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I "furbetti" del capitalismo italiano.........

saluti. Andrea Tosa

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ANNUNCIATO L’ULTIMO ATTO
DELLA MATTANZA DI TELECOM ITALIA

Prodi annuncia che non si opporrà,
confermando ancora una volta che le Telecomunicazioni
sono il “conflitto di interesse” del centro sinistra


Il Cda di Telecom Italia del 12 settembre 2006 ha approvato, all’unanimità, il nuovo riassetto aziendale, presentato da Tronchetti Provera, che prevede lo scorporo di due società per la telefonia mobile e la rete di telefonia fissa.
Con quest’ultimo atto Tronchetti Provera conclude una fase importante del tormentato percorso della storia di Telecom Italia iniziata, nel 1997, con la privatizzazione delle aziende di Telecomunicazioni.
Nei 9 anni trascorsi diversi gruppi finanziari si sono succeduti nell’opera di “scarnificazione” dell’enorme patrimonio economico e produttivo che Telecom Italia si è portata in dote, del quale, tra breve, rimarrà solo l’ombra.
A fine 1997 il Governo Prodi avviò quella che veniva denominata la “madre di tutte le privatizzazioni”, la cessione ai privati di un mostro economico denominato “Telecom Italia”. L’azienda Telecom Italia era il risultato di una serie di fusioni e incorporazioni: le ex aziende pubbliche di TLC (SIP, ITALCABLE, AZIENDA DI STATO/IRITEL, SIRM, etc); la STET (la finanziaria di IRI per il settore che a seguito dell’incorporazione assunse la denominazione Telecom Italia) che a sua volta possedeva partecipazioni azionarie in centinaia di aziende italiane ed estere, tra le quali il gruppo informatico FINSIEL, Lottomatica e la “mitica” ATESIA.
Il governo dell’epoca (Prodi), dopo aver fatto discutere per mesi l’opinione pubblica su “public company” e altre amenità, cedette il controllo di T.I. ad un “nocciolino” duro d’imprese che con meno del 7% del capitale prese il controllo del colosso italiano delle tlc. Controllo che è durato ben poco, nel 1999 con una operazione finanziaria studiata ad arte, mentre D’Alema era Presidente del Consiglio, Colaninno & Gnutti tramite la Olivetti lanciarono l’OPA sul capitale azionario di Telecom Italia.
Il governo di centro-sinistra fece mancare l’appoggio all’AD Bernabè, che intendeva resistere all’OPA “ostile”, e plaudì ai “capitani coraggiosi”. Tanta disattenzione fu dovuta perché il governo D’Alema era troppo impegnato a partecipare alla guerra in Kossovo, oppure perché della cordata di Colaninno e Gnutti, nella lussemburghese Bell, facevano parte anche l’Unipol e il Monte dei Paschi?!
Sta di fatto che le imprese “vicino” ai DS da tutta l’operazione hanno incassato plusvalenze miliardarie. Come del resto lo stesso Colaninno che, dopo diverse “spericolate” operazioni finanziare con la cassa di Telecom, nel 2001 esce velocemente di scena dopo aver ceduto il controllo di Olimpia a Tronchetti Provera e Benetton.
Nello stesso anno Berlusconi è subentrato a D’Alema alla guida del governo ma gli imprenditori vicini al centro sinistra hanno continuato a fagocitare aziende e/o rami di aziende di Telecom Italia, un esempio per tutti: Alberto Tripi (vicino alla Margherita e a Rutelli) ha acquisito in poco tempo sia il più grande Call Center d’Italia, Atesia, sia l’intero gruppo informatico Finsiel.
Nell’anno 2006 quale è il bilancio della “madre di tutte le privatizzazioni” fiore all’occhiello del centro-sinistra?!
Un gruppo aziendale che è stato depauperato completamente dell’immenso patrimonio immobiliare e della maggioranza delle aziende che controllava, che ha dimezzato, da circa 120.00 addetti a 56.000, il proprio
personale, che ha dilapidato anche le casse dello Stato grazie al ricorso alla mobilità per il licenziamento collettivo di oltre 15.000 addetti, che ha determinato le condizioni di precarietà di decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici dispersi in piccoli e grandi call center (Atesia, Telecontact, Comdata, Kronos …) e che, nonostante tutto, è rimasto pesantemente indebitato per circa 40 miliardi di euro.
Il nuovo piano di riassetto rappresenta il definitivo smembramento dell’azienda al solo scopo di far cassa e scappare dalla nave che affonda. Tronchetti & soci non hanno nessun piano industriale di rilancio e/o valorizzazione delle attività della telefonia fissa integrate con le attività multimediali, come non avevano nessun piano industriale per l’integrazione tra fisso e mobile, varata meno di un anno fa.
Tutto fumo e “propaganda” per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica, dei piccoli azionisti e, soprattutto, dei lavoratori di Telecom Italia, dalla spietata e definitiva macellazione dell’azienda e della sua cassa, prima di lasciare il comando ad altri; un abbandono precipitoso, come capito per il rag. Colaninno, forse anche a seguito delle recenti attenzioni della magistratura, dell’Autorità garante per la privacy e dell’opinione pubblica per le note vicende di intercettazioni telefoniche, “spy story” con la CIA e l’uso “spregiudicato” dei dati sensibili della clientela a fini commerciali.
Ancora una volta Prodi e il suo governo appaiono particolarmente disattenti/disinteressati alla definitiva implosione della creatura che proprio loro partorirono appena 9 anni fa. Sarà, forse, che ancora una volta sono troppo impegnati negli scenari di guerra internazionale in Afghanistan, Iraq e Libano? Oppure si vogliono di nuovo sedere a tavola per partecipare al banchetto?!
Non sono disattenti, invece, gli imprenditori in quota Ds, con il cambio di governo, hanno ripreso con a far affari in grande stile con Telecom: in pochi mesi sono andate in porto l’acquisizione di Tils (per la cifra di un euro) da parte di una azienda partecipata del Monte dei Paschi; il settore radiomarittimi sta per essere acquisito dalla ITS di Torre del Greco (nel cui Cda sedeva l’attuale ministro della Funzione Pubblica, Nicolais); le COOP ha bruciato tutti nel tempo firmando con Telecom Italia il primo accordo per diventare un “operatore virtuale” e rivendere il traffico telefonico.
Nel frattempo, i mass media si interrogano soprattutto su quale gruppo estero metterà le mani sulla telefonia mobile, meno sulle ragioni del fallimento della politiche di privatizzazioni tanto care a Bersani e al centro sinistra, sui danni subiti da tutti i cittadini, nonché sui pesanti problemi occupazionali che il nuovo riassetto determinerà. Magari in attesa che appaia una “salvifica”, e italica, cordata finanziaria che si candidi ad acquisire quel che rimane.
La nuova riorganizzazione pone in serio pericolo gli interessi dell’intero paese e minaccia pesantemente il futuro occupazionale di tutti i lavoratori e le lavoratrici di Telecom Italia e delle aziende dell’indotto.
Il governo, se vuole, può intervenire per impedire lo smembramento di Telecom Italia, rimettendo in discussione i conflitti di interesse al suo interno e le precedenti politiche di dismissione.
Mentre lavoratrici e lavoratori, le forze sindacali e politiche che hanno a cuore il futuro delle TLC devono da subito mobilitarsi, con iniziative di sciopero e di piazza, per impedire che lo sfascio dell’azienda venga in breve portato a compimento.


Roma 12 settembre 2006




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