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Autor: il vento del cinema
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il vento del cinema
N E W S L E T T E R n. 2* [24 agosto 2006]

ULTERIORI ANTICIPAZIONI SU IL VENTO DEL CINEMA 2006
Isola di Procida (Napoli) 21 –25 settembre 2006

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Anche RENZO ROSSELLINI e AMOS GITAI prenderanno parte alle attività de Il
vento del cinema, l’originale Festival cinematografico internazionale con la
direzione artistica di enrico ghezzi, dedicato alle interazioni tra cinema e
filosofia.

RENZO ROSSELLINI, oltre a partecipare alle jam session, interverrà sabato 23
settembre alle ore 12 presso il Cinema Procida Hall, a conclusione della
proiezione di HISTORIA DO BRASIL di Glauber Rocha, di cui fu produttore nel
1974. Oltre a ricordare le intersezioni umane e artistiche con il grande
regista brasiliano, Renzo Rossellini illustrerà gli appunti preparatori
(completamente inediti) del film non realizzato di Roberto Rossellini Storia
dell’Islam.
Questi interventi fanno parte dell’evento la frattura Rossellini che spacca
la storia del cinema che si svilupperà con altre proiezioni e incontri nel
corso del Festival (programma in seguito).
Sempre nell’ambito delle celebrazioni del centenario rosselliniano, nel
catalogo della manifestazione verrà pubblicato un testo inedito di
Rossellini dell’inizio degli anni ’70 che illustra idee e programmi per il
Centro Sperimentale di Cinematografia di cui era allora presidente.

AMOS GITAI, oltre a intervenire sul tema del Festival CATASTRIONFO,
parteciperà a un incontro pubblico al termine della proiezione de LA
TRILOGIA DELLA CASA, dedicata a un’abitazione di Gerusalemme.

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La programmazione della TRILOGIA DELLA CASA e l’incontro avverranno come
segue:


Lunedì 25 settembre 2006

Cinema Procida Hall
ore 11.00
LA CASA di Amos Gitai
(House/Bait, Israele, 1980, col., video, 51’, v.o. con sott. it.)

ore 14.45
UNA CASA A GERUSALEMME di Amos Gitai
(A House in Jerusalem/Bait be Yeruhalayim, Israele/Francia, 1995, col.,
video, 87’, v.o. con sott. it.)

ore 16.30
NOTIZIE DA CASA/NOTIZIE DALLA CASA di Amos Gitai
(News from Home/News from House, Belgio/Francia/Israele, 2005, col., video,
97’, v.o. con sott. it.)

ore 18.15
incontro con AMOS GITAI
con presentazione di schegge/eveline/girati (a cura di Ciro Giorgini) sui
territori contesi in Medio Oriente dalla guerra dei sei giorni a oggi.

Infine, nel corso della serata finale del Festival, a partire dalle ore 22
al Cinema Procida Hall, AMOS GITAI presenterà il film DYBUK, l’opera più
importante dello scomparso cinema jiddish.
(di cui abbiamo già dato informazioni nella prima newsletter, scaricabile
dal sito: http://www.ilventodelcinema.it)

TRILOGIA DELLA CASA
«Venticinque anni fa (nel 1980), ho cominciato un film, La casa, osservando
la (ri)costruzione di una casa a Gerusalemme Ovest come una metafora della
città e dei suoi abitanti – principalmente ebrei e arabi, palestinesi e
israeliani. In questo primo film, la casa era una sorta di sito archeologico
aperto, un sito archeologico umano.
Nel secondo film, Una casa a Gerusalemme, che ho iniziato nel 1995, quindici
anni dopo il primo capitolo, il fuoco si è esteso, spostato a destra e a
sinistra, sopra e sotto verso il vicinato e i siti archeologici sepolti
sotto la superficie.
Nell’ultimo Notizie da casa/Notizie dalla casa, che potrebbe essere
intitolato anche “La casa compie venticinque anni”, volevo approfondire i
perimetri della mia osservazione alle Diaspore, estendendoli ai legami degli
abitanti della casa, alla loro storia di famiglia.
Questi venticinque anni seguono i destini di una casa a Gerusalemme in via
Dor Dor ve Dor Shav, che significa “Via di ogni generazione e dei suoi
Maestri”.
Dove vive oggi la famiglia di Haim Barkai, il nuovo proprietario della casa?
Che ne è stato della famiglia Dajani, i primi proprietari, fuggiti nel 1948,
sparsi per il mondo dal Canada ad Amman, da Beirut al Kuwait e alle regioni
del Golfo Persico?
Oggi che cosa dicono le persone che un tempo ritenevano possibile, studiando
medicina o legge, e non solo grazie ai politici, creare un moderno
Musulmanesimo e una famiglia tribale palestinese?» [Amos Gitai]



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Annunciamo la programmazione dei seguenti film (restauri, ritrovamenti)
legati al tema CATASTRIONFO e al tema CHI PENSA IL CINEMA:


Venerdì 22 settembre

Cinema Procida Hall
ore 00.30
L’ADDIO di Elem Klimov
(Proshchanie, Urss, 1981-85, col., 35mm, 108’, v.o. con sott. it.)
(concepito e preparato da Larisa Shepit’ko, direttore della fotografia
Vladimir Chuknov, Yuri Fomenko, morti tragicamente il primo giorno delle
riprese)
L’ucraina Larisa Shepit‘ko, la giovane assistente/attrice di Dovzhenko per
Poema o more/Poema del mare, e il marito russo Elem Klimov sono stati la
coppia del cinema sovietico: ricchi di talento, carismatici, poliedrici e
belli. Entrambi molto dotati come registi, hanno lavorato separatamente fino
al primo giorno di riprese del film Proshchanie (L’addio, 1981-85) nel 1979.
La morte improvvisa di Larisa Shepit’ko, insieme ad alcuni collaboratori,
porta Klimov a finire il film. Larisa aveva quarant’anni, il suo film
Voschozhdeniwe (L’ascesa, 1977) era stato premiato al Festival di Berlino
con l’Orso d’oro, e con un corpus di film breve ma noto per la sua bellezza,
la profonda osservazione e le istanze spirituali, sembrava destinata a
raggiungere Tarkovskij come uno dei più importanti autori della nuova
generazione.
L’addio, tratto dal romanzo breve di Valentin Rasputin Addio a Matera (o Il
villaggio sommerso), è una delle opere chiave del cinema della glasnost. Una
comunità antica, chiusa in antichi riti e rituali sacri, deve bruscamente
confrontarsi con un’evacuazione dovuta al progetto di un bacino artificiale
per l’energia idroelettrica. Piuttosto che traslocare negli anonimi
condomini a loro destinati, le anziane donne del villaggio si ribellano e si
rifiutano di andarsene, portando agli estremi il contrasto tra il vecchio e
il nuovo.


a seguire:

LARISA di Elem Klimov
(Urss, 1980, col., 35mm, 20’, v.o. con sott. it.)
Un intenso cortometraggio dai toni elegiaci sulla moglie appena scomparsa in
cui il regista utilizza sapientemente fotografie, materiale di repertorio e
provini per la realizzazione di Proshchanie.




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Sabato 23 settembre

Cinema Procida Hall
ore 9.30
HISTORIA DO BRASIL di Glauber Rocha
(Brasile, 1974, b/n, video da 35mm, 151’, v.o. con sott. francesi e
oversound italiano)
La storia del Brasile tutta intera, dalla scoperta del paese da parte del
navigatore portoghese Pedro Alvares Cabral, nell’anno 1500, fino agli inizi
degli anni ’70 del Novecento, apogeo autoritario della dittatura militare.
Realizzato in gran parte a Cuba nel 1972, e terminato al montaggio in Italia
nel 1974 (dove Rocha abbandonò il film a progetto ormai finito senza
spiegare i motivi).

«Non ci sono più parole per dire le cose, poiché il linguaggio non è più il
linguaggio, e la differenza tra l’azione e la parola è caduta in una sorta
di cosa unilaterale, dove il colore, il suono, tutte le forme si mescolano
in un caos cosmico e demoniaco in cui dimentichiamo quello che un tempo
chiamavamo lucidità… Ed è per questo che vagabondo, erro, come una cosa
cristallina, e nuova, dopo nuovi suoni da dove potrebbe uscire il profumo e
non esce. Mi sono tagliato la testa, ma ecco che si muove di nuovo, ombra
decolorata, ridicola.» [Glauber Rocha]



Cinema Procida Hall
ore 14.30
A PATRIZIA, ovvero L’OGGETTO D’AMORE, ovvero L’IRREALTÀ IDEALE di Tonino De
Bernardi
(Italia/Marocco 1968 -70, b/n e colore, video da 8mm, 55’)
«Patrizia era Vicinelli, lei era una grande, poeta poetessa donna di cinema
e teatro avventuriera della vita (più ancora di me e di te) e sua vittima
dichiarata (più ancora), agnello immolato, e nel mio silenzio io la
mangiavo, succhiavo, divoravo filmandola (quel poco che feci, ahimè, e
sapevo ma non abbastanza potevo diversamente che cogliere l’attimo era
l’ultima volta, l’ultimo gesto... avanti l’alba del nuovo, dell’ignoto), la
guardavo l’ascoltavo, da un’età all’altra, finché altrove con uno schianto
lei non se n’andò. E non la filmai mai più. Impossibilitato.
L’oggetto d’amore, l’irrealtà ideale sono i sottotitoli che mi vennero in
conseguenza dopo che titolai A PATRIZIA, una dedica, una dichiarazione,
forse è l’unica volta che nel mio cinema ho usato direttamente il nome della
persona oggetto ma già appunto sentivo il bisogno di scivolare via verso il
secondo titolo OGGETTO D’AMORE, e una catalogazione di successivi
conseguenti accidentali e non... oggetti d’amore e da qui il conseguente
terzo titolo IRREALTÀ IDEALE e nulla più ci resta, o no, non è vero, ci
resta ancora tutto (da fare).» [Tonino De Bernardi]

TONINO DE BERNARDI commenterà il film a introduzione delle jam session di
sabato (inizio ore 15.30)



Cinema Procida Hall
ore 00.30
DOGORA IL MOSTRO DELLA GRANDE PALUDE di Inoshiro Honda
(Dogora, Giappone, 1974, col., 35mm, 85’, v.o. con sott. it.)
Un ennesimo satellite artificiale viene assorbito da una misteriosa massa
incandescente e nel medesimo tempo, non solo a Tokio, ma in tutte le
principali città del mondo, vengono presi di mira i depositi di diamanti. La
polizia giapponese incarica l'ispettore Komai di pedinare Mark Jackson, un
americano sempre presente nei luoghi dove si rubano gioielli, ma i due
finiscono per incontrarsi presso il professor Munakata, studioso di
cristallografia, e scoprono di essere ambedue dalla parte della legge. Nei
giorni che seguono, la banda di Emily assalta un furgone ma è prevenuta
dalla solita forza misteriosa e finisce per risucchiare un carico di
banalissimo carbone. Ormai si è disposti a credere nell'esistenza di un
mostro spaziale che convenzionalmente si denomina Dogora. Il professor
Munakata, mettendo in relazione i furti di diamanti con quelli di carbone,
scopre che Dogora è una forza che si nutre di carbonio; ipotizza, inoltre,
che il veleno delle vespe sia in grado di mutare la stessa forza di materia
minerale innocua. Il fenomeno viene così sconfitto.



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Domenica 24 settembre

Cinema Procida Hall
ore 9.30
ABU RAIHAN BIRUNI di Shuchrat Abbasov
(Urss, 1974, col., 35mm, 150’, v.o. con sott. it.)
Abu al-Rayhan Muhammad ibn Ahmad al-Biruni era un matematico, fisico,
studioso, enciclopedista, filosofo, astronomo, astrologo, viaggiatore,
storico, farmacista e insegnante persiano che diede il proprio prezioso
contributo nel campo della matematica, della medicina, dell’astronomia,
della filosofia e delle scienze. Il cratere Al-Biruni, sulla Luna, è stato
chiamato cosí in suo onore.
Nacque nel 973 in Corasmia (Khwarazm), anticamente una regione a Nordovest
della Persia, all’epoca sotto il califfato arabo-islamico degli Abbasidi,
attualmente nota come Khiva (Uzbekistan). Studiò matematica e astronomia
sotto la guida di Abu Nasr Mansur. Fra i suoi più notevoli contributi è
meritevole di menzione il fatto che, a soli 17 anni calcolò la latitudine di
Kath (Khwarazm), individuando l’altezza massima apparentemente raggiunta dal
Sole; inoltre, a 22 anni, scrisse diversi brevi trattati, incluso uno studio
sulla proiezione della mappe. In tale lavoro era enunciata la metodologia
che aveva adottato per proiettare una semisfera su un piano geometrico.
Prima di compiere 27 anni, al-Biruni scrisse Cronologia, in cui faceva
riferimento a un precedente lavoro – purtroppo perduto – che includeva un
trattato sull’astrolabio, uno sul sistema decimale, quattro sull’astrologia
e due di carattere storico. Migliorò l’approssimazione del calcolo del
raggio terrestre, stabilendolo in 6339,6 chilometri, e precisando così la
stima fatta da Eratostene nel 240 a.C. (che aveva stimato la circonferenza
terrestre in 6314,5 chilometri).
Il film, un grande affresco storico, narra soprattutto della lotta condotta
a Samarcanda per l’affermazione delle proprie idee e le preziose scoperte
fatte in un mondo di violenza.

Shuchrat Abbasov (nato a Kokand, Uzbekistan nel 1931), dopo la laurea in
medicina a Tashkent, si dedica allo studio del teatro diventando presto il
regista più importante del teatro di Ianguioul. In seguito segue i corsi di
regia cinematografica a Mosca, che finisce nel 1958. Diventa in seguito il
segretario dell’Unione dei cineasti uzbechi.



Cinema Procida Hall
ore 20.00
CAPRICCI di Carmelo Bene
(Italia, 1969, col., 35mm, 95’)
«Capricci non è un film fatto con gli spettatori ma contro di loro (anziché
uno specchio, un muro, secondo la teoria Melani), il resoconto di
un’esperienza “sublime” che non deve corrompersi nella generale ammirazione
e che soprattutto non deve essere consumata proprio perché riflette sulla
corruzione e sul consumo. [...] Ingoiare ed espellere, fare l’amore e
praticarsi clisteri, bere e sputare assumono l’aspetto di atti supremi,
accuratamente ritagliati da ogni giustificazione meccanica e psicologica,
affinché le azioni dell’abiezione quotidiana possano costituire i momenti di
una messa funebre in onore della vita che se ne va e, nello stesso tempo, un
esorcismo della morte che non si vuole credere imminente.» [Enzo Ungari, I
nudi e i morti]



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Lunedì 25 settembre

Cinema Procida Hall
ore 00.30
MATANGO IL MOSTRO di Inoshiro Honda
(Matango, Giappone, 1964, col., 35mm, 84’, v.o. con sott. it)
Cinque uomini (l’industriale Casay, lo scrittore Joschida, lo psicologo
Murey, il marinaio Cojma e il capitano Sakuda) e due donne (Sege-gugy, star
della televisione, e la studentessa Akiko) comprano uno yacht per lasciarsi
alle spalle le esperienze allucinanti di Tokio e veleggiare verso l'Europa.
L'imbarcazione rischia però il naufragio e i sette si ritrovano su di una
misteriosa isola deserta, dove scoprono il relitto di una nave. Mentre
sperimentano, tra mille contrasti interni, la difficoltà quotidiana di
sopravvivere, sono terrorizzati dalle apparizioni di un mostro che incombe
su di loro. In realtà si tratta di un essere umano che ha assunto la forma
legnosa di un fungo. Cinque tra i protagonisti della vicenda faranno la
stessa fine. Il capitano Sakuda morirà in mare. Sopravviverà soltanto il
giovane Murey che, dopo avere raccontato la storia vissuta sull’isola ai
propri concittadini, finirà all'ospedale neuropsichiatrico di Tokio.

Il film verrà presentato dal filosofo UMBERTO CURI



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INSTALLAZIONI VIDEO
Presso la struttura dell’Ex Conservatorio delle Orfane a Terra Murata
verranno allestite durante il Festival quattro installazioni dedicate a
immagini collegate in vario modo al tema CATASTRIONFO (mattino 9-13,
pomeriggio 18-21).


I temi, i contenuti e i curatori/autori delle installazioni sono:

GREGORY ARKADIN (1954-2006)
CATASTROFE ED EPIFANIA a cura di Ciro Giorgini
«Il film è certamente l’opera, tra i film finiti di Orson Welles, che si
presenta con il massimo numero di varianti editate e note al pubblico
internazionale. Ma è anche il film più documentato dell’intera storia del
cinema per la vastissima quantità di rushes e materiali di scarto giunti
fino a noi, e già presentati sin dalla fine degli anni ’80 da Fuori Orario.
L’illustrazione del tempo di un film, impossibile da rinchiudere
nell’ossario di una qualunque edizione finita o restaurata che sia, il tempo
dilatato “contro” l’idea totem di originale e di cinema chiuso nella forma
della sua edizione. Il tempo che fa evadere ognuno dei corpi decomposti
nelle sei sette otto versioni del film.

Dopo una notte (troppobreve) di furoriorario della scorsa primavera, e dopo
l’ennesima catastrofe di un accreditato “restauro” in dvd, proveremo
stavolta a far durare il film un intero giorno, per la versione più lunga
possibile, aggiungendo ogni desinenza visiva, ogni variante, ogni immagine
alternativa (girata ed editata) a quelle presenti nelle varie versioni.
Un’operazione limite dentro il tempo cinema di Welles, che prova a far
emergere la filigrana di ciò che lo rese riconoscibile a ogni pubblico: in
visione “differita”, la potente libertà delle sue immagini, ripetute fino
all’estenuazione, che si dondolano agli occhi in forma di rushes come fosse
la celebrazione di una vittoria.» [Ciro Giorgini]



STATI DELL’IMMAGINE. GENERALI E DEGRADATI
a cura di Ciro Giorgini
«Forse dieci anni fa presentammo dissesti, un lungo montaggio che raccontava
le ferite italiane e non registrate dall’immagine. Ancora il digitale non si
era affacciato a de e co mprimere i lunghi cerchi visivi che fuoriorario
avrebbe cercato di svolgere e riavvolgere. Rivedendo quell’ipotesi (forse
bellaria?) incontriamo ancora la solidità di quelle immagini di parola e di
materia e la liquidità di altre più recenti.
Restano di quei giorni, non ancora sopraffatte, un sacerdote che racconta
una luce soprannaturale vista nella notte del Vajont e un grande fragore mai
udito prima e un muro d’acqua alto trenta quaranta chissaquanti metri.
E l’acqua infinita di Firenze, raccontata da Burton e Zeffirelli, ma gravida
di un sessantotto automatico e molto vicino. E la terra spaccata del Belice,
secondo una tv ormai entrata nella storia. Poi una serie di nomi piantati
nella pelle del paese. Per tutti Seveso, dove fa già caldo e i soldati di
leva sono ancora con la divisa invernale, gli addetti alla disinfestazione
dalla diossina non sanno dov’è Chernobyl.
In Friuli, proprio trentannifa, tutto si lacera sotto i piedi di gente che
dicono che non ha paura. In Irpinia invece un ignoto appassionato di canzoni
popolari registra per sempre il boato del centro della terra. A Vermicino,
vicino a Roma, un bambino viene inghiottito da un buco infido e la diretta
tv cerca un nano per salvarlo; c’è il bradisismo a Pozzuoli, poi le navi
straboccanti di albanesi, l’incendio di un teatro storico a Bari, la tv che
vede il terremoto ad Assisi e la furia dell’acqua a Sarno. Il fuoco
dell’Etna, con le immagini di Giovanni Tomarchio, che brucia in diretta tv
le case davanti al veleno di Vittorio Sgarbi.
Ma il fiume rosso continua e il vulcano porta la sua lava per il mondo dalla
piccola saletta dei ponti RVM della Rai di Catania, ancora dal mirino di
Tomarchio.
E il ritorno quest’anno è a Napoli, con le vedute Lumière di centodieci anni
fa, in una ripresa di via Caracciolo e un affaccio al lungomare che pare non
esista più. E di Napoli 1943 (come fosse per Rossellini) è pure un potente
documento nascosto in un programma tv degli anni ’70, che vede i Vigili del
fuoco nel vano tentativo di spegnere un feroce incendio, scoppiato su una
nave carica di esplosivo fatalmente ormeggiata al porto, e poi deflagrata
con conseguenze drammatiche. Ci saranno le rushes delle riprese aeree sul
mare circostante l’impatto con l’acqua del DC-9 di Ustica, le immagini
dell’ultima eruzione del Vesuvio nel 1944, le riprese amatoriali, girate da
Ingrid Bergman, della spiaggia di Stromboli durante la permanenza della
troupe di Roberto Rossellini, i rari istanti di sopravvivenza delle case di
Vagli di Sotto, in Toscana, un paese ormai sommerso dall’invaso di una diga
che viene svuotata di tanto in tanto, e che si offre ai sopravvissuti della
sua esistenza vincendo la catastrofe. Le prime immagini del terremoto di
Messina in un corto sovietico dei primi anni del Novecento.
Ma prima dello squarcio allo schermo portato dal vento per i papi passati e
nuovissimi (le pagine che girano da sole in piazzasanpietro – in un apice
possibile di montaggio dell’evento 2006 degli occhi – e la papalina di
ratzinger che rotola su se stessa nel suo primo viaggio tedesco) esprimiamo
il desiderio, che non è detto che si avveri, di riuscire ad annacquare od
astringere questo cerchio che vorremmo liquido con le immagini di Enzo
Ungari, quelle con cui scelse di illustrare il suo L’Immagine del Disastro
trent’anni fa per una introvabile edizione Arcana, che ricorderemo a Procida
con Tommaso Pincio.» [Ciro Giorgini]



ALL WORK AND NO PLAY
a cura di Donatello Fumarola e Federico Ercole
Anche quest’anno Il vento del cinema propone un’incursione nell‘articolato e
sempre più interessante mondo dei videogame prodotti da autori giapponesi, i
più prolifici e «avanzati» in questo campo (in attesa dell’esordio di John
Woo con il remake di Hard Boiled per la consolle X-Box). L’installazione a
Terra Murata propone il montaggio integrale (4 ore e 20 minuti) delle scene
di animazione di Xenosaga: der wille zur macht di Tetsuya Takahashi.
«Il gioco eliminato dal videogioco che diviene così cinema, oppure
uberspiel, per una volontà di potenza, una negazione della stasi, che anima
gli atomi numerici che compongono le galassie di Takahashi, siano essi
formanti cose o persone.
Tutto in Xenosaga si muove verso la sublimazione, intesa in senso alchemico
oltre che nietzscheano. Non solo i personaggi; che sono sempre oltre se
stessi, funamboli sospesi su una cima tra futuro e passato, tra genesi e
catastrofe (“Io sono l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine...”; così inizia
Xenogears di cui Xenosaga è preludio); anche gli oggetti e gli elementi
seguono vettori cinetici cangianti, mai caotici; niente trova pace entro i
propri limiti spazio-temporali e tutto si strugge in frustranti tentativi di
evasione dal sé; illudendoci solo, tuttavia, di avere sconfinato. Perché
nulla cambia e il tentativo si trasforma in un inganno della visione, come
quando si vede quella zona indefinibile e tremolante comparire sull’asfalto
surriscaldato. Pochi centimetri della “Zona del Crepuscolo”. Donatello
Fumarola scrisse a ragione che Xenosaga è un film gassoso.
È proprio dalla prigionia, dalle catene dell’eterno ritorno, che scaturisce
il dramma di Xenosaga (d’altronde sia il cinema, ma ancora di più i
videogiochi, considerati come realtà rappresentata e senza spettatori, sono
universi in cui la metafisica di Nietszche funziona come legge fisica,
perché tutto, inevitabilmente, si ripete).
Si tratta di ore di fantascienza cupa, schiarita talvolta da qualche
intervallo, gingle naif di comicità minimale, eppure sempre narrata con i
tempi dilatati dell’epica o della tragedia wagneriana. L’iperbole è
continua, iperbole su iperbole, fino all’iperspazio.
Quasi impossibile raccontare un intreccio o pensare una sinossi; in Xenosaga
ci sono diversi film stratificati e qualcuno nasconde l’altro. Molte le
scene memorabili, tra le migliori mai viste in un film SF: il risveglio
volontario di Kos-Mos, una bellissima androide con i capelli blu dalla
potenza devastante e vascello di un Dio; l’arrivo degli Gnosis, esseri
provenienti da un’altra dimensione, composti da una nomenclatura fisica non
a base di carbonio; le guerre stellari a velocità della luce, mai viste
neppure in Star Wars; il monologo di Albedo, che cita Shakespeare e si
stacca la testa senza morirne; viaggi nel subconscio elettronico che diviene
memoria collettiva; un uomo vittima del riciclo vitale che ricorda le sue
molte vite e i sanguinosi motivi delle condanne; robot giganti annientati da
spugne cosmiche non solide ma aereo-liquide, come bolle di sapone.
Xenosaga è un gesamtkustwerk anime, stracontaminato di letterature,
filosofie, fantascienze; quasi radioattivo. Forse è per questo, e non per la
sua anima digitale, che risulta così iridescente?» [Federico Ercole]



UNKNOWN QUANTITY di Andrei Ujica
(Francia/Germania, 2005, col., video, 67’, v.o. con sott. it.)
Due conversazioni tra PAUL VIRILIO e SVETLANA ALEXIEVICH, autrice del libro
Voci da Chernobyl. Cronaca del futuro, un testimone chiave della storia che
si è trasformata in disastro. Andrei Ujica ha concepito quest’opera per
un’installazione con monitor, che diventa parte del gioco.
L’unica allusione intenzionale alla storia del cinema è Stalker di
Tarkovskij. Lo spettatore è gradualmente portato a capire che Svetlana
Alexievich è effettivamente una stalker di professione. È venuta dalla zona
morta per fare una visita a Virilio in una biblioteca pubblica. E che cosa è
Virilio se non uno stalker che è fuggito dalla grande città molti anni fa?



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Il vento del cinema, realizzato in collaborazione con Fuori Orario (Rai
Tre),
è patrocinato e finanziato da:
COMUNE DI PROCIDA (Assessorato alla Cultura, al Turismo e ai Grandi eventi),

PROVINCIA DI NAPOLI,
PRESIDENZA DELLA REGIONE CAMPANIA,
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
e COM.TUR (azienda speciale della Camera di Commercio di Napoli).


La prima newsletter (11 agosto 2006) è scaricabile dal sito:
http://www.ilventodelcinema.it
(sezione info).

info@???



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Giugno 2003), le e-mail informative possono essere inviate solo con
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