[NuovoLab] il movimento torna in strada

Nachricht löschen

Nachricht beantworten
Autor: antonio bruno
Datum:  
To: fori-sociali, forumambientalista, debate
CC: forumgenova, forumsociale-ponge
Betreff: [NuovoLab] il movimento torna in strada
il manifesto, 27.08.06

Il movimento torna in strada
Ieri a Assisi la manifestazione per la pace. L'8 ottobre il prossimo
appuntamento
Alessandro Braga
Assisi
Dentro l'auditorium della Cittadella di Assisi si discute sul da farsi. Si
susseguono gli interventi: don Luigi Ciotti, Franco Giordano, Antonio
Papisca, Fabio Corazzina. Proposte, idee, appuntamenti. «La missione è
pericolosa, ma è un primo importante passo». «La politica è l'altro nome
della pace», dice Pierluigi Castagnetti. «Troviamoci di nuovo tutti qui, a
ottobre, e facciamo il punto della situazione», propone Flavio Lotti. Carne
al fuoco ce n'è tanta.
Fuori, sotto il sole, il popolo della pace aspetta il momento della marcia.
Intanto si confronta, dibatte. Qualcuno si riposa. Una ragazza si appisola
sotto un ulivo. Le bandiere arcobaleno sono ovunque, mischiate a quelle
rosse di Cgil, Rifondazione, Comunisti italiani. A quelle bianche delle
Acli, quelle gialle di Legambiente, quelle multicolore dell'Arci. C'è la
Margherita. Ci sono pure i Verdi.
Sono in tanti a Assisi, in una calda giornata di fine agosto. «Se vengono
4.000 persone sarà un grande successo, in un periodo in cui anche le
diocesi sono chiuse» aveva dichiarato nei giorni scorsi la Tavola della
Pace. Forse non sono così tanti, ma è un successo lo stesso. Non solo per
il numero di partecipanti, ma per lo spirito con cui hanno voluto essere
presenti. Gioiosi e preoccupati nello stesso tempo, speranzosi nel buon
esito della missione, per nulla rassegnati. «Non chiamateci sognatori,
utopisti. Quelli semmai sono coloro che continuano a credere di poter
costruire la pace con la guerra. Ma allora è meglio chiamarli illusi», dice
Flavio Lotti nel suo intervento.
Se a seguire il dibattito ci sono mille persone, è perché di più nella sala
non ce ne stanno. Fuori sono almeno il doppio. Anziani con i nipotini
mischiati a giovani che si baciano. Famiglie che mangiano sedute sull'erba.
Intanto gli altoparlanti diffondono le parole che vengono dette
nell'auditorium. Si applaude dentro, risponde il battimani fuori. Quando
Raffaella Bolini, dell'Arci, apre il suo intervento dicendo di volersi
stringere in un abbraccio alla famiglia di Angelo Frammartino e gli amici
mostrano in sala lo striscione che lo ricorda, si alzano tutti in piedi.
Battono le mani. E' un applauso lungo, commosso.
Tutti vogliono parlare, intervenire, dire la propria. I tempi si dilatano.
La marcia, prevista per le tredici, viene rimandata di mezzora. Poi di
un'ora. Alla fine parte. Alla testa del corteo c'è uno striscione degli
organizzatori con la scritta «Forza Onu». A seguire il gonfalone del comune
di Monterotondo e il lenzuolo con la scritta «Faremo l'amore con la non
violenza, per partorire la pace dal grembo della società». E' l'invito che
Angelo aveva lanciato in una delle sue ultime e-mail. Ci sono poi i
numerosi gonfaloni degli enti locali che hanno aderito all'iniziativa: 181
tra comuni, province e regioni. Le bandiere delle oltre 400 associazioni
partecipanti. Singoli che hanno voluto esserci, per dimostrare di essere
contro la guerra. «In Libano ma anche in Palestina, in Africa come nel sud
est asiatico», dice Silvia, venticinque anni. E' venuta in macchina
dall'Emilia Romagna con due amiche. Duecentocinquanta chilometri per dire
«No alla guerra». Alcuni vengono dalla Campania, molti dal Lazio. Ci sono
anche dei lombardi. Si sentono accenti veneti. Mario è di Pordenone, ma
vive in Toscana. Anche lui ha voluto esserci. Ha partecipato anche Mohamed
Nour Dachan, il presidente dell'Ucooi, l'unione delle comunità islamiche
d'Italia, che non ha voluto commentare la vicenda dell'inserzione a
pagamento su alcuni giornali della destra in cui la sua associazione
definiva equivalenti le stragi israeliane e quelle naziste. «Siamo qui per
dare la nostra solidarietà ai genitori di Angelo Frammartino» dice.
Poi è la volta delle scarpe, quelle simboleggianti le vittime della guerra