e linee di una revisione del sistema previdenziale» come recita il titolo del documento che La Stampa ora è in grado di illustrare in dettaglio. Il cuore dell’intesa, che come prima cosa dovrebbe servire a superare lo «scalone del 2008» introdotto da Maroni, è
rappresentato dal punto «4», quello dedicato al completamento della riforma. Che «terrà conto del cambiamento del quadro demografico ed economico determinatosi dopo la riforma del 1995», ben sapendo che «il forte aumento dell’aspettativa di vita e la flessibilità e precarietà del mercato del lavoro hanno determinato condizioni nuove che si riflettono sul sistema previdenziale». Una frase che dice già molto, che segna un punto: che può voler dire sia il ricalcolo dell’importo degli assegni futuri sia un inevitabile allungamento dell’età pensionabile. Dal confronto Padoa-Schioppa si aspetta «impegni ben precisi», «risultati importanti», in grado di stabilizzare definitivamente il sistema al punto da non dover più richiedere nuovi correzioni per molti anni a venire. Il dato di partenza sono, ovviamente, le riforme introdotte a partire dagli anni ‘90, che hanno introdotto i primi meccanismi
in grado di garantire la sostenibilità finanziaria nel lungo periodo e introdotto quel sistema di tipo contributivo, incentrato su un primo pilastro pubblico a ripartizione ed un secondo a capitalizzazione che ora si cerca di consolidare. I primi risultati ottenuti sono giudicati «significativi» sia dal governo che dalle confederazioni. Però «alcune importanti problematiche non hanno ancora trovato soluzione» e quindi occorre intervenire. Innanzitutto sulla fase di transizione della riforma «assicurandone la sostenibilità finanziaria» e quindi sul «rapporto tra generazioni» per ridurre squilibri e privilegi. «Faremo tutto con «gradualità - ama ripetere il ministro Damiano -. Senza strappi».Tanti problemi, diverse soluzioni. «L’aumento dell’aspettativa di vita - è scritto nel Memorandum - sollecita soluzioni che diano la possibilità di continuare a svolgere un’attività di lavoro.
Ciò richiede una coerente politica articolata su molteplici piani: lavoro part-time, formazione, un mercato del lavoro meno ostile ai lavoratori più anziani, ecc.». Per il sistema pubblico «la regola» deve essere il «pensionamento flessibile», con incentivi in grado di favorire «la prosecuzione volontaria dell’attività lavorativa di uomini e donne». L’impegno sottoscritto da governo e sindacati, prevede, come è noto che la trattativa si apra il primo gennaio 2007 e si concluda «con un accordo» entro il 31 marzo. Tempi blindati, insomma, nessuno spazio per fare melina. Tre gli obiettivi da raggiungere in contemporanea: equità sociale e sostenibilità finanziaria, miglioramento delle prospettive per giovani e garanzia per tutti gli anziani di pensioni di importo adeguato. Dei 10 punti che sintetizzano le linee guida, il primo riguarda il sistema contributivo. Che andrà
applicato in maniera piena per assicurare «sostenibilità» nel medio e nel lungo periodo e accompagnato dal «rafforzamento di criteri che legano l’età di pensionamento all’importo della pensione, tenendo conto della dinamica demografica ed economica e salvaguardando la flessibilità nell’accesso alla pensione» come previsto dalla Dini. Per quanto riguarda il sistema retributivo si dovrà prevedere un «aumento della possibilità di scelta basato sulla flessibilità dell’età di pensionamento, incentrato su misure che favoriscano l’allungamento della permanenza nel mercato del lavoro». Quindi si punta a superare il divieto di cumulo per gli anziani ma anche ad assicurare assegni «più adeguati» rivalutando i trattamenti in essere, ad estendere tutele sociali e contributive a favore dei giovani precari, ma anche a superare i tanti «privilegi» che ancora esistono. A fianco del pieno decollo
della previdenza integrativa (anche per i pubblici) ed al completamento dell’armonizzazione del sistema contributivo per tutte le categorie, il memorandum prevede anche l’avvio del processo di riordino e razionalizzazione degli enti previdenziali (il Tesoro punta ad arrivare in tempi brevi ad un ente unico) e azioni di contrasto dell’evasione contributiva. Impegni precisi, messi nero su bianco. Che vincolano il governo ed i sindacati. E che faranno del 2007 l’anno delle pensioni.