[Hackmeeting] art. liberazione bis

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ops mi e' partita mail, mancava il secondo pezzo.
A.

Il meeting di hacker a Parma. Pronti ad una grande sfida
Se ci provassero i «pirati» a disegnare un nuovo mondo?
Arturo Di Corinto

Puntuale come sempre, anche quest’anno è arrivato l’Hackmeeting,
l’incontro delle culture hacker italiane. Si terrà a Parma dall’1 al 3 di
settembre, in un edificio occupato per l’occasione dagli attivisti che
organizzano l’incontro e che si ritrovano intorno alla mailing list
omonima www. hackmeeting. org. Questo sarà il nono meeting italiano e dal
primo - tenutosi a Firenze nel 1998 per la felice intuizione della
comunità raccolta intorno a Isole nella Rete www. ecn. org - tante cose
sono accadute e sollecitano qualche riflessione.
In questi dieci anni abbiamo assistito ad una forte accellerazione
relativa ai territori del digitale. L’informatica e i new media non sono
più una questione da specialisti, computer, software e banda larga sono
considerati commodities, beni di consumo come tutti gli altri. I giganti
scampati alla bolla della new economy, Google, e-Bay, Amazon, sono
cresciuti, offrono servizi gratuiti e continuano a distribuire dividendi.
L’industria del software non conosce crisi e il Nasdaq, la borsa dei
titoli tecnologici ha ricominciato a correre. I blog, i siti personali che
da diari in rete si sono evoluti in organi di informazione dal basso dando
vita al cosiddetto civic journalism sono arrivati a quota 50 milioni e
Wikipedia, l’enciclopedia collaborativa online cui tutti possono
aggiungere lemmi e modificare voci, compete per accuratezza con
l’enciclopedia Britannica.
Il software libero e open source si rivela ogni giorno di più una valida
alternativa a quello del monopolista Microsoft di cui erode pian piano
importanti fette di mercato mentre le licenze Creative commons per i
contenuti digitali elaborate da Lawrence Lessig hanno ribaltato il
concetto di copyright basato su «tutti i diritti riservati» consentendo ad
autori ed editori di stabilire di volta in volta i possibili usi di
un'opera con la formula «alcuni diritti riservati». Oggi poi è possibile
telefonare gratis via Internet, il Wi-fi, l’Internet senza fili, viene
offerta nei parchi pubblici e molti paesi procedono a tappe forzate verso
l’informatizzazione e l’e-government.
Tutto questo è successo in dieci anni mentre Internet creava inedite
possibilità di dialogo, creatività ed espressione facendo da apripista a
una nuova cultura della partecipazione democratica. Eppure non tutti sono
ancora in grado di accedere alle meraviglie della rivoluzione digitale e
Internet rimane un territorio di conflitto dove la libertà non è scontata
né garantita.

La mutazione di Internet
Internet, che da progetto governativo si è presto trasformata in un grande
esperimento sociale, attravera una fase di cambiamento profondo. Secondo
alcuni oggi assistiamo al passaggio dalla Internet 1.0, degli hacker e dei
ricercatori, aperta e modulare, alla Internet 2.0, quella del business e
dell’e-commerce, presidiata da brevetti e copyright.
Probabilmente è vero. Per le imprese Internet è sempre di più uno spazio
da colonizzare per farne un'infrastruttura di commerci virtuali,
presidiata da mastini polizieschi pronti a intervenire al primo segnale di
comportamenti che non siano ludici e di consumo, mentre molti governi la
percepiscono come un pericoloso luogo da normare e vigilare, onde
espellerne qualunque voce dissenziente. E infatti nell’ultimo anno
Internet ha collezionato molteplici e spesso riusciti tentativi di
repressione: non solo in Cina, dove Google si autocensura e Yahoo
contribuisce all'arresto dei suoi utenti; ma anche in Tunisia, dove da
poco hanno liberato gli internauti di Zarzis, i giovani scolari
ingiustamente accusati di essere dei terroristi per aver scaricato testi
relativi all'Intifada palestinese; e perfino negli Usa, dove Bush, senza
successo, aveva provato ad ottenere di identificare i visitatori dei siti
erotici.
Nel frattempo l'impegno dei governi ad affrontare le disuguaglianze
digitali sembrava scemare, tanto che l’Onu ha voluto un summit mondiale
per discuterne, riconoscendo nella rete un grande strumento democratico
per lo sviluppo del potenziale umano e per la crescita economica, come ha
ribadito Kofi Annan al vertice di Tunisi dedicato alla società
dell'informazione. (www. itu. org/wsis)

Il ruolo degli hacker
Gli hacker che si incontrano a Parma nel consueto meeting annuale hanno di
fronte una grande sfida: l’autogoverno della rete, che ne siano
consapevoli oppure no. Gli hacker, che una cattiva pubblicistica ha
dipinto come dei criminali informatici ma che sono invece quelli che
«hanno costruito il world wide web, le conferenze Usenet, i codici
crittografici e i protocolli di comunicazione di Internet», hanno avuto
sempre un ruolo cruciale, seppure nascosto, nel garantire le libertà che
la rete promuove e rappresenta, «costruendo dispositivi di comunicazione e
mettendo a disposizione di tutti risorse informative o realizzando
programmi e contenuti open source». Perciò di fronte a problemi come la
censura, il digital divide, la crociata delle major contro i ragazzini che
si scambiano film e musica, la comunità hacker non vuole stare a guardare.
In questi dieci anni c’è stata una chiara maturazione della scena hacker
italiana, a lungo divisa sull’opportunità di legare l’intervento politico
alla dimensione ludica e specialistica della telematica amatoriale.
Oggetto di numerose discussioni fra quanti affermavano il carattere
neutrale di reti e computer e quanti sottolineavano l’importanza delle
nuove forme di comunicazione digitale per costruire un mondo più giusto e
solidale e «creare un’alternativa alla società del codice civile e del
codice a barre», le due posizioni si sono progressivamente fuse in una
cultura critica della rete dove i giovani “smanettoni” di oggi sono molto
più attenti a un contesto in cui i Internet e i computer modellano valori
e comportamenti sociali.
E tuttavia l’hackmeeting sarà all’insegna delle battaglie di sempre, per
la privacy, per il software libero, per la libertà di imparare, creare e
condividere, perchè oggi i nemici di Internet e della cultura hacker, una
cultura di condivisione e cooperazione, appaiono più pericolosi che mai:
sono il Trusted computing e i Drm, la censura online, i monopoli, gli
strumenti di sorveglianza digitale. Ad ognuna di queste minacce, gli
hacker, i virtuosi del software, hanno nel tempo dato risposte efficaci,
spostando sempre più in avanti il confine della pratica e della
sperimentazione, verso territori, quelli del ciberspazio, dove costruire i
mondi in cui vivere liberi. Negli anni hanno costruito reti di
file-sharing per la condivisione di software, musica e libri; strumenti di
autodifesa digitale per garantire la riservatezza delle connessioni;
archivi di video autoprodotti cui attingere liberamente; web-radio, blog e
mailing list dove autogestire la propria informazione. Ma di fronte alla
voracità delle major e all'ottusità dei governi, il conflitto oggi non
appare più rinviabile e se ne sono accorti anche quelli più moderati.
Dalle brutte vicende del sequestro del server di Indymedia alle querele di
Trenitalia contro il collettivo Autistici/Inventati passando per i
reiterati tentativi di rendere il software brevettabile, la sfida tra gli
hacker da una parte, i legislatori disattenti e i mercanti di cultura
dall'altra, deve compiere un salto di qualità. Di questo sembrano essere
consapevoli gli hacker italiani, alcuni dei quali stanno lavorando a un
“Partito dei pirati” che anziché assaltare navi o attaccare siti vogliono
affermare il diritto a uscire dai recinti del copyright che strangola
innovazione e creatività.
Problema pressante che emerge qua e là nel programma degli incontri di
Parma e sintetizzabile nella strategia delle major del cinema e del disco
di imbrigliare la rivoluzione digitale con sistemi di controllo e di
autorizzazione all'esecuzione di file musicali e audiovisivi con lucchetti
tecnologici per garantirsi un flusso costante di introiti non solo per
ogni file scaricato dalla rete ma anche per ogni singola esecuzione di
un'opera digitale già acquistata. Una strategia che va di pari passo con
l'azione di lobbying per l'approvazione di leggi draconiane atte a far
rispettare un presunto diritto di «proprietà intellettuale» a cui gli
attivisti digitali oppongono il concetto di «patrimonio intellettuale», in
tal modo affermando il carattere collettivo, storico e sociale della
produzione di sapere e di cultura.
Perciò nel meeting si parlerà di musica autoprodotta, media indipendenti,
di Linux e copyleft, e di tutti quei sistemi che impediscano di
irregimentare le pratiche ideative nelle gabbie del mercato, nella
convinzione che non tutto ciò che vale va pagato, e che non tutto ciò che
è buono ha un prezzo. Il baratto, lo scambio, la cooperazione, sono e
rimangono per gli hacker gli ingredienti primi dell'economia della
conoscenza.



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