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Autore: roberto.guidi77@katamail.com
Data:  
To: forumlucca
Oggetto: [Forumlucca] Lungo ma molto interessante articolo di Carlo Bersani sulla situazione geopolitica attuale
La miccia libanese
di Carlo Bertani - 8 agosto 2006 www.disinformazione.it

Eccolo, vortice identico,
identica tempesta dello spirito l'invade.
E costerà pianto ai carcerieri
questo pigro andare.
Aaah! Grido che arriva
a soglia di morte.
Non spreco fiato, io, a darvi la speranza
che non sia questo il senso delle cose.
Sofocle - Antigone

Mentre l’informazione ufficiale è clamorosamente scomparsa – e nessuno dei molti “esperti” di strategia “targati” RAI s’affaccia dal teleschermo per spiegare cosa sta succedendo – dal 12 di Luglio l’intero pianeta si è messo a bruciare le tappe, come se avesse fretta di correre verso nuove aggregazioni, alleanze, schieramenti. E verso il disastro totale.
La guerra in Libano ha offuscato tutti gli altri scenari – è normale che sia così – ma una tragedia che si rispetti vive anzitutto nei movimenti dietro le quinte: l’apparizione in scena di un attore e la battuta “ad effetto” sono soltanto i risultati del lavoro svolto prima, nelle prove, fino alle ultime raccomandazioni che precedono gli eventi in scena.
Per dovere di cronaca partiamo proprio dallo scenario libanese, dove riesce difficile comprendere come sia così difficile spegnere un incendio apparentemente appiccato dalla cattura di due soldati israeliani: se le cose fossero così semplici, l’ONU avrebbe già trovato il bandolo della matassa, mentre le varie risoluzioni e gli accordi – palesi od in cantiere – sono soltanto dei cori senza senso recitati per non apparire muti.

L’apparente gazzarra sui tempi del “cessate il fuoco” – se prima o dopo lo spiegamento di una “forza di pace”, se contemporanea al ritiro delle truppe israeliane, ecc – cela il disaccordo fra i “grandi attori” della vicenda, che per ora parlano soltanto per bocca d’Israele e di Hezbollah e si nascondono dietro alle quinte.
Quando Israele afferma che per “finire il lavoro” sono necessarie settimane o mesi ha ragione: ciò che fa rizzare i capelli in testa è riflettere sui risvolti che avrà una così lunga guerra sul mondo arabo ma anche – e questo aspetto è per lo più taciuto – in Occidente.
Inutile ricordare che il “lavoro” è stato iniziato male, senza un’attenta riflessione sui possibili scenari e basandosi sulla semplice evidenza che lo strapotere militare israeliano nell’area avrebbe condotto alla solita guerra di pochi giorni, al termine della quale Tel Aviv avrebbe – come sempre – dettato al Consiglio di Sicurezza i termini della pace.

I copioni e le scenografie non possono essere riproposti per anni ed anni identici, giacché il pubblico cambia, e richiede sempre una “rivisitazione” dei testi.
Nella strategia israeliana non era previsto l’appiattimento del governo libanese sulle posizioni di Hezbollah: anzi, dopo aver scompaginato gli equilibri interni con l’assassinio di Hariri, Tel Aviv s’attendeva un rapido “divorzio” fra il governo di Beirut e le milizie sciite.
Sul fallimento israeliano pesano due errori, gravissimi: aver ridotto il Libano in pochi giorni ad un ammasso di macerie ed aver sottovalutato Hezbollah.
Il primo errore condurrebbe il governo libanese a perdere la faccia qualora accettasse la “pace” di Tel Aviv: cosa consegnerebbe Siniora ai libanesi? Una nazione distrutta, anni di ricostruzione, fatiche e sacrifici per la popolazione: il tutto – beninteso – sotto lo sguardo attento degli israeliani. In definitiva: alla sconfitta militare seguirebbe rapidamente quella politica, poiché nessuna classe dirigente sopravvive ad un simile sconquasso. Da qui la decisione di proseguire fino in fondo la battaglia, consci che ogni giorno che passa gli israeliani avranno sempre meno obiettivi da colpire, mentre si troveranno sempre di più esposti alla guerriglia di Hezbollah.

Il secondo errore è stato sottovalutare Hezbollah: a dire il vero, Tzahal ha sempre avuto grande rispetto delle milizie sciite, ma non s’attendeva certo una simile, organizzata resistenza, con puntuali risposte ad ogni attacco.
Le armi più temibili di Hezbollah non sono i razzi Katjuscia – armi semplici, già usate nella Seconda Guerra Mondiale per la prima volta nell’attacco russo dell’inverno 1941/42, che terrorizzarono le truppe dell’Asse per la loro potenza di fuoco – ma l’aver imposto ad Israele la strategia che meno gli è consona: la guerra di logoramento per il controllo del territorio.
Tzahal può permettersi d’attuare il controllo del territorio con i palestinesi – giacché non possiedono armi in grado di colpire i corazzati Merkawa – mentre Hezbollah ha distrutto carri armati, blindati ed elicotteri israeliani, cosa che i palestinesi non sono mai riusciti a fare.

Quali sono, allora, le armi e le strategie di Hezbollah?
Anzitutto, la consistenza militare del movimento sciita: le stime apparse sulle menzognere agenzie di stampa occidentali riportavano una cifra di circa 3.000 effettivi (ANSA).
E’ veramente difficile immaginare un movimento politico che – nella scorsa primavera – portò in piazza mezzo milione di sostenitori contro la “deriva” anti-siriana del governo (che sta ancora cospargendosi il capo di cenere per l’errore commesso), il quale esprima una forza combattente di soli 3.000 effettivi.
Altre analisi – di parecchi anni fa – affermavano che Hezbollah aveva la forza di “un paio di divisioni iraniane”, ossia un esercito di 10-20.000 uomini, che è più coerente con le dimensioni del movimento politico e con la resistenza mostrata.

Anche qui, se non la smettiamo di credere a quello che ci raccontano, non riusciremo mai a spiegare nulla: secondo molti giornalisti occidentali, in Iraq combattono soltanto pochi terroristi che sono pure malvisti dalla popolazione. La realtà è che in Iraq combattono alcune decine di migliaia di guerriglieri, appoggiati da gran parte della popolazione: altrimenti – se fossero solo quei quattro gatti – come mai i 135.000 soldati americani non sono riusciti a venirne a capo?
Le armi di Nasrallah – oltre ai razzi Katjuscia, i soliti lanciarazzi multipli che tutti gli eserciti hanno in dotazione, compreso quello italiano – sono i lanciarazzi RPG, mitragliatrici ed armi individuali: le armi contraeree – ossia i lanciamissili portatili con guida all’infrarosso – hanno limitato raggio d’azione e sono soggetti alle contromisure attive dei jet israeliani, ossia quegli artifizi (flare) sganciati in continuazione da aerei ed elicotteri.
Un’arma molto sottovalutata è il razzo RPG, che ha avuto molta importanza nella guerra contro i corazzati sovietici in Afghanistan, il quale è semplicemente un razzo portatile sparato con puntamento ottico contro il nemico.

Si tratta di un’arma semplice, che colpisce solo se la mira è buona ed il tiratore ha il “fegato” d’avvicinarsi ad un corazzato fino a poche centinaia di metri, e per questo è un’arma poco costosa, replicabile in gran copia a bassi costi.
Queste armi furono inventate dai tedeschi al termine della Seconda Guerra Mondiale (Panzerfaust) per arginare le avanzate dei russi e degli anglo-americani e diedero buoni risultati, ma nel dopoguerra furono abbandonate – in Occidente – perché ritenute troppo rischiose per chi doveva usarle.
Furono sostituite da sistemi di lancio che prevedevano non più una linea di mira ottica, bensì sofisticati sistemi di puntamento e di guida per aumentare la distanza di lancio e proteggere la vita del fante: rapidamente, i razzi Panzerfaust od RPG divennero i sistemi missilistici HOT e MILAN, ossia dei missili.

Un missile – a differenza di un razzo – ha un sistema di guida che lo conduce fino all’obiettivo: ne esistono di varia natura – elettromagnetica, infrarosso, laser, ecc – ma tutti questi sistemi prevedono una sofisticata elettronica per la guida, e quindi alti costi di produzione.
Il missile più “misero” non costa mai meno di decine di migliaia di euro, e per questa ragione non se ne possono consegnare grandi quantitativi alle truppe, mentre un razzo modello RPG costa forse qualche migliaio di euro: con la stessa cifra è possibile fornire un solo missile oppure decine o centinaia di razzi.
Dal punto di vista della letalità dell’arma – ossia della testata esplodente – non c’è differenza fra un razzo ed un missile: la differenza è data dal sistema di guida. Ora – se affidati a soldati coraggiosi, che accettino di rischiare la vita – è più probabile che centrino il bersaglio un solo missile o decine di razzi?

Questa è la prima riflessione sul modello di battaglia che Hezbollah sta imponendo ad Israele; nessuno, però, si è posto un’altra domanda: come fa Hezbollah a conoscere la posizione del nemico, visto che i comandi israeliani si lamentano spesso “d’essere attesi”? Perché gli sciiti – il 6 agosto – hanno lanciato una salva di circa 200 razzi in un’area ristretta, proprio la zona dove s’ammassavano le truppe di riserva israeliane? Un caso?
Può darsi che sia stato soltanto un caso ma, casualmente, nell’ottobre del 2005 i russi lanciarono dal cosmodromo di Baykonur il satellite spia iraniano Sinah-1, primo di una serie di lanci concordati con i russi per disporre di una rete di satelliti per la sorveglianza militare[1]. Non si ha notizia di successivi lanci, ma l’Iran ha tuttora in orbita un satellite per la sorveglianza militare.
Non confondiamo le possibilità di un solo satellite con quelle della rete americana ed israeliana, ma avere un “occhio” che può inviare a terra immagini del territorio è ben diverso dall’essere completamente ciechi come lo furono gli iracheni od i vietnamiti.

La strategia degli iraniani è dunque quella d’associare la tecnologia, quando è disponibile, alla disponibilità dei combattenti a sacrificare eventualmente anche la vita contro il nemico sionista. Attenzione: Hezbollah non compie attentati suicidi, ma le truppe combattenti sono coscienti di rischiare ed eventualmente sacrificare la vita per un ideale. Insomma, nulla di molto diverso dai molti soldati che sacrificarono la vita nelle guerre Risorgimentali per l’ideale dell’unità d’Italia.
A questo s’aggiunge un certo fatalismo dell’Islam sulla durata della vita ma, soprattutto, l’eredità di decenni lasciata dalle guerre di Israele; un vero e proprio grumo d’odio attraversa i luoghi e le generazioni, da Sabra e Chatila fino a ieri, e si è trasformato in una sorta di colonna sonora del Medio Oriente: la lotta ad Israele fino alla sua distruzione. Un miliziano intervistato recentemente in Libano, da Dahr Jamail per Mother Jones, affermava che la sua famiglia combatteva Israele da decenni:

“Il membro di Hezbollah che stavo intervistando - chiamiamolo Ahmed - era stato colpito tre volte durante le precedenti battaglie contro le forze israeliane sul confine meridionale del Libano. Suo fratello è stato ucciso in una di queste battaglie. Sono passati molti anni da quando suo padre è stato ucciso in un attacco aereo su un campo rifugiati.”
La “bomba”, la “polpetta avvelenata” o comunque la si voglia chiamare – per Israele – è rappresentata dall’accumulo decennale di odio e risentimento da parte degli arabi che nasce dalla causa palestinese