[NuovoLab] intervista a Gilbert Achcar

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Auteur: Sergio Casanova
Date:  
À: forumgenova
Sujet: [NuovoLab] intervista a Gilbert Achcar


Medio Oriente in fiamme
 
Gilbert Achcar* è stato intervistato da Andrew Kennedy il 1° agosto, per il numero di settembre di Socialist Outlook (n°10, Londra).
* Docente universitario di origine libanese, insegna scienze politiche all'università di Parigi-VIII, fa parte del centro Marc Bloch di Berlino, collabora con Le Monde Diplomatique. Ultima pubblicazione: "Scontro tra barbarie-terrorismi e disordine mondiale", edizioni Alegre, 2006.
 
Sembra chiaro che Israele stesse solo aspettando un pretesto per lanciarsi all'attacco, e che Hezbollah l'abbia fornito. E' questo il suo modo di vedere?
 
In realtà, lo scopo di Israele è più chiaro di quel che non fosse quello di Hezbollah, quando ha fatto partire l'operazione del 12 luglio. Sembra che questa fosse stata preparata per diversi mesi, come ha sostenuto Hassan Nasrallah; la consideravano principalmente come un modo per ottenere che, con uno scambio, fossero liberati dei prigionieri libanesi nelle carceri israeliane. In origine, non era intesa come una reazione agli eventi a Gaza, benché sia stata percepita dall'opinione pubblica araba come un gesto di solidarietà con la popolazione palestinese. In ogni modo, Hezbollah non si aspettava certo una reazione israeliana di queste dimensioni.
 
Lo scopo di Israele è molto chiaro, ed è stato dichiarato dall'inizio. L'operazione del 12 luglio è stata presa a pretesto per lanciare un'offensiva: pure questa era stata preparata, con assoluta certezza, da lungo tempo. Lo scopo, naturalmente, era di ottenere la distruzione di Hezbollah: ciò che l'esercito israeliano non era stato in grado di raggiungere durante l'occupazione del Libano, voleva ottenere ora, obbligando i libanesi a farlo, e spingendo il Paese sull'orlo di una guerra civile. 
 
All'inizio, il governo israeliano ha rifiutato l'idea di un contingente internazionale, insistendo che solo l'esercito libanese avrebbe dovuto andare a sud: così facendo, indicava di volere che fossero i libanesi a disarmare Hezbollah. La strategia israeliana era da una parte di colpire questi direttamente, dall'altra di prendere in ostaggio l'intera popolazione libanese, per ottenere che il governo del Libano si adeguasse ai suoi voleri. Alla luce dell'incapacità militare israeliana di colpire in modo decisivo Hezbollah, e dell'incapacità politica, fino ad oggi, di dividere la popolazione libanese, si sono accontentati di un obiettivo modificato: quello di un dispiegamento di forze NATO europee nel Libano del sud – con o senza una foglia di fico dell'ONU.
 
Chi sono qui i personaggi principali? È una guerra condotta per procura dagli USA? In che misura questo combacia con gli interessi e le mire israeliane?
 
Il coincidere degli obiettivi del governo israeliano e di quello USA non è mai stato così trasparente, nella storia, come a partire dal 2001, quando negli Stati Uniti è andato al potere George W. Bush, seguito, in Israele, da Sharon. Quanto questa collusione sia palese non ha precedenti. Mai prima d'ora gli USA hanno così apertamente sostenuto, e in modo così flagrante, un'aggressione israeliana. L'esercito di Israele sta facendo il lavoro militare, mentre gli USA quello diplomatico, bloccando le risoluzione di cessate il fuoco e acquisendo il tempo necessario per raggiungere gli obiettivi militari – tutto questo mentre fornisce gli armamenti di cui gli israeliani necessitano. Le condizioni USA per un cessate il fuoco sono identiche a quelle definite da Israele: il concertare è comune. Secondo quel che afferma
Washington, questo fa parte della 'guerra al terrorismo' dell'amministrazione Bush: l'aggredire israeliano è in accordo con l'impulso bellico imperialista, guidato dagli USA, sin dall'11 settembre, in questa parte del mondo: qui nel sottosuolo vi sono due terzi delle risorse petrolifere mondiali.
 
Dall'altro lato della barricata, quel che l'alleanza USA-Israele combatte tramite Hezbollah è l'Iran, o l'alleanza da questo guidata nell'area - ivi comprese le forze sciite in Iraq, il regime siriano, e l'attrattiva di questa alleanza per i fondamentalisti sunniti come Hamas e la Fratellanza Musulmana in Egitto, che nella crisi recente ha sostenuto Hezbollah. Così nell'attuale guerra vi sono due conflitti interrelati – quello diretto, che consiste nell'aggressione israeliana contro Hezbollah e il Libano, e quello indiretto, la campagna statunitense contro l'Iran. Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha appena adottato una risoluzione sostenuta dagli USA a proposito del programma nucleare iraniano – ciò che è abbastanza sfacciato, dato che il medesimo Consiglio non ha ancora richiesto che cessino le massicce stragi israeliane in Libano.
 
Che ruolo ha la Francia in tutto questo?
 
La posizione francese si è evoluta. Nel 2004, Jacques Chirac ha offerto agli USA un fronte comune, all'ONU, contro le forze siriane in Libano. I loro interessi di base convergevano, contrariamente a quanto avveniva per l'Iraq. In questo caso, i francesi sono principalmente interessati al denaro saudita. Solo pochi giorni fa, hanno firmato un accordo per una grande vendita di armi al regno saudita. L'amicizia di Chirac con Hariri, padre e figlio, è in ottimo accordo con questo quadro – come tutti sanno, il clan Hariri è strettamente legato ai sauditi. Così, quando Hariri, e dietro di lui i sauditi, hanno cominciato a disputare con la Siria, la Francia ha offerto a Washington il proprio aiuto nello sponsorizzare la risoluzione 1559 dell'ONU, che richiedeva il ritiro delle forze siriane dal Libano e così pure il
disarmo dei gruppi non governativi nel Paese, cioè Hezbollah e i campi profughi palestinesi. Dal 2004, la Francia ha quindi lavorato in stretta alleanza con gli USA, sulla questione del Libano.
 
Ma l'ultima offensiva ha incrinato l'alleanza. All'inizio, i sauditi hanno denunciato Hezbollah. Ma, mentre l'aggressione israeliana diventava sempre più evidentemente brutale ed omicida, ciò aveva un impatto sull'opinione pubblica araba, tanto che tutti i clienti arabi di Washington – sauditi, egiziani, giordani - hanno dovuto modificare le loro posizioni, riferendo agli USA: “I tuoi amici israeliani rovineranno tutto. Stiamo per raggiungere il punto di ebollizione, che è abbastanza pericoloso: occorre fermarsi”. La crisi diventa sempre più rischiosa per tutta la stabilità dei regimi filostatunitensi – in Egitto, ad esempio, la Fratellanza Musulmana sta sfruttando la situazione.
 
Da allora, Chirac ha preso una posizione mediana – accontentando i sauditi, più che Bush, nel richiedere un cessate il fuoco immediato e una presenza di truppe internazionali in base ad un accordo politico.
 
Nella sua intervista a Liberazione, il 15 luglio, ha detto che l'azione militare israeliana avrebbe potuto radicalizzare la popolazione libanese più contro Israele che contro Hezbollah. È quanto sta succedendo?
 
Avviene davvero, e in misura superiore alle mie aspettative. La stessa brutalità dell’aggressione israeliana è in realtà controproducente per gli scopi di Israele,  unificando il Libano nel resistere all’offensiva. L’attacco è stato così criminale, così indiscriminato, che la gran maggioranza dei libanesi ha tratto le medesime conclusioni: primo, che l’offensiva israeliana era stata preparata molto tempo fa, e che quindi tutto il discutere sull’operazione del 12 luglio è abbastanza irrilevante, dato che era stata chiaramente usata come pretesto; secondo, che Israele non mira solo a Hezbollah, e nemmeno solo agli sciiti, ma a tutta la popolazione. Tutto il Paese è tenuto in ostaggio; l’intera economia è distrutta. È vero
che l’offensiva ha ucciso soprattutto sciiti libanesi – probabilmente già più di 1.000, se si includono quelli ancora sotto le macerie – ma in termine di vite colpite, rese in miseria e rovinate, è stato toccato un gran numero di libanesi; si percepisce chiaramente Israele come il nemico dell’intero popolo del Libano. A un livello regionale più complessivo, l’odio per Israele e gli USA raggiunge un nuovo picco. Tutto questo fomenterà senza alcun dubbio la crescita di organizzazioni terroristiche, del tipo di Al Qaeda. Temo che quanto abbiamo visto fino ad ora – 11 settembre, 7 luglio e Madrid – non sia che un assaggio degli orrori a venire, che colpiranno le popolazioni civili in Occidente.
 
La sinistra libanese è stata in grado di avere un ruolo nel dar forma politica all’ondata nazionale di ira e di sfida? O è marginalizzata?
 
Il partito comunista libanese (PCL) è un’ombra di quel che era prima, negli anni ’70 e ’80: uno dei più importanti partiti comunisti nel mondo arabo, in rapporto alle dimensioni del Paese, ed uno dei principali protagonisti della guerra civile, fra il 1975 e il 1990. Il PCL è stato uno dei primi a lanciare attacchi contro l’occupazione israeliana, nel 1982, dopo lo stabilizzarsi dell’invasione, in nome della ‘resistenza nazionale’. Solo in seguito sono partite la ‘resistenza islamica’ e Hezbollah, che trattava il PCL come un rivale, dato che aveva principalmente base sociale fra gli sciiti e nel Libano del sud, vale a dire nell’elettorato che aveva come punto di riferimento; Hezbollah si è costituito in parte scontrandosi con il PCL, per la base elettorale, ed è riuscito a prevalere. In questo è stato molto
aiutato dal sostegno iraniano e dallo sfruttare la tendenza ideologica dominante nella regione, che favoriva il fondamentalismo islamico sin dagli anni ’70, mentre il PCL, che subiva gravi contraccolpi dalla crisi in corso nell’Unione Sovietica, mancava di coraggio politico. Negli anni ’90, il PCL stesso ha attraversato una crisi profonda, scindendosi e frammentandosi. Quel che resta non è completamente invisibile, ma non è più nella posizione di avere un ruolo importante – il che è un problema, dato che è il principale raggruppamento di sinistra nel Paese. Il Libano, pertanto, non è un’eccezione alla regola generale nella zona: il fallimento storico delle forze nazionaliste e della sinistra ha creato un vuoto, che è stato riempito dai fondamentalisti islamici.
 
Nella sinistra britannica, ad alcuni piacerebbe probabilmente coltivare l’idea che Hezbollah sia capace di evolvere a sinistra. È una fantasia?
 
Sostanzialmente sì. Persino un gruppo plebeo, come l’organizzazione di Muqtada al Sadr in Iraq, è più una minaccia per la borghesia che non Hezbollah. Quest’ultimo è radicale, certo, nell’opporsi a Israele, come è comune per le forze fondamentaliste islamiche legate all’Iran, ma nella politica libanese è pienamente integrato nel sistema. Ha due ministri nel governo di clienti degli USA guidati da Hariri, ed è alleato di personaggi alquanto reazionari. È vero che organizza servizi sociali, ma solo come fanno le chiese o gli enti di beneficenza, che non rappresentano assolutamente alcuna minaccia per l’ordine sociale borghese. Non può divenirlo nemmeno in potenza, date la sua ideologia e la sua struttura, nonché gli stretti legami con
l’Iran e la Siria. L’Iran, il modello di Hezbollah come società e stato, è interamente borghese, in quanto a struttura sociale. A qualunque declamazione populista possa aver dato sfogo l’anno scorso Ahmadinejad (il presidente iraniano), nella battaglia elettorale per la presidenza contro il capitalista Rafsanjani, queste non si traducono in alcun tipo di misura sociale concreta. Sotto questo aspetto, il Venezuela di Chavez è uno stato molto più progressista: l’Iran non è un equivalente musulmano del Venezuela. Esistevano di questi equivalenti nel Medio Oriente degli anni ’60, ma è dalla loro sconfitta che è stato in grado di crescere il fondamentalismo islamico.
 
Ben Gurion aveva l’idea che le frontiere di Israele dovessero essere naturali: il fiume Litani a nord, e il Giordano a est. È questo il legame fra gli attacchi al Libano ed ai palestinesi?
 
Gli schemi del Grande Israele sono obsoleti, e lo sono da moltissimo tempo; i missili di Hezbollah sono un’ulteriore prova che i ‘ confini naturali ’ non significano molto. Persino dopo aver invaso il Libano nel 1982, Israele non aveva potuto mantenere a lungo sotto diretto controllo il territorio recentemente occupato. Sono aree montuose adatte alla lotta di guerriglia; la popolazione libanese è stata formata militarmente con diversi anni di guerra civile. È da questo che deriva la grande cautela con cui le truppe israeliane sono penetrate nel sud del Libano, dopo il 12 luglio. Nelle prime due settimane, l’esercito israeliano ha conquistato solo tre villaggi, ed a un costo relativamente alto; ha incontrato un’agguerrita resistenza. Ha
deciso di ricorrere al radere al suolo la piccola cittadina di Bint Jubail dopo che si era dimostrato incapace di controllarla. Gli israeliani continuano a dire che non vogliono occupare di nuovo il Libano del sud: ne hanno dei buoni motivi.
 
In Palestina, dove, dopo la prima intifada del 1987-1988, il costo per mantenere un controllo diretto sui territori abitati da palestinesi è diventato troppo alto, Israele ha finito con il rinunciarvi. Progetta però di mantenere il grosso degli insediamenti coloniali in Cisgiordania, così come il controllo diretto sui confini fra le aree abitate dai palestinesi ed i Paesi vicini, che siano quello di Gaza con l’Egitto o la lingua di terra lungo il Giordano che isola la Cisgiordania dalla Giordania.
 
Israele ora è più vulnerabile?
 
Questa domanda fa riferimento ad un punto di vista a lungo espresso dagli ebrei contrari al sionismo. Anziché diventare il rifugio per gli ebrei del mondo, come promesso dai sionisti, Israele si trasforma sempre più in una trappola mortale per gli abitanti ebrei. Il vecchio monito degli ebrei antisionisti diventa sempre più rilevante, per l’evolversi di tecniche ed armamenti volti a distruggere. Israele espone la sua popolazione a enormi rischi. Il suo modo spietato e barbaro di trattare i palestinesi e i libanesi nutre l’odio che gli è rivolto da tutta la regione. Come conseguenza, ne deriverà di certo un gran numero di persone con la volontà di infliggere agli israeliani il danno più doloroso possibile, a paragone del quale i missili Katiusha di Hezbollah possano sembrare abbastanza miti. Nello scontro in
atto, occorrono in media 50 missili Hezbollah per uccidere un israeliano. Ma cosa succederebbe se si potessero costruire dispositivi per apportare ad Israele una distruzione massiccia? Questo è quanto Israele incita a compiere. Zawahiri, il luogotenente di Bin Laden, ha fatto una dichiarazione che chiede di colpire Israele, come se volesse vincere Hezbollah ai punti. Israele infligge ora un terribile incubo ai libanesi, da tempo ne infligge uno permanente ai palestinesi, ma ne sta altresì preparando uno spaventoso per la propria stessa gente.
 
Quali sono le prospettive per costruire una nuova sinistra socialista araba? Cosa  possono fare socialisti ed anti-imperialisti?
 
Nel mondo arabo, oggi, gli spazi per costruire una sinistra socialista sono abbastanza marginali; dal punto di vista ideologico, la sinistra è isolata. Tuttavia occorre uno sforzo permanente per ricostruirla, e questo non si può fare accodandosi al fondamentalismo islamico. Gli attivisti di sinistra non dovrebbero permettere ai fondamentalisti di occupare da soli il terreno di lotta contro l'imperialismo e lo stato sionista, come parte di loro tende a fare, ma è chiaro che nel breve periodo, sotto questo aspetto, la sinistra non raggiungerà le forze religiose. In molti altri campi, tuttavia, non vi è alcuna competizione con i fondamentalisti, che, talvolta, sono pure nemici: nella lotta per i diritti e gli interessi dei lavoratori ed i contadini, per i diritti dei disoccupati e delle donne, nel combattere
contro l'oppressione sessuale, per la laicità, la libertà di coscienza e la libertà dal ruolo della religione nella vita sociale, etc.. Intorno a tali questioni, la sinistra nel mondo arabo dovrebbe fare campagna attiva – ma, per non scoraggiarsi, senza attendere di  accrescere il proprio consenso nel prossimo futuro.
 
La costruzione di una nuova sinistra socialista nella regione araba può essere aiutata  dalla sinistra internazionale. Benché l'America Latina sia alquanto distante, la sua svolta a sinistra è fonte di ispirazione. Ma l'influsso principale, per lo sviluppo di questa forza in Medio Oriente, verrà dall'Europa, dove vi è una sinistra socialista significativa. Il movimento contro la guerra nei Paesi occidentali è stato molto importante nell'insegnare al pubblico arabo che questo non è uno scontro di civiltà o di religioni, ma un impulso bellico imperialista al servizio degli interessi del capitale, contro cui, in quanto tale, si oppongono i movimenti in Occidente. Il progredire del movimento  in Europa può avere solo effetti benefici in Medio Oriente. Per questo, è anche cruciale
che la sinistra socialista europea sia in prima linea nel combattere contro l'islamofobia: questo mina la propaganda fondamentalista islamica, alimentata dall'islamofobia medesima.