[NuovoLab] No war, l’assemblea si farà ma fra 40 giorni

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liberazione, 12.9.06

Slitta al 21 e 22 ottobre l’appuntamento nazionale
contro la guerra. Si ripartirà insieme dalla questione palestinese
No war, l’assemblea si farà ma fra 40 giorni


Checchino Antonini
Firenze nostro inviato
C’è chi lo vuole vedere per forza diviso, il popolo della pace, tra quelli di “Forza Onu”, come recitava un discusso striscione all’ultima manifestazione di Assisi, il 26 agosto, e gli altri, quelli di “Forza Hezbollah”, come vengono etichettati i promotori della manifestazione contro la guerra di Roma, del 30 settembre prossimo - Cobas, antimperialisti, Pcl ecc... - data stabilita dal Fse di Atene con l’aggiunta italiana, in piattaforma, del no alla missione in Libano. Un’altra schematizzazione riassume la vicenda dei no war italiani sulla distanza da Palazzo Chigi, o dalla Farnesina di Massimo D’Alema, la «sindrome da governo amico» di cui parla Piero Bernocchi. Quelli di “Forza Governo” sarebbero alla testa della prossima eventuale Perugia-Assisi straordinaria che potrebbe svolgersi, ma non è detto, il prossimo 8 ottobre. Tra le due date, stavolta, non ci sarà alcuna zona di sovrapposizione. Chi andrà all’una non sarà certamente all’altra. E tanti non saranno né nella Capitale né in Umbria. Tertium non datur. Se il movimento ha un “centro”, questo non riesce a manifestarsi come invece a luglio, durante la “crisi” per il rifinanziamento della missione afgana quando riuscì invece a spedire un appello da Genova (promosso da nomi del Gsf del 2001) proponendo, appunto, di tornare a Firenze quest’autunno per un’assemblea nazionale di tutti. A questo serviva la riunione fiorentina di ieri, tra le reti italiane del Forum sociale europeo, presenti i volti più noti. E’ vero, missione incompiuta - e non ci sarà, a breve, una scadenza unitaria - ma certamente la riunione ha avuto il merito di non farsi bastare le semplificazioni di cui sopra - «irrispettose», le chiama Raffaella Bolini dell’Arci. Grande è il disordine sotto il sole, dunque, ma nessuno dei soggetti si lascia tentare dall’idea dell’autosufficienza: la “separazione” è percepita come fisiologica, temporanea. L’assemblea nazionale ci sarà ma solo il 21 e 22 ottobre e dovrebbe servire a lanciare una data, di lì a poco, per una grande manifestazione per la pace in Medio Oriente. E finalmente ci potraanno essere un passaggio democratico, assembleare, sulla missione italiana in Libano e quella che Alfio Nicotra, responsabile pace Prc, definisce «operazioni verità» su Afghanistan e spese militari.
Che nel movimento convivano “pacifisti integrali” che non vogliono sentir parlare di soldati e armi, pacifisti “politici” - che ritengono praticabili forme di interposizione anche energiche - antimperialisti, e cattolici, e marxisti rivoluzionari, ecc..., era cosa risaputa anche ai tempi del 15 febbraio 2003 quando si materializzò la seconda potenza mondiale con tre milioni di persone a invadere Roma e altri cento milioni in giro per il pianeta. Il problema è che, nel nuovo quadro determinato solo in parte dal cambio di maggioranza ma soprattutto dall’evoluzione della guerra permanente, si rivela il vuoto lasciato da discussioni rimosse sui modelli di difesa e di cooperazione, sul ruolo e la credibilità dell’Onu di cui qualcuno ricorda le responsabilità dell’embargo all’Iraq, sui rischi di multilateralismo armato, sul ruolo delle “istituzioni di movimento” (i social forum, le coalizioni come “Fermiamo la guerra”), fino al tabù imposto alla questione palestinese per motivi, spesso, poco nobili. Col risultato che il tavolo che promosse il 15 febbraio - dalla Cisl ai disobbedienti - non esiste più e c’è chi pensa sia necessario attraversare la Perugia-Assisi per trovarne le tracce. Altri, a partire da “Un ponte per. .. ” o dalla Fiom, ritengono che si debba ripartire dalla Palestina e incitano la Tavola della Pace, chiedendosi se sia disponibile a un confronto, a metterla nell’agenda della marcia straordinaria, eventuale. «Partire da Gaza senza dimenticare lo scenario iracheno e l’Afghanistan - ricorda Fabio Alberti del Ponte - perché sono i luoghi in cui si muore».

Ripartire da Gaza, e per Gaza, con parole d’ordine precise perché certe indicazioni vaghe «hanno indebolito la battaglia per la pace in Medio Oriente», aveva spiegato il giorno prima, da una Casa del popolo nella stessa città, Alì Rashid. Il deputato palestinese del Prc era ospite di Action for peace, cartello di ong, sindacati e associazioni (come Arci, Cgil, Assopace, Fiom ecc...) nato nel 2001 sull’idea della diplomazia dal basso. Angelo Frammartino, il giovane comunista accoltellato ad agosto a Gerusalemme, era uno di loro e a lui è stata dedicata la giornata, divisa tra analisi e proposte con relazioni, tra gli altri di Rashid, della pacifista ebrea, Ester Fano, di Alessandra Mecozzi della Fiom, con Farshid Nuray, l’europarlamentare Luisa Morgantini e Alfio Nicotra del Prc, Giorgio Beretta della Rete per il disarmo a definire il quadro della guerra infinita: l’attacco al Libano come prova generale contro l’Iran, le nuove alleanze di Teheran, l’arrivo tardivo del cessate il fuoco, il ruolo della resistenza libanese e quello dell’Ue, gli obiettivi, parzialmente falliti, israeliani per la “riformattazione” geopolitica dell’area, le luci ma anche le ombre della politica italiana che smercia nello scenario un quinto, quasi, della sua produzione bellica e lo fa con tutti gli attori in causa e con l’accordo famigerato di cooperazione militare, firmato da Berlusconi, con Israele che aggira alla grande la legge sul commercio di armi mentre Tel Aviv blocca i varchi ai territori palestinesi e impedisce il lavoro degli osservatori Ue.

La bozza della chiamata alla manifestazione per la pace in Medio Oriente, che sarà divulgata nei prossimi giorni, chiede la fine dell’assedio di Gaza e il cessate il fuoco, la fine del blocco economico - sia per quanto riguarda i varchi d’accesso di persone e merci, sia per quello che concerne i fondi congelati all’Anp, l’autorità nazionale palestinese, la liberazione dei detenuti politici, a partire dai ministri Anp imprigionati da Israele, il ritiro da tutti i territori occupati. E una conferenza internazionale, con la partecipazione di tutti i soggetti, che stabilisca anche quella zona denuclearizzata indicata dalla conferenza di Madrid di quindici anni fa. Ma l’agenda di Action for peace prevede anche progetti di cooperazione dal basso, da Gerusalemme fino ai campi profughi, carovane di interposizione civile, relazioni con i pacifisti israeliani e le società civili di Libano e Siria.

A sostegno dei progetti è partita da luglio una campagna (“La Palestina ha bisogno di noi, noi abbiamo bisogno della Palestina”) promossa dai giornali della sinistra radicale (Liberazione, Left, Carta, il manifesto, la Rinascita). Bene, senza particolari clamori, sono già stati raccolti 24500 euro così da coprire i primi otto progetti. Per questo la cordata di giornali ha deciso di rilanciare la campagna producendo un numero unico speciale, strumento per la conoscenza della questione mediorientale, i cui ricavi saranno messi a disposizione di Action for peace.





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