[NuovoLab] [Fwd: [diritti globali] Made in Italy, l’arma in…

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Autore: norma
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To: forumgenova@inventati.org
Oggetto: [NuovoLab] [Fwd: [diritti globali] Made in Italy, l’arma in più]

Secolo XIX

La missione di Prodi in Cina. Dietro la richiesta di revocare l’embargo un
mercato dalle immense prospettive
Made in Italy, l’arma in più
La tecnologia dell’OtoMelara si prepara al grande sbarco a Superga
dal nostro inviato
La Spezia. Guarda lì la mitraglietta Hitrole 12.7 che piace tanto ai
cinesi, nera e lucida, montata su un carro armato Puma a sei ruote
motrici. Tremila mitragliette vendute ai cinesi e l’Oto Melara
raddoppierebbe il portafoglio ordini, pari nel 2005 a 1,1 milioni: e cosa
sono tremila mitragliette per un esercito che schiera due milioni e 250
mila uomini in servizio permanente effettivo? Il minimo, sono. E la
Hitrole 12.7 è solo un esempio, e la stessa Oto Melara (292 milioni di
fatturato, 1339 dipendenti) è la punta di diamante di un settore armiero
all’avanguardia nel mondo. Ecco perché Romano Prodi e prima di lui Carlo
Azeglio Ciampi hanno chiesto a gran voce che la comunità internazionale
revochi l’embargo delle armi alla Cina, sfidando una impopolarità che se
l’anno scorso ha miracolosamente risparmiato l’allora presidente della
Repubblica stavolta ha investito in pieno il governo di centrosinistra e
il suo leader. Di fronte all’opposizione e all’anima pacifista della
coalizione che ricordano i massacri di piazza Tienanmen, il Tibet occupato
e le migliaia di esecuzioni capitali all’anno, la realpolitik replica
sciorinando cifre a sei zeri: secondo l’ultima relazione presentata dalla
presidenza del consiglio al parlamento, in ossequio alla legge 185/90 sul
controllo degli armamenti, le esportazioni autorizzate nel corso del 2005
hanno raggiunto un valore pari a 1.361 milioni di euro, con un aumento
delle consegne del 72 per cento. Made in Italy apprezzatissimo, dunque, e
non solo per quanto riguarda le 5 navi da pattugliamento o i tre aerei da
trasporto C27, universalmente considerati politicamente corretti:
consegnate l’anno scorso anche 40 mila bombe da mortaio, 20 mila cartucce
lacrimogene, svariate centinaia di mine marine e naturalmente cannoni,
carri armati e sistemi antiaerei. Tra i clienti anche Turchia, Algeria e
Arabia Saudita, censurabili per le violazioni dei diritti umani, e India e
Pakistan perennemente sull’orlo di un conflitto. Anche in questo caso,
trionfo della realpolitik. La spezzina Oto Melara, unica azienda nazionale
dalla ragione sociale interamente militare (le altre si occupano di
componentistica, come l’Alenia, o adattano il proprio prodotto come la
Agusta o la Iveco) attende l’apertura del mercato cinese con interesse
particolare ; e la delegazione di Finmeccanica al seguito di Prodi ­la
società fa parte del gruppo al cento per cento ­ha adeguatamente
reclamizzato il suo catalogo. «Il nostro segreto, rispetto alla
concorrenza internazionale ­spiega al Secolo XIX Roberto Sgherri,
responsabile tecnologia e prodotto ­è fare sistema. Ci occupiamo cioè
direttamente della meccanica, dell’elettronica e dell’aerodinamica e
proprio quest’ultima specializzazione, da quando ci siamo impegnati nella
progettazione del munizionamento intelligente, è diventata fondamentale ».
La munizione intelligente dell’Oto Melara si chiama Dart ed è un cilindro
alato che costa svariate decine di migliaia di euro. Come un missile, è in
grado di braccare il suo bersaglio e quindi, riflette Roberto Sgherri, «di
perseguire l’obiettivo finale che è l’arma non letale». Sarebbe? «Un
giorno dovremo arrivare a distruggere il materiale del nemico senza
sacrificio di vite umane. Sono le famose operazioni chirurgiche...». Il
Dart vola ad oltre 1200 metri al secondo e la sua progettazione fa parte
dei prodotti di nicchia OtoMelara. Qualcuno storcerà il naso, ma se c’è un
made in Italy che ha possibilità di sfondare in Cina è proprio l’armiero
perché «non ci sono altre aziende di livello mondiale che si occupino
contemporaneamente di meccanica, elettronica e aerodinamica». Non le
principali concorrenti, almeno, che sono l’inglese Bae, la francese Giat e
l’israeliana Raphael: «E rispetto a queste ultime, investiamo il dieci e
non l’uno per cento del fatturato nella ricerca». All’interno dei
capannoni spezzini sono in costruzione, in questi giorni, i cannoni navali
più celebri del mondo: i 76/62, venduti dalla Oto Melara a ben 54 marine
militari. Gioielli con tanto di cupola invisibile, e capaci di sparare i
proiettili Dart: il business armiero con la Cina, se andrà in porto,
potrebbe avere dimensioni clamorose. «Certo ­conclude Sgherri ­bisognerà
stare attenti alla proprietà intellettuale», e cioè alle imitazioni.
«Quello è un Paese che non solo non si può controllare, ma è pure di
difficile penetrazione». Esempio: l’Oto Melara riuscì a vendere a Pechino
due modesti obici, anni fa, prima dell’embargo: «Erano maschio e femmina»,
fanno gli spiritosi alla Spezia, «sono diventati migliaia».
Paolo Crecchi crecchi@???


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Carlo

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