[NuovoLab] Lashkargah, di notte si spara e digiorno si muore

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Author: ugo
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To: forum sociale di genova
Subject: [NuovoLab] Lashkargah, di notte si spara e digiorno si muore
Vauro Lashkargah (Afghanistan)

Stamattina, poco prima dell'alba, un commando talebano ha attaccato la base
inglese, solo un'azione dimostrativa: raffiche di kalashnikov. Nell'ospedale
di Emergency, verso le 5 del mattino è morto Sardor. Ieri era stato portato
lì con il corpo semispappolato, insieme a sua moglie e al figlio piccolo,
per loro un futuro da mutilati. Sardor invece si va ad aggiungere ai quattro
che viaggiavano nella sua stessa auto colpita da un missile e che sono morti
all'istante.
Il cielo di Lashkargah oggi è di un bianco sporco e opaco, la città appare
sfocata, immersa nella polvere densa alzata dal vento, il durhia, come lo
chiamano qui. Per raggiungere la zona del bazaar si passa davanti alla residenza
del governatore nominato da Karzai o meglio davanti alle sbarre e ai blocchi
di cemento che chiudono e circondano tutta l'area «Le poche volte che esce
di casa - ci dice l'autista che ci accompagna - i militari
bloccano anche le strade limitrofe». Il governatore di Lashkargah è poco
più che un prigioniero.
Un dedalo di case di fango basse, quelle che affacciano sullo stradone sterrato
hanno davanti al buco di ingresso teli mezzo strappati, sorretti da pali
sbilenchi, penzolano qua e là come i pezzi di carne coperti di mosche e le
altre povere mercanzie delle quali le botteghe fanno mostra La miseria toglie
ogni fascino esotico a questo bazaar. Rimane il pullulare di figure umane,
turbanti scuri, vecchi con gli occhi truccati con il rimmel, giovani dalle
barbe nere e dalle vestì lunghe, miriadi di bambini, timide e sfuggenti apparizioni
di donne con il burka, risciò a motore coloratissimi come quelli pakistani,
asini e carretti stracarichi. Accovacciati dietro piccoli banchi, cambiavalute
e ciabattini che fabbricano scarpe con vecchi copertoni. Un'animazione vivace
che, stranamente, appare però silenziosa, come se la polvere, insieme ai
colori, avesse assorbito anche i suoni.
I bambini si avvicinano per primi ma in un attimo è una piccola folla di
anziani e ragazzi
quella ci circonda. Non c'è' ostilità nei loro sguardi ma curiosità mista
a perplessità, da tempo non vedono occidentali se non armati e chiusi nei
loro blindati. La stessa perplessità la coglieremo, di lì a poco, negli occhi
dei soldati inglesi mentre ci guardano da dietro le loro mitragliatrici su
un convoglio di mezzi corazzati che attraversa lentamente lo stradone. «Gli
inglesi sono migliori degli americani, meno arroganti e prepotenti», esordisce
un vecchio dal capannello. «Ma non vogliamo nemmeno loro», ribatte subito
un altro. E' come se si fosse aperta una valvola, le voci si moltiplicano
e si sovrappongono: «Dicono che sono venuti a portarci sicurezza, bombardamenti,
attentati, morti e feriti, è questa la sicurezza?». Interviene un uomo corpulento
con una barba scura che sembra avere l'autorità di tacitare gli altri: «Lo
vedete in che condizioni viviamo? - dice con un gesto ampio delle braccia
a mostrare quello che ha intomo - siano benvenuti gli stranieri che ci vogliono
aiutare ma per costruire strade, scuole, ospedali non c'è' bisogno di venire
in armi. Sono gli stranieri armati che non
vogliamo. Dicono che è perché non tornino i talebani. Non ci importa niente
dei talebani, vivevamo in miseria anche quando c'erano loro, proprio come
adesso ma c'era più sicurezza, inoltre erano musulmani come noi e ci rispettavano,
rispettavano la nostra religione e le nostre usanze. Sono le truppe straniere
che fanno continuare la guerra in Afghanistan». Al di la' del ponte sul fiume
Helmand che attraversa la città, c'è un posto militare inglese: blocchi di
cemento, blindati e mitragliatrici. Si è formata una colonna di auto scassate,
risciò e camioncini, anche perché un asino attaccato al suo carretto si è
impuntato in mezzo alla strada e non vuole saperne di spostarsi, nonostante
le botte che il suo padrone, un vecchio con turbante, gli da per smuoverlo.
Proprio alle spalle del check-point, su una spianata, giacciono le carcasse
arrugginite e sforacchiate di vecchi carri armati sovietici. Quasi un monito
della storia, ma il giovane soldatino inglese, occhi azzurri, capelli rossi
che si intravedono sotto l'elmetto d'acciaio, sicuramente non lo coglie.
Peacereporter

hasta siempre
ub

Ugo Beiso