[Cm-roma] Ripubblicato "Elogio della bicicletta"!!!

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Aihe: [Cm-roma] Ripubblicato "Elogio della bicicletta"!!!
Un bell'articolo, duro e puro, tratto dalla prefazione alla ristampa
del libro di Ivan Illich "Elogio della bicicletta"
Leggetelo, ditemi che ne pensate, poi vi rivelo chi l'ha pubblicato
domenica scorsa... :-)

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È nata assieme all’automobile, ma il più democratico mezzo di
locomozione ne è stato sopraffatto. Eppure potrebbe risolvere i
problemi delle nostre città angustiate da traffico e smog. La lezione
di Ivan Illich

Elogio della Bicicletta
di Franco La Cecla

Era un’idea geniale, ma qualcuno ha trovato immediatamente il modo di
metterla dentro una riserva: si chiamano piste ciclabili. La
bicicletta è il modo inventato per dare il massimo della libertà a
tutti ed il massimo della democrazia ad una città.
La nostra società dedica invece un tempo enorme agli spostamenti, è
vittima del funzionamento ingombrante e controproducente che ha come
centro l’auto. L’automobile è un ossimoro. La risposta individuale
alla mobilità finisce per impedire all’individuo di spostarsi: il
traffico e l’imbottigliamento non sono un effetto secondario del
sistema, ne sono l’essenza. Già negli anni ’60 la cosa era talmente
chiara da diventare il tema centrale dei film di Fellini - vi
ricordate la scena di «8 e mezzo?»- e di Jean Luc Godard. Julio
Cortazar ne fa il centro della sua riflessione in un racconto
paradossale: lo spostamento in auto il fine settimana diventa un
safari di stanziali sull’autopista.
La nostra società è ancora vittima dell’automobile e l’automobile
ormai è un soprammobile da città che ha perso qualunque carattere
anche vago di utilità. Guardate le pubblicità ossessive che ormai
invadono tutto il campo della pubblicità televisiva. L’auto è
proposta non come mezzo per spostarsi, ma come opera d’arte, la gente
si volta a guardarla come se fosse una bella donna, suscita stupore e
soprattutto regala - almeno apparentemente - un vantaggio sul
prossimo, l’invidia che suscita negli altri essere visti alla guida
di un’auto siffatta. Oppure la promessa è ancora "via dalla pazza
folla". Gigantesche SUV e 4 per 4 che conquistano i pochi boschi e le
poche montagne rimaste. La cosa ancor più ferale è che oggi non c’è
più quasi una critica sociale all’automobile o sembra essersi
rassegnata al dato di fatto - proprio oggi che siamo agli sgoccioli
energetici e ambientali e che il disastro urbano è giunto al limite
-, o è una leggera scalfittura ad un sistema che ormai diamo quasi
tutti per scontato a cui mettere ogni tanto pezze e di cui turare a
turno i buchi. L’effetto è fare credere ai più che l’ecologia sia
solo una questione di stile di vita e di scelta - de gustibus- e non
l’ultima uscita possibile.
Ivan Illich aveva scritto il testo che ora esce in italiano col
titolo Elogio della bicicletta chiamandolo Energie et equité, su
invito del direttore di Le Monde, a seguito del successo che in tutto
il mondo qualche tempo prima aveva avuto I limiti dello sviluppo. Si
parlava allora (nel ’73) - si parla ancora - di crisi energetica, di
fine prossima del petrolio. Rispetto ad allora sappiamo con certezza
che il nostro clima è stato alterato indelebilmente dalla
concentrazione di CO2 nell’atmosfera, che il livello degli Oceani si
sta alzando e che i Poli si stanno sciogliendo. Sappiamo poi,
quotidianamente - lo sanno anche i negazionisti alla Crichton - che
la nostra vita quotidiana è peggiorata, che le città sono camere a
gas ed incubi ad aria condizionata, che le automobili hanno okkupato
- sì okkupato - gran parte dello spazio che dovrebbe essere riservato
ad una convivenza piacevole e sana e che di tutto questo le industrie
automobilistiche, i governi, gli amministratori se ne fanno un ricco
baffo e fanno pagare a noi i costi. Come se tutto ciò fosse
inevitabile, il prezzo da pagare ad un progresso che nel 1973 poteva
ancora avere dei fedeli ma che oggi è veramente solo glamour, cinismo
ironico delle brand e fatalismo dei politici.
Oggi nell’agenda di nessun politico c’è l’eliminazione del traffico
privato dalle città, né esiste un solo paese d’Europa dove la
contrazione del numero di vetture circolanti viene visto come un
necessario, inevitabile provvedimento. Ancora una volta come
trent’anni fa vince la miopia, il brevissimo termine di una civiltà
che nel suo insieme si sta suicidando e sta suicidando il mondo.
llich ci ricorda che la bicicletta è una invenzione contemporanea a
quella dell’automobile. E’ anch’essa un omaggio all’individuo ed è
l’inno alla meccanica, alla capacità di ruote e rondelle di cambi e
bielle di moltiplicare la spinta umana, di rendere miracolosamente
redditizio lo sforzo umano che già lo è di per se (anche l’uomo del
risciò o del cyclo lo sa). E’ una soluzione funzionale perché ha la
velocità giusta per una città, riesce a districarsi in mezzo ad altre
mille bici, non ha un problema di occupazione di spazio, non prevede
l’eliminazione dell’uomo che cammina né l’invenzione del pedone. Era
una idea geniale, ma qualcuno ha trovato immediatamente il modo di
metterla dentro una riserva: piste ciclabili si chiamano.
La bicicletta è il modo inventato per dare il massimo della libertà a
tutti ed il massimo della democrazia ad una città. Non richiede che
le strade divengano piste né che i centri storici vengano condannati
perché ostili alla circolazione. Oggi l’effetto più controproducente
del monopolio automobilistico è che non è credibile che urbanità e
auto possano convivere. Nemmeno le grandi riforme urbanistiche
dell’800 con i grandi boulevard e la città disegnata per assi di
percorrenza "tengono più". L’auto postula la fine della città, non ne
ha bisogno, se ne serve solo come tappa per parcheggiarvi per un po’,
ma della qualità dei suoi spazi e soprattutto della fruibilità di
strade e piazze non se ne fa nulla. Per l’auto l’unica vera città è
un autogrill, l’idea che la città è da fruire come piazzola di sosta
o come luogo di passaggio.
L’ipotesi, praticata da tutto il «Movimento moderno per
l’architettura», con in testa Le Corbusier, è che la città sia
destinata a finire per dare luogo a "snodi" e nuclei molto
concentrati di servizio agli spostamenti in auto. Questa ipotesi è
talmente poco credibile però che l’unico effetto dell’auto è stato
solo di allontanare il centro, non di eliminarlo: è stato
l’ingigantimento delle periferie. auto ha allontanato la città come
possibilità di godimento, è sta ta la causa e non la soluzione della
crescita urbana, ha dilaniato e slabbrato una forma che è diventata
una massa senza intelligenza né pensiero.
Nella carrellata del pensiero attuale della classe degli architetti è
grottesco quanta poca intelligenza ci sia della impossibile
convivenza tra auto e città. Le soluzioni funzionali, le
sopraelevate, i parcheggi sotterranei, i raccordi e le tangenziali, i
tunnel e via dicendo servono solo ad aumentare il traffico. Una
strada aperta al traffico è una strada destinata a riempirsi.
Architetti, urbanisti e amministratori continuano a giostrarsi nella
mediocrità di soluzioni e proposte a breve e brevissimo termine. I
primi potrebbero avere la capacità immaginativa per capire che siamo
alla fine e che nessuno si illude più, ma non hanno il coraggio di
essere radicali e intelligenti. Preferiscono essere i "designer"
della città, quelli che ne aggiustano i ritocchi mentre la qualità
urbana va a catafascio. La rinascita delle città passa per lo
sgombero della strada dalle auto. Nessuno ha mai deciso che le strade
dovessero appartenere all’auto e non ai cittadini.

IVAN ILLICH
Filosofo e antropologo, è morto nel 2002 Un’appassionante e
convincente apologia della bicicletta: della sua bellezza e saggezza,
della sua alternativa energetica alla crescente carenza di energia e
al soffocante inquinamento: tutto questo è il volumetto Elogio della
bicicletta dell’antropologo Ivan Illich, scritto negli anni ’70 e ora
pubblicato da Bollati Boringhieri (pagine 80, euro 7) con prefazione
di Franco La Cecla che qui in parte anticipiamo. Illich nota
acutamente che la bicicletta e l’auto sono stati inventati dalla
stessa generazione. Ma sono i simboli di due opposti modi di usare il
progresso moderno. Filosofo, storico e antropologo, Ivan Illich è
nato nel 1926 e morto nel 2002. Tra le sue opere tradotte in
italiano: Descolarizzare la società (Mondadori, 1972); La
convivialità (Mondadori, 1974); Nella vigna del testo. Per
un’etologia della lettura (Cortina, 1994); Nemesi medica.
L’espropriazione della salute (Bruno Mondadori, 2004).

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Marco Pierfranceschi
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