[NuovoLab] duecentotrentunesima ora in silenzio per la pace

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Da quando fu chiaro che gli attentati dell'11 settembre avrebbero fornito agli USA un prestesto per una nuova guerra, siamo presenti ogni mercoledì sui gradini dal palazzo ducale di Genova per l' "ora in silenzio per la pace".
Ci saremo anche domani, dalle 18 alle 19. Per la duecentotrentunesima volta.
Distribuiremo ai passanti il testo che segue: si tratta di un articolo di Giuliana Sgrena comparso pochi gioni fa sul Manifesto.

La morte afghana

Giuliana Sgrena


L'Afghanistan si sta irachizzando. Due soldati italiani morti in pochi giorni a Kabul, l'ultimo ieri. Kamikaze, autobombe, rapimenti, bombe sulle strade per far saltare i convogli militari, "collaborazionisti" uccisi - come Safia Hama Jan, assassinata a Kandahar.


Intanto l'ultima edizione di Newsweek celebra con una copertina (diffusa in tutto il mondo, Usa esclusi) la fine dell'Afghanistan e la nascita del Jihadistan, ovvero la terra dei jihadisti (i combattenti per la "guerra santa") nelle zone tribali al confine con il Pakistan.

Dopo l'ammissione da parte dell'intelligence Usa che la guerra in Iraq ha alimentato il terrorismo, ora tocca all'Afghanistan. Un altro fallimento finalmente ammesso. Ma gli Usa ne erano già coscienti quando hanno ceduto il comando di Enduring freedom (la guerra al terrorismo) alla Nato. Quella distinzione che aveva separato l'Isaf dalle truppe sotto comando Usa non esiste più. Taleban e jihadisti si sono subito adeguati estendendo il loro raggio di azione. I soldati britannici si sono schierati nella zona di Helmand dove furono decimati nelle guerre dell'800. Ma gli italiani non rischiano di meno.


La situazione è ulteriormente peggiorata rispetto a due mesi fa quando è stata rifinanziata la missione: la decisione del ritiro non può più essere rinviata. Chi si oppone al ritiro afferma che non possiamo abbandonare il paese in questa situazione. Ma questa situazione l'abbiamo creata noi. Con i signori della guerra che imperversano e fanno affari con l'eroina. Senza che sia stata avviata la ricostruzione perché la maggior parte dei finanziamenti sono finiti ad alimentare la corruzione del governo di Kabul. Gli Usa avevano detto ipocritamente che andavano a liberare le afghane dal burqa: ma le donne continuano a essere assassinate ed è rinato il Ministero per la prevenzione del vizio e la promozione della virtù. Si dice che i taleban sono alle porte di Kabul, ignorando che sono al governo, con il beneplacito di Bush. Grazie anche alle elezioni, che per gli Usa sono il toccasana. Ma a fare la voce del padrone erano già un anno fa i signori della guerra, responsabili dei peggiori massacri. Chi li ha denunciati non ha avuto ascolto.

Questa è la democrazia made in Usa che dovrebbe sconfiggere il terrorismo? L'Italia nella ricostruzione dell'Afghanistan era incaricata del settore della giustizia e oltre a formare giudici, che potranno applicare la pena di morte e la sharia, ha ricostruito il carcere che dovrebbe diventare la nuova Guantanamo.

In questa situazione non è facile trovare soluzioni. Anche se alcune strade erano state individuate, come la legalizzazione della produzione dell'oppio e il parallelo finanziamento di coltivazioni alternative. Senza la droga (l'Afghanistan ne è il primo produttore mondiale) i signori della guerra non avrebbero i soldi per pagare le loro milizie e se i giovani che ne fanno parte avessero delle alternative il disarmo sarebbe percorribile.


Ma per avviare un nuovo percorso occorre una rottura netta, che può avvenire solo con il ritiro di tutte le truppe. Il nostro governo che ci aveva illuso di voler riprendere l'iniziativa in politica estera con il ritiro dall'Iraq, ieri ci ha tolto ogni speranza. Accogliendo l'ordine del giorno della destra che "apprezza lo spirito umanitario e di pace di tutte le missioni internazionali", D'Alema è tornato quello della guerra umanitaria in Kosovo. Ci ripensi prima che sia troppo tardi.