[Lecce-sf] I dissidenti raddoppiano in senato

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Il manifesto di oggi

                 Il dissenso verso il ragionamento di fondo della politica estera del governo Prodi si ampia aprendo a nuovi "dissensi" a una nuova costruzione di una fase diversa. La politica in parlamento non è del tutto morta. Langue... ma non è del tutto morta...                                    Sedici senatori hanno firmato una dichiarazione comune contro la missione italiana a Kabul 


Voto, dissento e raddoppio

Tra i senatori anche Oskar Peterlini del Svp: «Vedrete: cresceremo. Da oggi per questo paese si apre una nuova forma di politica estera»

Il Manifesto del 27/07

Antonio Massari
Roma
Votano, non lasciano, e soprattutto raddoppiano. In origine erano otto i senatori «dissidenti». Da oggi sono sedici. Oltre al diessino Massimo Villone, aggiuntosi nei primi giorni della protesta, ieri si sono accodati anche José Luis Del Rojo (Sinistra europea), Anna Donati, Marco Pecoraro Scanio e Natale Ripamonti (Verdi), Oskar Peterlini (Gruppo autonomie Svp), Franca Rame (Idv) e Tino Tibaldi (Pdci). I sedici senatori, che oggi voteranno tutti «sì» per il rifinanziamento della missione in Afghanistan, hanno infatti firmato una dichiarazione comune: «Votiamo oggi la fiducia al Governo, ma ribadiamo il nostro «no» alla missione militare italiana in Afghanistan, che abbiamo sempre contrastato, fin dal novembre 2001, fedeli ai principi irrinunciabili contenuti nell'articolo 11 della Costituzione». E ancora: «La riproposizione, tra qualche mese, dello stesso scenario in Afghanistan, con l'ennesima proroga della missione, sarebbe un regresso negativo e per noi inaccettabile».
Come dire: a quel punto non saremo più disposti a votare la fiducia. E c'è chi, come Oskar Peterlini, non ci sta a farsi definire «dissenziente» e specifica che parla da «uomo moderato e di centro». Ci sono due punti sui quali non ha dubbi. Il primo: «I sottoscrittori di questo documento, ne sono certo, cresceranno rapidamente». Il secondo: «Questo documento ci permette di aprire una nuova forma per la politica estera di questo paese. E infatti i sedici senatori anticipano che il terreno sul quale lotteranno è ampio.
«Per continuare la nostra lotta, dentro e fuori le istituzioni - scrivono - ci batteremo non solo per il ritiro dall'Afghanistan e da ogni teatro di guerra, ma anche contro gli armamenti nucleari e le basi militari nel nostro Paese e per la riduzione delle spese militari».
Per i nove «dissidenti» non è un risultato da poco. Mantengono il dissenso, attraverso il voto di fiducia dimostrano di tenere in piedi il governo, e riescono a inaugurare una nuova battaglia parlamentare. Primo obiettivo: «exit strategy» entro dicembre da «Enduring freedom». Il cambio di rotta, dal punto di vista politico, è evidente: i nove senatori, inclusi i deputati che per primi avevano votato «no» alla camera, sembravano spacciati e destinati a una sorta di esilio politico. Alcuni -i parlamentari del Prc - erano stati persino bollati con l'accusa di aver «rotto una comunità politica». Sembrava che per loro non ci fosse alternativa: si profilava una battaglia solitaria, stretta fra le ostilità dei partiti e quelle del mondo pacifista, che non giudica di buon occhio il «sì», che si apprestano a votare nelle prossime ore. Invece l'isolamento, almeno a livello parlamentare, s'è clamorosamente rotto: oggi portano a casa l'allargamento della loro «coalizione». E nel loro
documento, proseguono: «Abbiamo chiesto con forza, al nuovo esecutivo, un chiaro segno di discontinuità con le politiche di guerra del governo Berlusconi. Indicando da subito - insieme al ritiro del contingente italiano dall'Iraq, almeno la cancellazione della partecipazione italiana a Enduring Freedom. Il ritiro dall'Iraq è stato calendarizzato, seppure tardivamente, ma nessun disimpegno, neanche parziale, è stato annunciato rispetto al teatro afghano». E sul voto di oggi precisano: «Apprezziamo che la maggioranza consideri le nostre posizioni, non solo legittime, ma anche serie e rappresentative. Tuttavia, perché non restino vuote parole, chiediamo che si traducano in atti concreti».



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