[NuovoLab] Libano: tattiche di guerriglia versus tecnologia …

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Autor: Edoardo Magnone
Data:  
A: scienzaepace
CC: forumgenova
Assumpte: [NuovoLab] Libano: tattiche di guerriglia versus tecnologia moderna
Allego articolo interessante uscito su "Pagine di Difesa" che brevemente
analizza i limiti della tattica militare applicata da Israele in Libano.

Edoardo Magnone


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Libano, è scontro fra tattiche di guerriglia e tecnologia moderna

di Fernando Termentini, 28 luglio 2006
da "Pagine di Difesa"
in http://www.paginedidifesa.it/2006/termentini_060728.html

Un’altra guerra si combatte sulle sponde del Mediterraneo con il coinvolgimento
di due entità militari completamente differenti. Da una parte l’esercito di
Israele, uno fra i meglio addestrati ed equipaggiati del mondo, che dispone di
mezzi a elevata tecnologia ed è supportato da un potente dispositivo di
intelligence. Sull’altra sponda, gli Hezbollah, addestrati con le antiche
tecniche della guerriglia, equipaggiati e armati, ma non sicuramente
all’altezza degli israeliani. Eppure l’esercito israeliano sta trovando
difficoltà in particolare nelle operazioni di terra. Gli Hezbollah, nonostante
la potenza dell’avversario, dimostrano di sapersi difendere, di poter impegnare
e preoccupare il nemico, colpendolo di rimessa sul proprio territorio.
Una guerra, quella in atto, il cui andamento iniziale meraviglia gli analisti
militari ed evidenzia, per taluni aspetti, che forse l’intelligence israeliana,
il Mossad dalle antiche tradizioni, ha commesso qualche errore. Sorge, quindi,
spontaneo l’interrogativo se sia solo un errore di valutazione
dell’intelligence che potrebbe aver sottovalutato gli Hezbollah o piuttosto
siano stati sottovalutati altri parametri che concorrono a configurare l’esito
di una battaglia e che in talune realtà belliche potrebbero avere invece una
valenza dominante.

I bombardamenti israeliani hanno ottenuto fino a questo momento effetti poco
significativi sul piano tattico. Avrebbero dovuto, infatti, annullare
rapidamente il potenziale bellico degli Hezbollah che, invece, a distanza ormai
di tanti giorni dall’inizio delle ostilità continuano a colpire il territorio di
Israele, da Haifa fino ad arrivare in Galilea. Missili lanciati dai lanciarazzi
tipo Katiuscia, che raggiungono impunemente obiettivi molto oltre la gittata
presunta e che partono da posizioni che dovrebbero essere state distrutte dalle
bombe ‘intelligenti’. Razzi contro i quali non è stata predisposta almeno per
quanto emerge dai fatti, nessuna difesa antimissile efficace.

E’, quindi, molto probabile che le postazioni di lancio e i posti comando degli
Hezbollah non sono stati individuati né in fase preventiva né ora, durante la
condotta delle operazioni. La maggior parte di esse, infatti, è attiva
considerando che su Israele arrivano mediamente ogni giorno più di 50 missili e
che il fuoco è palesemente controllato e coordinato. Condizioni che possono
sussistere unicamente se è stato predisposto adeguatamente il terreno, con un
potenziamento delle caratteristiche naturali attraverso la realizzazione di
opere difensive artificiali, in grado di assicurare protezione agli uomini e ai
sistemi d’arma contro l’osservazione e i bombardamenti dell’avversario.

Un’ipotesi che viene confermata anche da quanto sta avvenendo a terra. Le truppe
israeliane sono penetrate nel territorio libanese per accerchiare ed eliminare
le forze degli Hezbollah, sicuramente con equipaggiamenti e armamento di gran
lunga superiore a quello dei ‘combattenti di dio’. Nonostante tutto avanzano
con difficoltà e incappano in sacche di resistenza organizzate e protette da
articolate predisposizioni di difesa passiva. Truppe che presidiano il
territorio pronte a reagire applicando tecniche di guerriglia che si basano
sullo sfruttamento del terreno e si richiamano alle regole del combattimento
negli abitati.

L’errore di analisi del Mossad è, forse, proprio questo. L’intelligence ha
omesso di approfondire la valutazione degli elementi più antichi e tradizionali
della tattica militare: lo sfruttamento del terreno esaltato da predisposizioni
artificiali, realizzate per incrementarne il ‘potere impeditivi intrinseco’. Un
errore quasi sicuramente indotto dalla sovrastima dell’efficacia dei moderni
sistemi d’arma e di osservazione del campo di battaglia utilizzati, a
svantaggio dello sviluppo di una tradizionale intelligence sul terreno, come la
storia militare di tutti i tempi suggerirebbe di fare e come confermano gli
episodi bellici che si sono susseguito sullo scenario mondiale, a partire dalla
fine del secondo conflitto mondiale a oggi.

A partire dal Vietnam, infatti, i diversi scenari operativi hanno più o meno
dimostrato che nessuna bomba intelligente, nessun carro armato super
tecnologico, nessun satellite spia, anche se in grado di fotografare la targa
di un’autovettura, può avere la stessa valenza tattica di una organizzata
predisposizione del terreno accompagnata da una cultura della guerriglia intesa
come ‘risposta mirata e ragionata’ per difendere il territorio. Tecniche da
sempre applicate, sviluppate e approfondite, in particolare, dall’esercito
dell’ex Repubblica di Yugoslavia e di molti altri Paesi dell’ex Patto di
Varsavia che, peraltro, nei loro centri di formazione militare hanno ospitato
per molto tempo frequentatori afgani, iracheni, iraniani e anche siriani.

Eserciti che hanno sempre considerato la fortificazione campale e permanente
come elemento fondamentale della dottrina difensiva del territorio e che non
hanno mai abbandonato tattiche militari che prevedevano la formazione di truppe
in grado di muoversi rapidamente sul territorio, cambiando frequentemente
posizione e dislocazione, sfruttandone le caratteristiche morfologiche del
terreno per esaltare la manovra e nello stesso tempo sottrarsi all’osservazione
e all’offesa avversaria. Scelte tattiche la cui validità è stata nel tempo
confermata dai fatti e che più di una volta hanno messo in crisi eserciti
potenti e con a disposizione strumenti militari all’avanguardia.

In Vietnam la potenza bellica americana è stata in parte vanificata
dall’esercito di un avversario che si sottraeva ai bombardamenti nascondendosi
sotto terra per poi uscire indenne all’aperto e colpire il nemico costretto a
muoversi in un territorio sconosciuto e ostile, peraltro convinto di non
trovare nessuna resistenza perché stroncata dal fuoco aereo e di artiglieria.
Durante la decennale guerra fra l’Iraq e l’Iran, dopo i furiosi bombardamenti
delle artiglierie pesanti, le fanterie di terra di ambedue gli schieramenti si
trovavano a dover fronteggiare inaspettate resistenze da parte delle milizie
scampate al fuoco perché protette dalle trincee scavate nel deserto.

In occasione della prima guerra del Golfo le bombe intelligenti della forza
della coalizione internazionale contro Saddam Hussein hanno colpito e distrutto
bunker e importanti insediamenti industriali, ma poco hanno ottenuto contro le
postazioni dei missili Scud, nascoste in caverna, e contro i carri armati delle
truppe della Guardia Repubblicana, trovati quasi indenni alla fine della guerra
perché protetti da difese passive di fortificazione permanente e campale. Nel
1994 i bombardamenti della Nato hanno martellato gli schieramenti
dell’artiglieria serba che sparava su Sarajevo assediata, senza riuscire a far
tacere le batterie protette dalle postazioni scavate sui fianchi del Monte
Trebevic, che ancora oggi, dopo più di dieci anni, mantengono inalterata la
loro potenza strutturale.

I missili Tomawak lanciati dalle navi Usa dopo gli attentati di Oklaoma contro
le posizioni protette di bin Laden dislocate in Afghanistan non hanno ottenuto
risultati. I rifugi realizzati nelle montagne di Tora Bora e nel deserto di
Kandahar hanno resistito alla potenza di fuoco e alla osservazione elettronica,
lasciando inalterata l’operatività dell’avversario. Le stesse opere che a
distanza di anni hanno protetto la nomenklatura talebana e di al-Qaeda,
sottraendola ai bombardamenti del 2001, successivi all’attentato alle Torri
Gemelle e nascondendola alla sofisticatissima intercettazione di intelligence.

Contro queste predisposizioni sono stati modesti i risultati ottenuti dalle
bombe intelligenti e da quelle di profondità. La roccia, rinforzata dal cemento
armato, ha dimostrato ancora una volta la sua validità protettiva, creando
impenetrabili schermi alla penetrazione delle bombe e alla sorveglianza
elettronica. La recente guerra in Iraq ha visto protagonista la tecnologia più
moderna contro gli insediamenti difensivi dell’esercito iracheno. Ciò
nonostante, le truppe di terra americane e inglesi si sono trovate a dover
fronteggiare situazioni inaspettate e spesso molto difficili e pericolose, con
uno strascico tuttora ancora poco gestibile.

Oggi in Libano l’aviazione israeliana giornalmente colpisce con bombe
intelligenti, missili e sistemi d’arma modernissimi obiettivi noti o altri
individuati dalla sorveglianza satellitare. Uno sforzo che però non sembra
garantire risultati immediati e rilevanti in quanto le rampe dei Katiuscia
continuano a vomitare missili senza essere colpite dal fuoco avversario,
sicuramente perchè protette da predisposizioni del terreno mai individuate
dall’intelligence a distanza. Alla stessa stregua le truppe degli Hezbollah
escono improvvisamente dal buio dei bunker sotterranei e attaccano con successo
le potenti formazioni corazzate israeliane.

In Libano si sta ripetendo uno scenario che ha già coinvolto le truppe di terra
di altri eserciti che hanno operato e operano in Afghanistan e in Iraq contro
una matrice militare dottrinale e organizzativa che di fatto ha un’origine
comune e che troppo spesso e ripetutamente è stata sottovalutata, perché
ritenuta concettualmente obsoleta. Troppo affrettatamente, infatti, le maggiori
potenze militari del mondo hanno omesso di analizzare e valutare le tecniche
difensive classiche, incentrate sull’esaltazione del potere impeditivo del
terreno e la tattica della guerriglia applicata per la difesa del territorio,
cercando di individuare sistemi e procedure in grado di fronteggiarle ed
annullarle.

In questo contesto, forse, un ritorno al passato e una rimodulazione della
ricerca militare che dedichi - almeno in parte - risorse tecnologiche anche per
fronteggiare questo tipo di realtà, potrebbe rappresentare una svolta vincente
che ridurebbe all’occorrenza anche e soprattutto le perdite umane, in
particolare fra la popolazione civile costretta a subire il martellamento di un
fuoco erogato per la distruzione di obiettivi non meglio identificati o
identificabili, spesso nascosti anche in quelle che potrebbero sembrare
infrastrutture civili da preservare.