Un copione già visto
Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
Di fronte all'ennesima strage dell'immigrazione clandestina
assistiamo a un copione già visto tante volte. Il sindaco dell'isola
che chiede di bloccare i "clandestini" prima che arrivino a
Lampedusa e il ministro dell'interno che se la prende con i
criminali che organizzano questi viaggi, e sembrerebbe anche con la
magistratura, colpevole di non riuscire a debellare il traffico di
migranti.
Sono posizioni che si ripetono da tempo, dai tempi di Berlusconi e
Pisanu, che servono forse a sistemare la coscienza dei governanti,
ma che lasciano sgomenti per la assenza di realismo di fronte ad un
fenomeno ormai strutturale determinato in parte anche da leggi
proibizioniste che vietano ogni reale possibilità di ingresso
legale, soprattutto ai potenziali richiedenti asilo, come coloro che
provengono dall'Eritrea, dalla Somalia e da numerosi paesi
dell'Africa sub-sahariana, o che impongono ai lavoratori stagionali
l'ingresso irregolare per il ridottissimo numero dei flussi di
ingresso legale nelle regioni meridionali.
Ignorare che le barche stracariche di migranti non si possono
bloccare a mare, o rimandare nei porti libici, neppure con i
sofisticati sistemi finanziati dall'agenzia europea Frontex, oppure
addossare tutta la colpa delle stragi agli scafisti, significa
soltanto fare esercizio di ipocrisia e tentare di mantenere il
consenso elettorale a scapito della vita di tanti uomini, donne
bambini.
La magistratura siciliana sta indagando da tempo sulle reti
criminali che inviano i migranti a morire nel canale di Sicilia, ma
troppo spesso le indagini si bloccano davanti all'evidenza che ormai
gli scafisti rimangono a casa e che le imbarcazioni sempre più
pioccole per sfuggire ai pattugliamenti congiunti sono affidate agli
stessi migranti. Le organizzazioni criminali che operano nei paesi
di transito potrebbero essere sgominate in un solo momento se solo i
governi di quei paesi, con i quali l'Italia stipula puntualmente
accordi di riammissione, decidessero di non lucrare più sulla pelle
dei migranti, riconoscendo a loro volta i diritti fondamentali dei
migranti sanciti dalle convenmzioni internazionali. Ma questo
costerebbe troppo e nessun paese europeo porterebbe avanti accoprdi
di cooperazione che non prevedano, almeno sulla carta, il blocco dei
clandestini. Non importa a quale prezzo in termini di vite umane.
Gli accordi di politica internazionale e le normative interne, che i
paesi europei inaspriscono ogni giorno, come si è verificato da
ultimo in Spagna ed in Francia, hanno prodotto centinaia, forse
migliaia di morti nel canale di Sicilia, e altri morti continueranno
a produrre, fino a quando non ci sarà una decisa inversione di
tendenza, con una disciplina comunitaria e nazionale sugli ingressi
per lavoro, con nuove disposizioni sul diritto di asilo e sulla
protezione umanitaria, con norme di protezione per le vittime più
deboli, le donne ed i minori.
Fino a quando tutto questo non avverrà, toccherà ai responsabili
della politica il peso maggiore delle stragi che si continueranno a
ripetere nel mediterraneo, ed è ben triste che le popolazioni locali
e i loro rappresentanti non comprendano che il respingimento in mare
o nel deserto del Nord Africa equivale a una condanna a morte.
Per contrastare questa politica di morte occorre invece proprio
l'impegno delle comunità locali e la maggiore solidarietà possibile,
occorre non cadere nell'inganno diffuso da chi non riuscendo a
governare un fenomeno, trova soltanto risposte sul piano repressivo,
senza percepire che queste tragedie sono proprio frutto delle
politiche di sbarramento attuate in questi anni in tutti i paesi
europei.