Intervento in Libano: perche' non proporre l'interposizione non armata?
Non si puo' negare che la risoluzione dell'ONU, che nonostante ambiguita' e parzialita' ha comportato il cessate il fuoco e l'inizio del ritiro dell'esercito israeliano, sia vissuta come una vittoria politica da parte dei libanesi non alleati alla politica del governo israeliano, e che una forza di interposizione armata sotto guida ONU (differentemente da quanto successo negli ultimi anni dove le Nazioni Unite erano state totalmente sostituite dagli USA e dalla NATO) sia valutata un fastidio per le politiche militari di Israele.
E' probabile che con rotture della tregua e arresto di ministri del legittimo governo palestinese, il governo israeliano tentera' in tutti i modi di svuotare e convertire gli obiettivi dei caschi blu da forza di interposizione a strumento per il raggiungimento dei propri obiettivi politico militari.
Mi pare, pero', che il movimento per la pace italiano sia un po' schiacciato tra una semplicistica adesione all'intervento militare ONU da una parte, e il rifiuto di essa, in nome o della lotta armata all'imperialismo americano che nega all'ONU ogni ruolo, o di un pacifismo estremo, capace di enunciare principi condivisibili, al di fuori di ogni incidenza politica immediata.
Per alcuni, la resistenza armata dei popoli e' il primo ostacolo a USA e Israele. Purtroppo, tale impostazione non discrimina il ruolo di stati - gerarchie - fondamentalismi (Iran e Siria ad esempio) che prefigurano oppressioni e colonialismi altrettanto negativi da quelli che si vogliono giustamente combattere e si fa coinvolgere nella spirale violenza terrorismo, l'unico terreno su cui il dominio USA puo' perpetuarsi.
E' evidente che, se le manifestazioni di sabato 30 settembre, al termine della settimana di mobilitazione contro la guerra decisa al FSE di Atene, si risolvessero in un contributo al successo del 'Partito di Dio' (Hezbollah), degli Aiatollah iraniani o degli integralisti di Hamas, la partecipazione a tali iniziative sarebbe largamente minoritaria e isolata politicamente.
Chi invece critica l'opzione militare di interposizione dal versante di un pacifismo integrale propone quanto il movimento per la pace ha con lucidita' denunciato in questi decenni: l'interposizione vera si costruisce solo con l'autorevolezza, che non puo' essere garantita da nessuna arma, ma solo nell'impegno quotidiano nei campi profughi, negli ospedali, nelle citta' devastate dalla guerra.
Tutto vero, ed e' quello che, ad esempio, stava facendo Angelo Frammartino a Gerusalemme, insieme a centinaia di pacifisti nonviolenti in tutto il mondo (semplicemente ragazzi e ragazze, uomini e donne in Medio Oriente come nei paesi dell'ex Jugoslavia, in Africa come in America Latina).
La pace deve essere costruita con pazienza, prevenendo i conflitti, curando le terribili conseguenze anche culturali e psichiche delle guerre, prima e dopo i conflitti.
Questo, pero', vale soprattutto prima e dopo l'esplodere dei conflitti armati.
Rimane da capire (almeno tentare) come muoversi DURANTE il conflitto, o quando sta per esplodere, o, come nel caso libanese, quando una potenza militare, come Israele, intende estendere il suo dominio, di fronte a soggetti militari che hanno tra i loro scopi, realisticamente non immediati, quelli di distruggere l'avversario.
Il Movimento per la Pace che si riunisce sabato 26 ad Assisi (grazie all'invito della Tavola della Pace) potrebbe cercare di rispondere a questa domanda:
Come si costruisce una forza di interposizione nonviolenta, in grado di dissuadere le parti in conflitto dallo scatenare la violenza?
Non si parte da zero, anche recentemente nella ex Jugoslavia e in Iraq il movimento dei Berretti Bianchi ha iniziato a muoversi e a proporsi, troppo isolati e lasciati soli anche dal Movimento.
Ma come possiamo pretendere che Istituzioni Internazionali (ONU ed Europa) e Governi seppur timidamente di sinistra come quello italiano), che oggi appaiono l'unico flebile ma concreto opportunita' contro l'unilateralismo statunitense e l'espansionismo israeliano, sostituiscano a i militari forme di intervento non armato o addirittura nonviolento, se il movimento per la Pace non le propone con forza e determinazione?
E perche' non lanciare una campagna per la riduzione delle spese militari e il conseguente finanziamento di corpi di intervento nonviolento in aree di conflitto e l'organizzazione di una Difesa Popolare Nonviolenta?
Avrebbe inizio cosi' quel processo di Transarmo da una politica di difesa armata a una non militare che i teorici della Nonviolenza hanno da sempre, realisticamente, prefigurato come passaggio obbligato.
Con qualche portaerei, aereo e fregata in meno il governo italiano potrebbe diventare veramente una Segno, seppur parziale, per una Nuova Politica Mondiale.
Di questo spero che parleremo sabato ad Assisi.
Antonio Bruno, forum verso la sinistra europea genova
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