[NuovoLab] Forze armate prêt-à-porter

Supprimer ce message

Répondre à ce message
Auteur: Edoardo Magnone
Date:  
À: forumgenova
Sujet: [NuovoLab] Forze armate prêt-à-porter
Allego articolo uscito sull'Espresso che parla della missione militare in
Libano. Tra le altre cose ho notato la frase:

"...i marinai imbarcati ricevono lo stesso straordinario dei marines impegnati a
terra: 276 euro al giorno."


Edoardo Magnone


PS. Il nostro eroico maglietta bianca Maurizio Gianmarco guadagna più di mezzo
milione delle vecchie lire al giorno!! Un po' come lavorare in cantiere per
1000 euro al mese...rischi la vita lo stesso, ma non sei in "missione
umanitaria".


_________________________________________________



Si spendono milioni per ostentare navi speciali e super caccia. Mentre i pochi
blindati hanno trent'anni. Ecco il documento riservato sui costi della missione


E se fossimo partiti con il piede sbagliato? E se nella fretta di arrivare primi
con armi e bagagli a Tiro avessimo dimenticato la lezione di Nassiriya? Perché
l'unico documento trapelato dal segreto che circonda la missione libanese apre
la strada a più di una perplessità sulla gestione dell'operazione italiana. A
partire dalla composizione del contingente. Finora abbiamo fatto arrivare in
zona solo una ventina di blindati: i mezzi anfibi che hanno fatto da vedette
nello show televisivo dello sbarco e una manciata di cingolati Vcc. Nessuno di
questi veicoli è in grado di resistere ai razzi Rpg che pullulano nelle riserve
di Hezbollah, ma anche nelle armerie delle fazioni libanesi minori.

Per il Vcc, poi, si tratta di un replay: in servizio da trent'anni, sono
esattamente gli stessi che sbarcarono a Beirut con la spedizione del 1983. Non
senza ironia, l'esercito li ha battezzati 'Camillino' perché ricordano un
gelato in voga negli anni Settanta: biscotto all'esterno, panna dentro. Adesso
per renderli un po' più protetti, al biscotto hanno incollato altre corazze, ma
nessuno scommette sulla capacità di fermare i missili di Hezbollah: a Mogadiscio
i razzi dei miliziani hanno dimostrato di bucarli senza problemi. E in 13 anni
non si sono ancora trovati i fondi per rimpiazzare i Vcc dalla prima linea.
Così mandiamo i soldati con i Camillino dal cuore di panna nelle colline dove
le divisioni corazzate più potenti del pianeta hanno fallito. Diversa la linea
dei francesi, che per prima cosa hanno spedito in Libano tutto quello che
avevano di più pesante, a partire dai tredici carri armati Leclerc, mostri
d'acciaio da 56 tonnellate. Invece noi ci presentiamo a sud del Litani con una
avanguardia molto light, troppo leggera anche per una missione dalle intenzioni
pacifiche: ci sono quasi più ambulanze che blindati.

La relazione tecnica di bilancio redatta dallo Stato maggiore evidenzia altri
punti molto controversi. La questione centrale è quella della componente
navale. Nei primi due mesi di Libano l'Italia spenderà 53 milioni di euro per
la flotta e solo 30 per i militari impegnati a terra. Perché se l'indicazione
del ministro Arturo Parisi era stata chiara ('boots not boats', ossia 'scarponi
e non navi'), i vertici delle Forze armate hanno mischiato le carte in modo che
lo schieramento privilegiasse la prova di forza della Marina. Anche accettando
che, con un eccesso di cautela, la prima ondata venisse affidata alla parata
della Garibaldi e delle altre tre mini-portaerei, non si capisce perché le navi
da sbarco debbano rimanere fino a dicembre a largo di Tiro. L'unica spiegazione
militare potrebbe essere quella di garantire un rapido ritorno a bordo del
contingente: ma neanche i peggiori critici del governo ipotizzano uno scenario
così nero.

Trasportare il contingente con le navi da sbarco, in gergo Lpd, costa un
capitale: sono previsti circa 20 milioni di euro, tra spese vive e le indennità
per gli equipaggi. Infatti i marinai imbarcati ricevono lo stesso straordinario
dei marines impegnati a terra: 276 euro al giorno.

L'alternativa? Fare come in tutte le altre operazioni dell'ultimo decennio:
noleggiare dei grandi traghetti dove caricare uomini e mezzi. Nelle stesse ore
dello sbarco sulla spiaggia di Tiro, nel porto di Beirut è approdato uno di
questi enormi mercantili con 81 veicoli pesanti e tutti i materiali del genio,
che poi hanno percorso gli 80 chilometri di strada fino all'accampamento
italiano. Il costo? Per ciascun viaggio 250 mila euro. Si stima che con dieci
traghetti si potrebbe trasferire l'intero contingente: 2 milioni e mezzo contro
i 20 preventivati. È chiaro: lo show ne perde, ma il risultato è più efficace ed
economico.

Il bilancio stilato dai vertici militari segnala altre sorprese. Come gli
elicotteri Mangusta, le cannoniere volanti che hanno un grande potere di
dissuasione sui guerriglieri: in Libano ne porteremo quattro. In questo caso,
non si ripeterà l'errore iracheno, quando questi velivoli vennero fatti
intervenire solo dopo la morte di un maresciallo. Ma si prevede di farli
arrivare a Tiro smontati: solo per scomporre, imballare e riassemblare questa
squadriglia si spenderanno 3 milioni di euro. Domanda: non si poteva farli
atterrare su una delle quattro portaerei e poi farli ridecollare sulla costa
dei Fenici? In Somalia si fece così. E da allora si va ripetendo la necessità
di abilitare i piloti dell'Esercito a operare sulle navi. Invece, 13 anni dopo
ricompare il trasloco in scatola di montaggio, come i modellini di una volta,
al costo di 6 miliardi di lire.

A dire la verità, di elicotteri il contingente ne avrà pochini: a dicembre
saranno dieci in tutto. Quattro da combattimento, due da trasporto pesante e
quattro medi. E pensare che proprio gli elicotteri dal 1978 a oggi hanno
testimoniato la presenza italiana in Libano: equipaggi che hanno conquistato la
stima della popolazione e delle fazioni in lotta. In compenso, adesso ci sono i
potenti cacciabombardieri Harrier dell'aviazione di Marina. Mezzi temibili, ma
che nessuno pensa sorvoleranno la terraferma: la risoluzione Onu non ne parla e
gli spazi aerei ristrettissimi al confine tra Israele e Siria non si prestano
alle acrobazie dei nostri marinai-piloti, considerati tra i migliori al mondo.
La spesa? Fino a ottobre 1.656.000 euro.

Infine le mine. Kofi Annan in persona ha denunciato il rischio in cui vive tutta
la regione: tra le trappole esplosive nascoste dagli Hezbollah e le granate
delle cluster bombs israeliane ci sono 100 mila ordigni in giro. Ma nei primi
due mesi i nostri soldati hanno a disposizione 300 mila euro per ripulire la
zona dalla minaccia. Poco più della stessa somma che è stata stanziata per il
vitto e l'alloggio dei 20 uomini che seguiranno il generale Fabrizio
Castagnetti al Palazzo di Vetro: 240 mila euro per garantire una degna
rappresentanza tricolore nella catena di comando a New York. Mentre le risorse
per rendere sicure campi e strade sono addirittura pari alla carissima bolletta
del satellite, altri 300 mila euro di comunicazioni.

La guerra alle mine, una delle necessità più urgenti per la popolazione, da
novembre in poi riceverà un altro mezzo milione di euro. Senza che però i
nostri genieri dispongano di mezzi moderni: siamo l'unica forza europea priva
di apparati corazzati o teleguidati per questo compito. Ma la radice della
questione è sempre la stessa: dal 1996 le missioni si sono accavallate una
dietro l'altra, logorando gli arsenali senza mai trovare finanziamenti per
ridare fiato alle dotazioni. Persino i programmi più importanti per garantire
la sicurezza dei militari all'estero vengono rinviati in continuazione.
L'ultimo capitolo riguarda le jeep a prova di mina: prodotte in Italia, sono
state adottate da Londra, Oslo, Bruxelles e Berlino. Persino gli americani le
stanno esaminando, per studiare sostituti alle loro Hummer. E Roma? I fondi
sono centellinati, goccia dopo goccia: le jeep dovevano entrare in servizio nel
2004, invece finora ne sono state acquistate pochissime che servono per i test
nei poligoni. Non sarebbe meglio risparmiare su altro e porre la sicurezza al
primo posto? Il bilancio libanese è pieno di voci così criptiche da sfuggire
persino all'interpretazione degli esperti: ci sono 800 mila euro per 'assetti
Cis', l'ultimo nato degli acronimi bellici che forse indica 'Command
information system', ossia un sistema informatico satellitare per le operazioni
multinazionali. Un bel gadget tecnologico, del quale forse si potrebbe fare a
meno. Mentre sul 'Camillino' rischiano la vita ragazzi nati dieci anno dopo
l'entrata in servizio del blindato 'con il cuore di panna'

di Gianluca Di Feo
L' Espresso 8-9-06