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sulla missione libanese
by Piero Bernocchi Tuesday, Aug. 22, 2006
at 9:20 AM mail:
da Liberazione 22 agosto 2006
Appare
sconcertante, oltre che inaccettabile, persino piu’ che nel voto per la
missione in Afghanistan, la facilita’ con la quale l’intero
centrosinistra e gran parte dell’area pacifista (o soi-disant tale)
hanno approvato l’immissione di militari italiani nella guerra in
Libano. Per l’Afghanistan qualche voto contrario in Parlamento ed un
certo imbarazzo nelle aree pacifiste pur sottoposte alla “sindrome del
governo amico” almeno si manifestarono: stavolta l’accettazione di una
seconda missione bellica, travestita “more solito” da missione di pace,
si accompagna quasi alla soddisfazione di chi si sente portatore di
azioni virtuose.
Gia’ e’ sorprendente che coloro che tanto ci hanno
ossessionato con la mistica della non-violenza integrale, del “mai
neanche uno schiaffo”, e con lo spregio delle resistente armate – che
con tutta evidenza sono il primario ostacolo alle mire imperialistiche
USA – oggi per due volte consecutive trovino naturale che truppe
armate, e non civili o diplomatici, pretendano di imporre la pace. Ma c’
e’ poi l’aggravante dell’invio di militari in un panorama bellico
persino piu’ esplosivo di quello afgano. Nessun membro del governo
Prodi puo’ ignorare la portata del conflitto libanese, collocato
esattamente nel cuore della guerra permanente USA: e il fatto che
Israele non ha deciso di massacrare la popolazione libanese e di
prendere di petto Hezbollah per recuperare due soldati, ma che ha fatto
da braccio armato, persino stolido, alla volonta’ statunitense di
destabilizzare totalmente la zona, di arrivare ad uno scontro diretto
con la Siria e di mettere con le spalle al muro l’Iran, nella
prospettiva del “grande Medio Oriente”, dal Mediterraneo fino alle
porte di Cina e India, dominato dagli USA, con in mano le chiavi
energetiche del pianeta, mentre si delinea uno scontro mortale per l’
egemonia globale con le nuove (e vecchie) potenze emergenti.
Ne’ e’
pensabile che il governo e i pacifisti colpiti dalla sindrome non
abbiano percepito la grande novita’ di questo conflitto: e cioe’ che,
contrariamente a quanto sempre sucesso, l’esercito israeliano si e’
dimostrato impotente di fronte alla guerriglia di una decina di
migliaia di combattenti ben organizzati, armati decentemente e disposti
a morire, seppur non in modo suicida, che hanno dimostrato di poter
colpire Israele in modo ben piu’ dirompente che con gli attentati
suicidi. L’eroica resistenza Hezbollah fa crollare il mito dell’
invulnerabilita’ israeliana, cosi’ come le resistenze irachene e afgane
stanno facendo con il mito dell’onnipotenza USA: e fosse anche solo per
questo, andrebbero ringraziate, al di la’ delle loro impostazioni
politiche, da tutto il movimento no-war.
E’ questa sconfitta e l’
evidente isolamento della barbara aggressione israeliana che hanno
costretto Olmert all’accettazione del “cessate il fuoco”, assai di piu’
della pur importante mobilitazione mondiale. Ma di fronte a tale
sconfitta, due sono le ipotesi per il futuro: la prima, altamente
improbabile, prevederebbe un salto di coscienza nella leadership
israeliana sui rischi che il proprio paese corre nel nuovo scenario
continuando a fare il “panzer” USA, e la presa d’atto di inevitabili
trattative per dare una vera patria ai palestinesi e per restituire
territori al Libano e alla Siria; la seconda, assai piu’ probabile,
vede Israele seguire fino in fondo il progetto USA di destabilizzazione
della zona.
In entrambi i casi la presenza di truppe Onu e italiane
appare o inutile o altamente dannosa e provocatoria. Nel primo caso
cio’ che il governo dovrebbe fare e’ convincere Israele a trattare sul
serio una pace stabile con i vicini; mentre nel secondo, quello nell’
ordine delle cose, le truppe finirebbero, nel tentativo impossibile di
fare il “lavoro sporco” che non e’ riuscito ad Israele, per essere
utilizzate per dimostrare, pagandone il prezzo, “l’inaffidabilita’” di
Hezbollah, consentendo poi ad USA-Israele di intervenire con una guerra
a tutto campo e “alle fonti”.
Perche’ dunque tanta “leggerezza” da
parte del centrosinistra? La risposta, a mio avviso, e’ la stessa che
per la missione afgana. Il governo si fa carico delle esigenze sub-
imperialistiche del capitalismo italiano che, privo di ricchezze
strategiche e di forza economica autonoma, ritiene di poter partecipare
al banchetto liberista mondiale solo attraverso un ruolo politico
“mediatorio” che richiede pero’ un forte impegno militare. Nello
stolido vanto dalemiano (“siamo al sesto posto nell’impegno militare
nel mondo) c’e’ la voglia di giocare il ruolo mondiale italiano
attraverso l’affermazione (gia’ tentata con la Yugoslavia) della
“guerra concertata”, di fronte alla acclarata impotenza della guerra
unilaterale USA, mettendo in campo i legami con le direzioni dei Paesi
arabi, e non solo.
In quanto all’area governativa “non-violenta”, e al
PRC in primo luogo, ci sembra che predomini la nefasta teoria della
“riduzione del danno”, che qui si accontenta dei proclami sul non-
disarmo di Hezbollah come per l’Afghanistan si affidava alla peregrina
tesi della non-uscita da Kabul: in generale la linea appare quella del
restare al governo a tutti i costi. In quanto, infine, a tanto
pacifismo senza se e senza ma, abbiamo gia’ detto della síndrome: ma in
piu’ (vedi Tavola della Pace) c’e’ il rilancio della micidiale teoria
del “riprendiamoci l’ONU”, e persino un certo entusiasmo nell’illusione
di un uso “buono” di uno strumento che oscilla senza scampo tra
impotenza e piena subordinazione al dominio USA.
Per tutti coloro che,
come noi, sono con la resistenza dei popoli libanese, palestinese,
iracheno e afgano,e che ne vedono con soddisfazione crescere la forza e
che vogliono contribuire al loro successo con la mobilitazione italiana
ed europea no-war, si profila l’appuntamento deciso al FSE di Atene
della settimana di iniziative tra il 23 e il 30 settembre (che in molti
Paesi si tradurra’ in manifestazioni nazionali sabato 30), che in
questi giorni viene rilanciato nelle liste europee anche con la ovvia
proposta di estendere la piattaforma ai nuovi eventi libanesi.