LItalia sta per mandare 3.500 soldati allo sbaraglio su quello che G. W. Bush ha definito "il terzo fronte" della guerra al terrorismo. Ma qual è il terzo fronte? Oggi è la frontiera libano-israeliana. Già lungamente ed inutilmente presidiata dallUNIFIL. Ma dalla fine di agosto, quando lIran risponderà negativamente alla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dellONU sul nucleare, il Terzo Fronte, quello vero, sarà lIran e, forse, anche la Siria. Ora, se valutiamo con spirito equanime landamento delle operazioni sugli altri due fronti, Afghanistan e Iraq, cè di che rabbrividire.
di Sbancor
Cito da fonte non sospetta: Alessandro Politi, in un paper intitolato Un multipolarismo difficile, presentato allinterno del Rapporto Nomisma "Nomos & Khaos" 2005: "La guerra in Afghanistan (Operazione Enduring Freedom) rischia di essere persa. Secondo le mappe pubblicate dallONU tra il giugno 2002 ed il febbraio 2004 la coalizione non solo non sta vincendo ma ha subito una costante erosione nel controllo delle province disputate. Se un tempo solo tratti della frontiera pakistana erano insicuri, ora lo è lintera fascia frontaliera.
Nel giro di un anno (aprile 2005) secondo mappe non pubblicate, il saliente ribelle nelle province di Uruzgan, Zabul, e Ghazni è aumentato del 20% circa sul totale. Concretamente dopo le azioni di disarmo e smobilitazione del luglio 2005, vi sono ancora dai 100.000 ai 180.000 irregolari in armi, dei quali 2-3000 combattenti talebani e irriducibili ed un centinaio di qaedisti".
Domanda: E gli altri chi sono? Le antiche milizie dei "signori della guerra e delloppio"? In parte sicuramente. Ma molti sono semplicemente afghani che di fronte alla distruzione dei villaggi, ai danni collaterali, alluccisione di vecchi donne e bambini, ma soprattutto di fronte allinsipienza dellintervento della coalizione e del governo fantoccio di Kabul, hanno semplicemente deciso che era più prudente rimanere in armi. Le corrispondenze di Gino Strada e di Vauro dal "fronte afghano" degli ospedali di guerra valgono molto più delle scempiaggini di analisti, esperti militari e giornalisti!
Certo, secondo Politi "se questa guerra viene persa, lintera ONU e la coalizione militare impegnata nelloperazione subiranno lo stesso scacco politico patito dai sovietici nel 1988, con prevedibili effetti nelle minoranze arabe o mussulmane jihadiste o simpatizzanti". Peccato che questo effetto labbiamo già ottenuto proprio con la "guerra afghana": unoperazione di polizia che doveva individuare e catturare i vertici di Al Qaeda ed arrestare (dead or alive) Osama bin Laden. Sono passati cinque, dico cinque anni. Osama e Zahwahiri sono ancora a piede libero - e qualcuno mi deve spiegare perché - e Enduring Freedom e Isaf - che militarmente sono la stessa cosa hanno fallito il loro obiettivo principale e sono divenute una "guerra coloniale". E la storia insegna che le "guerre coloniali" in Afghanistan le hanno perse tutti, tranne Alessandro il Grande. Ma non mi sembra che la "coalizione" sia paragonabile alla falange macedone!
Ma continuiamo a leggere Politi: "La guerra in Iraq è invece persa. Sul piano strategico reale gli Usa avevano puntato a trasformare lIraq in un perno di manovra strategico nel Medio Oriente, con la possibilità di rimpiazzare le grandi basi perdute in Arabia Saudita di fronte alla pressione di Al Qaeda e della casa regnante. A livello simbolico le forze USA oggi non riescono nemmeno a controllare lautostrada che collega laeroporto di Baghdad alla Zona Internazionale, tanto è vero che gli spostamenti diplomatici avvengono solo in elicottero"
In più cè la "Guerra Civile irachena" fra Sciiti e Sunniti, che potrebbe portare addirittura a uno "dissociazione" (è il termine che si usò in Jugoslavia) dello Stato Iracheno o a qualche forma molto radicale di federalismo. Vedi qui. Solo nel mese di luglio ci sono stati 3.438 morti di morte violenta, secondo dati del Ministero della Sanità e della "Morgue".
Centodieci morti al giorno. Più delle vittime complessive del conflitto israelo-palestinese. Nei primi sette mesi dellanno i morti sono stati, sempre secondo fonti del governo iracheno, 17.776. E cè la provincia di Bassora pronta a esplodere. E cè lIran che deve solo aspettare che lIraq o gran parte di esso finisca per gravitare nella sua area di influenza. Già è stato siglato un accordo sul petrolio fra Iran e Iraq.
"Secondo laccordo, Baghdad spedirà a Teheran 100 mila barili di greggio al giorno. In cambio lIran invierà allIraq 2 milioni di litri di prodotti raffinati al giorno. Il trasporto del carburante avverrà in un primo momento su strada, ma le due parti non escludono la costruzione di un oleodotto che colleghi i due paesi. Si tratta di un risultato importante per lIraq, che e costretto spesso a importare derivati del petrolio a causa dei continui attacchi dei miliziani allindustria petrolifera. Un tempo estremamente tesi, i rapporti tra Baghdad e Teheran sono migliorati da quando un governo a maggioranza Sciita ha preso il potere a Baghdad." (Repubblica online, 16 agosto 2006)
Le conseguenze mediatiche della guerra in Libano
La capacità di resistenza, per non dire la "vittoria", degli Hezbollah contro lesercito più forte del Medioriente, lIdf, ha segnato probabilmente una svolta cruciale, che non riguarda solo il Libano. Essa ha due conseguenze immediate, uno sul piano della comunicazione - che nella guerra al terrorismo è fondamentale - e unaltra sul piano della geopolitica dellarea.
Nonostante gli sforzi per attribuire agli "Hezb" letichetta di "terroristi", compito a cui si è dedicata gran parte della stampa occidentale, e italiana in particolare, è sinceramente difficile convincere lopinione pubblica che un gruppo così radicato nel Sud del Libano, rappresentato da due ministri nel governo libanese, alleato con forze come quelle del Generale Aoun, cristiano-maronita, un gruppo che gestisce ospedali, centri di assistenza e che ora manda i suoi militanti nelle aree colpite dai bombardamenti per fornire supporto alla popolazione, sia solo un gruppo di efferati "terroristi".
Il che non esclude ovviamente che gli "Hezb" abbiano condotto operazioni con tecniche terroristiche.
Secondo lisraeliano Intelligence and Terrorism Information Center at the Center for Special Studies (CSS) Hezbollah sarebbe responsabile fra laltro,
- dellautobomba allambasciata americana di Beirut del 18 aprile 1983, (63 vittime)
- dellautobomba contro le caserme dei marines e del corpo dospedizione francese in Libano il 23 ottobre dello stesso anno (241 marines e 58 paracadutisti francesi uccisi).
- dellautobomba del 20 settembre 1984 contro un sito annesso allambasciata USA a Beirut Est (30 morti)
- dellattentato alla AMIA, un centro ebraico a Buenos Aires nel luglio del 1994 (86 morti)
- dellattentato allambasciata israeliana sempre a Buenos Aires nel1992.
Per dovere di cronaca: i primi tre attentati furono rivendicati dalla Jihad Islamica, un gruppo inizialmente proveniente dai "Fratelli Mussulmani" (sunniti) ma che dal 1979 manifestò simpatie per la rivoluzione khomeinista e che da tempo è considerato legato allIran. Sempre per dovere di cronaca. Secondo il CSS lex presidente argentino Carlos Menem, incassò, per ordine di Kamenei, una tangente da 10 milioni di dollari su una Banca Svizzera per depistare le indagine sullattentato allAMIA.
Ma di fronte al bombardamento indiscriminato di Beirut Sud molti, anche in Occidente, iniziano a pensare che fra lanciare bombe dagli aerei su pulmini carichi di profughi, su ambulanze o ricoveri di donne e bambini, e portarle con le proprie mani o peggio con il proprio corpo, non esista una differenza morale o etica rilevante. Al massimo sono diverse le tecnologie adottate. E qui che incomincia a crollare la costruzione mediatica, ma anche giuridica della "Guerra al Terrorismo".
Partiamo dalla normativa: a livello di Assemblea delle Nazioni Unite nel 1994 si definisce il terrorismo come degli: "Atti criminali intesi o calcolati per provocare uno stato di terrore nel pubblico in generale, o verso un gruppo di persone o particolari persone". Nel 1999 sempre lAssemblea ONU, Risoluzione 54/164 al punto 3: "Ribadisce la propria assoluta condanna degli atti, metodi e pratiche terroristiche, in tutte le forme e manifestazioni, in quanto azioni che mirano alla distruzione dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della democrazia, minacciano lintegrità territoriale degli Stati, destabilizzano i governi legittimamente costituiti, colpiscono il pluralismo della società civile e pregiudicano lo sviluppo economico e sociale degli Stati"
Basterebbero queste due citazioni a dimostrare che il bombardamento del Libano è stata una azione terroristica. Non solo nel metodo ma anche nel merito. Seymour M. Hersh, il giornalista americano che scoprì la strage di My Lay in Vietnam, ha scritto su The New Yorker del 21 agosto che lattacco al Libano era stato preparato da molto tempo prima e con il pieno consenso del Governo Americano. Non solo: "Secondo un ex membro dellintelligence israeliana, il piano iniziale, così come schematizzato da Israele, prevedeva un massiccio bombardamento in risposta alla prossima provocazione degli Hezbollah.
Israele riteneva che prendendo di mira obiettivi come le infrastrutture del Libano, incluse le autostrade, i depositi di carburante, e perfino le strade normali e il principale aeroporto di Beirut, ciò avrebbe persuaso la maggior parte della popolazione Cristiana e Sannita del Libano a rivoltarsi contro gli Hezbollah". Un magistrato direbbe che la fattispecie del reato di "terrorismo", così come descritto dalla risoluzione dellAssemblea dellONU si applicherebbe perfettamente al comportamento israeliano.Nonostante gli "Hezbollah" possano essere considerati una organizzazione "terroristica", ciò che è apparso evidente nei giorni scorsi è che la differenza fra "terrorismo" e "terrorismo di Stato" è estremamente labile. Anzi inesistente.
Pare che agli americani i quali, dopo la strage di Qana, chiedevano a Olmert di limitare i danni civili, egli abbia risposto irritato "E voi cosa avete fatto in Kossovo! Lì non subivate neanche il lancio di una katjuscia, e avete massacrato diecimila civili!".
Non cè dubbio, la nostra politica è fatta da gentiluomini di vecchio stampo. Gli attentati di Londra avrebbe potuto rilanciare la "visione classica" del terrorismo islamico: aerei carichi di civili che esplodono in aria. Ma ogni giorno che passa anche la stampa inglese non nasconde un certo scetticismo. Qualcuno lha ironicamente chiamata la "strage dei biberon" per il gran numero di biberon finiti nei cestini durante la ricerca di esplosivo liquido. Ma è proprio lesplosivo liquido a costituire un problema. The Royal Society of Chemistry, una autorevole associazione scientifica inglese ha pubblicato sul suo bollettino Chemistry World un articolo di B.Perks e K Sanderson che solleva molti dubbi sulla possibilità di utilizzare esplosivo liquido sugli aerei. In breve, gli esplosivi liquidi più conosciuti sono la nitroglicerina e il triacetone triperoxide (TATP), che non è propriamente un esplosivo liquido, ma è un solido proveniente dalla combinazione di componenti
liquide.
Lidea di portare nitroglicerina su un aereo è semplicemente folle: esploderebbe durante i controlli a terra, ad esempio quando passa sotto i raggi X, se non addirittura durante il trasporto in aeroporto. Il TATP sembra sia stato usato negli attentati alle metropolitane di Londra lo scorso anno, a detta dei laboratori che hanno svolto le indagini su un campione rimasto inesploso. Ma introdurre le componenti liquide del TATP in aereo e produrlo nella "toilette" dellaeroplano è altrettanto improbabile. Sono necessarie "basse temperature e tutta loperazione va effettuata in una soluzione acquosa".
Gli obiettivi geopolitici
Sempre secondo Seymour Hersh "lobiettivo a lungo termine dellAmministrazione USA era di aiutare la nascita di una coalizione Arabo-Sunnita - comprese nazioni come lArabia Saudita, la Giordania, e LEgitto - coalizione che si sarebbe dovuta unire nella "pressione" degli Stati Uniti e dellEuropa contro il predominio dei mullah Sciiti in Iran. Questo, però, se Israele avesse vinto sul campo in modo incontrovertibile. Esattamente il contrario di quanto è successo.
Pare che la stessa Amministrazione Bush si sia divisa a un certo punto al suo interno, fra la posizione di Cheney, favorevole ad appoggiare a oltranza Israele, e quella di Condoleeza Rice. La Rice, dopo aver consentito, attraverso la sciagurata "Conferenza di Roma", il proseguimento delloffensiva israeliana, si è accorta dellerrore commesso e ha addirittura chiesto al Presidente di poter aprire un tavolo di trattativa con la Siria, cercando un ruolo di mediazione. Donald Rumsfeld buttava fumo dal naso: pur odiando gli Hezbollah si era reso conto che, se le milizie scite irachene avessero attaccato le "sue" truppe in Iraq, la situazione sarebbe volta al peggio. Rumsfeld era in alla Casa Bianca nel 1975, quando le truppe americane si ritirarono dal Vietnam. Non voleva ripetere lesperienza.
Si potrebbe ironizzare a lungo sulle strategie americane in Medio Oriente, sui goffi tentativi di governare i "signori della guerra" in Afghanistan, sui tentativi di alleanza prima con gli Sciiti e poi con i Sunniti in Iraq, sulle "relazioni pericolose" con la famiglia saudita, e così via, fino al fiasco libanese. E però questa immagine degli americani adolescenti malcresciuti, affetti da sindrome di Peter Pan, ignoranti di storia e di cultura è uno stereotipo un po troppo logorato e sostanzialmente falso. Ad esempio la trasformazione della resistenza alloccupazione USA nella Guerra Civile Irachena è stata unoperazione studiata in gran parte a tavolino.
Lutilizzo dellala qaedista di Zharkawi (chiunque esso sia stato) è stata probabilmente una grande operazione di intelligence. Non a caso lamministrazione americana diede sin dallinizio gran risalto alla presunta lettera di Zharkawi alla dirigenza di Al Qaeda, in cui si sosteneva la guerra civile contro gli sciti, chiamati eretici "sabei", lettera diligentemente riportata dal sito "New American Century" http://www.newamericancentury.org/middleeast-20040212.htm
E anche durante la guerra in Libano, guarda caso Ynet, agenzia israeliana, riporta le dichiarazioni dello Sceicco Safar al Hawali, antico maestro di Osama Bin Laden, il quale definisce "il Partito di Dio" (Hezbollah) come "il Partito di Satana" e dichiara di aver emesso una fatwa per vietare ai credenti di sostenere in qualsiasi modo gli Hezb.
Storicamente gli americani sono esperti di guerre etnico-religiose, fin dalle Guerre Indiane del tempo della frontiera, alla conquista delle Filippine, al Vietnam, con lutilizzo della minoranza Hmong, alla Jugoslavia, alla guerra in Afghanistan, con il conflitto fra tagiki, ukbeki, azeri e pashtun.
Lipotesi di una "dissociazione" dellIraq in una federazione di Stati certo comporterebbe vantaggi e svantaggi: Uno dei problemi più complessi è la concentrazione delle risorse petrolifere dei campi di Kirkuk nellarea a prevalenza curda. Le relazioni con la Turchia diverrebbero certamente più tese. Lipotesi di uno stato unitario "pacificato" a prevalenza Sciita è però ancor più pericolosa per gli USA.
In Iraq i partiti di estrazione Sciita di fatto monopolizzano il governo e sono per adesso indispensabili agli americani per il contenimento della guerriglia, soprattutto di estrazione "baathista"-sunnita. In Libano gli Hezbollah sono direttamente collegati allIran e controllano lintero Sud del Libano, esprimono membri del governo libanese e raccolgono il 28% dei consensi elettorali; in Palestina, area ad assoluta maggioranza Sunnita, lIran controlla almeno un gruppo della resistenza, la Jihad Islamica, e mira a diventare il paese di riferimento per le ali più oltranziste del movimento palestinese, dopo lazzeramento della dirigenza di Hamas effettuato dagli israeliani. Non bisogna dimenticare infine che il gruppo dirigente siriano che fa capo a Bashir Assad è anchesso parte della Shia, anche se di una setta particolare come gli alawithi. I musulmani Sciiti nel mondo sono ormai 130 milioni, la maggioranza in Iran, il 60% in Iraq, il 30% in Libano. Ma sono
presenti ormai anche in Pakistan, in Palestina e persino nella culla dellortodossia Sunnita ottomana: la Turchia.
Il "Terzo Fronte" appare indubbiamente il più duro. Ed è proprio lì che vogliamo inviare le nostre truppe. Viste le scarse risorse di cui dispone il nostro malconcio paese e la miseria prossima ventura che quel menagramo di Tommaso Padoa Schioppa non cessa di ricordarci ogni volta che apre bocca, invece di militari costosi quanto inutili, non sarebbe meglio mandare che so io Emergency, la Protezione Civile, un po di società di ingegneria e costruzione per avviare la ricostruzione di un paese di cui avremmo dovuto impedire la distruzione? Lasciamo ai Parà francesi il compito di interposizione. Ché sul Libano hanno qualche responsabilità storica maggiore delle nostre.
Se lEuropa fosse qualcosa di più di una "espressione geografica," vincolata a una serie di parametri e regolamenti idioti, e ad alleanze quantomeno discutibili, il suo compito sarebbe stato quello di intervenire immediatamente, assicurando, ad esempio, linviolabilità dello spazio aereo libanese. Evitando così la distruzione del Libano, la migrazione biblica degli sfollati, oltre a un migliaio di morti. Una posizione forte, certo, ma almeno chiara.
Ma Israele, come la Turchia dal 2004 è praticamente un paese NATO. Difficile pensare quindi un esito diverso da quello della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU, che di fatto ha concesso a Israele un mese di tempo per protrarre i bombardamenti indiscriminati sul Libano. La risoluzione dellONU 1701 è un capolavoro di ambiguità come ha ben evidenziato Paolo Chiocchetti su Carmilla.
Praticamente l80% dei compiti spetta allEsercito libanese, male armato, debole e, come sanno benissimo gli israeliani, formato ormai al 75% da Sciiti. Solo gli ufficiali sono cristiani o sunniti, ma molti parteggiano per il Generale Aoun, attualmente alleato a Hezbollah. Insomma una barzelletta.
Dallaltra parte lintera risoluzione è filo-israeliana: non parla dei blocchi navali e dei consueti sorvoli del Libano da parte dellaviazione di Tshal, che durano da almeno ventanni. Di buono nella 1701 cè solo il "cessate il fuoco".
A una prima valutazione, dunque, gli obiettivi strategici degli USA e degli Israeliani sono falliti sul piano militare, ma forse hanno recuperato qualcosa su quello diplomatico. La domanda è: dove si riaccenderà il "terzo fronte"? Di nuovo in Libano, o a Bassora oppure direttamente in Iran con una campagna di bombardamenti?
Una notizia passata inosservata, a volte, è la chiave di interpretazione dei nuovi assetti geopolitici.
In Aprile lAgenzia Russa Itar-Tass riportava le dichiarazioni di Manuchehr Mohammadi, ministro degli esteri iraniano che dichiarava la richiesta dellIran di far parte del Gruppo di Shanghai, (Shanghai Cooperation Organization - SCO).
Cosè lo SCO? Nato nel 1997 fra Russia, Cina, Kazakistan, Kyrgyzstan e Tajikistan - i cosiddetti cinque di Shanghai - a cui si aggiunse lUzbekistan, lo SCO si proponeva inizialmente di risolvere i problemi relativi alla frontiera russo-cinese. Ben presto però i suoi scopi si sono allargati: nel 2001 fra le sue finalità fu inserita la "lotta al terrorismo in Centro-Asia, dove vi erano state infiltrazioni qaediste (wahabbite), particolarmente rischiose vista lesistenza sia negli Stati dellex URSS che in Cina di ampie comunità mussulmane, addirittura maggioritarie nelle ex repubbliche sovietiche del centro Asia. Comunque allinizio i suoi obiettivi sembravano modesti.
Oggi non è più così. Alliniziale funzione di anti-terrorismo, si sono aggiunte funzioni di cooperazione militare, economica e culturale. Esso rappresenta unarea di oltre 30 milioni di kmq e una popolazione di un miliardo 455 milion idi persone. Non solo nel 2005 il Gruppo di Shanghai è stato aperto ad altri Stati come "osservatori": Mongolia, Pakistan, India e Iran.
Di fatto alloffensiva americana in "Eurasia" - il vecchio sogno di Brezinsky - che doveva puntare sulle repubbliche sovietiche del Centro-Asia si è contrapposta unalleanza Russo-Cinese che in pochi anni si è consolidata enormemente. Per comprendere la sua influenza basta pensare che dispone di due membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza dellONU.
Il Gruppo di Shanghai vuole entrare nella gestione della "crisi nucleare iraniana" e non ha nessuna intenzione di lasciare allAmerica e a Israele il monopolio della politica estera mondiale. Si è creata una nuova "faglia" che rischia di riallontanare Oriente ed Occidente. LIran è esattamente sul confine della faglia.
E daltra parte latteggiamento Russo-Cinese nelle recenti crisi mediorientali, e soprattutto verso lIran sembra non solo coordinato, ma volto a trovare soluzioni antitetiche a quelle americane. I Russi hanno proposto a più riprese di svolgere loro per conto dellIran i processi di arricchimento delluranio. Inoltre chiunque abbia un minimo di conoscenza in campo militare sa che quella dellatomica iraniana è una minaccia estremamente relativa.
Vediamo perché. Il numero delle atomiche israeliane non è evidentemente pubblico. Ma ci sono delle stime: lIntelligence americano le valutava a fine anni 90 fra 75 e 130. Le foto realizzate da Mordechai Vanunu, che pagò con lunghi anni di carcere la divulgazione dellinformazione, facevano ritenere che vi fosse un potenziale fra le 100 e le 200 bombe.
Le stime più alte arrivano a 400. Comunque stiamo parlando di una potenza nucleare in grado di polverizzare tutte le capitali del mondo arabo. I vettori di trasporto, oltre agli aerei, sono circa 300 missili Jericho 1 e Jericho 2 , il primo con una gittata di 500 km e il secondo da 1.500 a 4.000 km, a cui si aggiungono 12 missili Popeye Turbo con gittata da 200 km per sottomarini di classe Dolphin di fabbricazione tedesca.
A questo potenziale lIran può opporre pochi esemplari, forse prototipi, di Shabab 3 con una gittata di 1.900 km. In grado comunque di colpire Israele. E vero che lIran sta potenziando il suo programma missilistico, ma è anche vero che latomica iraniana non potrà essere pronta, secondo le stime AIEA, che fra cinque-dieci anni. E opinione comune infine che, dopo lo smembramento dellURSS, il "Trattato di non proliferazione nucleare" abbia perso di senso. Israele, India e Pakistan non vi aderiscono, la Corea del Nord si è ritirata dai sottoscrittori e la possibilità che anche piccoli stati si dotino di armi nucleari, è estremamente alta, purtroppo. Da un punto di vista militare lintera questione è priva di senso. La forza del mondo arabo-mussulmano nei confronti di Israele è costituita dallenorme differenza demografica fra ebrei e mussulmani. E anche questa è relativa, considerando le divisioni etnico-religiose allinterno del mondo arabo-mussulmano. Sul piano
tecnologico la forza è tutta dalla parte di Israele. Latomica iraniana, se mai verrà costruita, avrà una logica di "deterrenza", come fra USA e URSS ai tempi della guerra fredda. Gli ambienti militari israeliani temono proprio questo: essere costretti a sedersi al tavolo delle trattative. E seguono gli americani nella guerra preventiva.
Ma allora come mai la crisi iraniana scoppia proprio adesso?
Alcuni motivi "geopolitici" appaiono già da quanto detto. Riassumendo: la politica americana per un "Nuovo Medioriente" non può permettere che fra i suoi due avamposti, lAfghanistan e lIraq, esista uno "stato canaglia", un "asse del male" il quale potenzialmente ha già in mano il controllo del governo iracheno e può giocare in Afghanistan la carta della minoranza azera e dell"esecrabile banda di Golbodin Hekmatyar (Hezb-i-Islami) che ridusse in macerie Kabul con lindiscriminato bombardamento e il lancio dei missili quotidiani.". Così la chiamavano le donne del RAWA, lAssociazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane. Oggi Hekmatyar è gentile ospite dellIran.
Il Governo Americano non può soprattutto permettere che il quarto produttore mondiale di petrolio e il secondo di gas entri nel "Gruppo di Shanghai", dove cè la Russia, secondo produttore di greggio, e primo per il gas. La geopolitica delle fonti energetiche verrebbe rivoluzionata definitivamente.
Ma, a differenza di diversi critici della politica americana, da Chossudosky a Chomsky, solo per citare alcuni punti di riferimento, io non credo che ci troviamo nella situazione di un "imperialismo classico", cioè del tentativo di impossessarsi di risorse strategiche attraverso la guerra. Insomma: una guerra per il petrolio. Un piccolo esempio: Gli USA prima della guerra del 2003, in pieno embargo, importavano dallIraq in media più di 800 milioni di barili giorno, con il sistema "Oil for Food". Oggi dopo loccupazione ne importano 522. Nonostante gli attacchi della "resistenza" ad alcune centrali di pompaggio - peraltro limitati - il calo dimostra che il petrolio iracheno non era un obiettivo immediato degli USA.
Diverso il discorso sulle riserve, ma quelle verranno amministrate probabilmente da un governo Sciita filo-iraniano, o da un improbabile Stato Kurdo.
No, il petrolio è una variabile del "Grande Gioco" Mediorientale, influenza sicuramente i conti della Exxon e di Halliburton, grandi elettori di Bush, ma non basta da solo a spiegare la destabilizzazione dellintero Medioriente. Fra laltro una "Guerra per il petrolio", condotta secondo i canoni classici dellimperialismo, avrebbe dovuto avere come obiettivo un ribasso del prezzo del greggio: lesatto inverso di quanto si sta verificando.
Storicamente gli americani, fin dalla prima crisi petrolifera, sono stati avvantaggiati dagli alti prezzi del petrolio. Un petrolio più caro vuol dire creare una massa di liquidità in dollari (petrodollari) che non incide sullinflazione americana, ma che viene "riciclata" in parte sui mercati finanziari, principalmente americani, e in parte in progetti di sviluppo nei paesi produttori, (realizzati in gran parte da società americane) ovviamente purché siano "amici", come lArabia Saudita e gli Emirati. Il flusso di capitali così generato viene utilizzato per pareggiare il "deficit della bilancia commerciale americana" attraverso investimenti diretti e di portafoglio. Il risultato è che i cittadini USA possono continuare a vivere al di sopra delle proprie possibilità: una generazione di Oscar Wilde, anche se meno autoironici.
La guerra come forma di regolazione delleconomia in un periodo di crisi
Leconomia americana, come è noto agli esperti - anche se non ai giornalisti economici - è in crisi dal marzo 2000, quando tutti i principali indicatori, a partire dalla produzione industriale, iniziarono a puntare verso il basso, fino allo sgonfiamento prima della "bolla della new economy" e poi dellintera borsa americana. E forse non del tutto inutile ricordare alcune di quelle cifre: nel secondo trimestre del 2000 leconomia americana passò da un tasso di crescita del 5%, allo 0% della fine del 2000, andando in recessione per due trimestri nel 2001. Nonostante gli sforzi della FED, che iniziò una serie vertiginosa di ribassi dei tassi di interesse, fino a portarli a valori negativi, sotto cioè il tasso dinflazione, la Borsa registrò il peggior crollo dai tempi di Wall Street: lindice Standard & Poors 500 perse fra il 1999 e il 2002 589,5 punti, pari al 67% del suo valore.
La tragedia del 9/11 avvenne proprio nel mezzo della crisi. Guardando lindice Dow Jones si nota una pesante caduta di circa 400 punti i giorni 5 e 6 settembre dopo la rottura di quota 10.000, avvenuta a fine agosto. Il 7 ed il 9 la Borsa è chiusa per il week-end. Il 10 rimane piatta, come in attesa. L11 gli aerei si schiantano sulle Torri e Wall Street chiude per circa una settimana. Seguono altri crolli del listino fino a portare il Down Jones poco sopra quota 8.000. Poi lentamente la ripresa.
Nel frattempo era scoppiata la "Guerra al Terrorismo" che, dal punto di vista economico, volle dire un aumento impressionante del deficit pubblico. La recessione fu scongiurata, la crisi finanziaria anche e lAmerica ricominciò a crescere a tassi del 3,5% annuo. Molto più dellEuropa. Tutto ciò però ha avuto un costo in termini di deficit commerciali e pubblici. Nel periodo di Clinton lAmerica aveva accumulato un grande deficit commerciale, ma aveva un forte "surplus" nel Bilancio Federale, pari al 2% del PIL. Nellera del primo mandato Bush si è arrivati a un deficit fiscale superiore al 4% del PIL. Ciò vuol dire che in meno di quattro anni una cifra pari al 6% del PIL americano è stato trasferito dallo Stato alleconomia. Si tratta di una cifra enorme. A cui si assomma un deficit commerciale superiore al 5% del P.I.L.
"Gli Stati Uniti - dice Joseph Stiglitz (premio Nobel per lEconomia, ex consigliere di Clinton e professore alla Columbia University) - stanno ampiamente contraendo prestiti, al ritmo di due miliardi di dollari al giorno, per pagare lampio deficit commerciale. Il più ricco paese del mondo vive al di sopra dei propri mezzi. Comunque, anche la più potente nazione del mondo non può sfuggire alla semplice aritmetica del debito: i soldi servono per pagare gli interessi e, eventualmente, ripagare i prestiti. Facendo così gli USA saranno più poveri."
Negli ultimi giorni diversi economisti americani, non particolarmente anticonformisti, come Nouriel Rubini sul suo blog, e Paul Krugman, sul New York Times, hanno messo in guardia su una possibile prossima recessione delleconomia americana fra la fine del 2006 e il 2007. Questa volta sarà la "bolla immobiliare" a innescare la crisi che potrebbe estendersi al dollaro e ai mercati finanziari. Oltre a mettere letteralmente sul "marciapiede" migliaia di famiglie americane che hanno usato la crescita del prezzo delle case per "rifinanziare" i propri mutui a tassi ora sempre più alti. A novembre ci sono le elezioni americane per il Congresso. La "Junta" Militare che governa attualmente gli Stati Uniti deve vincerle, se non vuol rimanere ingessata fino al 2008, data delle prossime presidenziali. Aspettiamoci il peggio.
Il Dio e il bambino
Come dire: il rischio che "Il Terzo Fronte" si riapra prima dellautunno è concreto. E se il quadro geopolitico che ho provato a delineare ha una pur scarsa possibilità di essere vero, Il Terzo Fronte" non sarà uno scherzo: per la prima volta rischieranno di confrontarsi lormai consolidata egemonia americana e la nascente potenza euroasiatica. Nessuna delle due, né il "fondamentalismo liberista" yankee, né il "nazionalismo totalitario Russo-Cinese", sembra poter incarnare un futuro possibile per lumanità. Se un "altro mondo è possibile", andrebbe cercato in fretta. Prima che, come scriveva Ezra Pound "Ognuno segua il suo Dio". Ed Ezra Pound, benché geniale, non era propriamente uno scrittore "di sinistra". Per quanto mi riguarda il mio, di Dio è stato bombardato a Balbek. Un cacciabombardiere israeliano ha centrato, insieme a un bambino di dieci anni, anche una parte del Tempio di Bacco-Dioniso. Ma il mio, di Dio, cè abituato. Da sempre muore ogni anno, e ogni
anno rinasce, così come spero accada al bambino. Che forse altri non era che una epifania del Dio.
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