[NuovoLab] Alla sera del dì di manifestazione

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Autor: Carlo Schenone
Data:  
A: Lilliput ML, Forum Sociale Genovese, Contro G8, GLT Nonviolenza
Assumpte: [NuovoLab] Alla sera del dì di manifestazione
Tornando da una manifestazione con volantini e striscioni sotto la Prefettura per "richiedere"
l'uscita dell'Italia dall'Afghanistan mi sono trovato a riflettere sul significato della nostra
azione.
Vi propongo la mia riflessione e successivamente alcune proposte, sperando di non risultarvi troppo
pesante.

LA RIFLESSIONE
In qualche maniera mi pare una forma di "coazione a ripetere" per cui un comportamento che in
passato è stato efficace viene ripetuto senza verificare che continui ad essere altrettanto
efficace.

Questo è un atteggiamento più che giustificabile da un punto di vista ma del tutto ingiustificato da
un altro.
Rifare ciò che si è sempre fatto evita di dover rielaborare una strategia, dover soppesare i pro e i
contro, cercare un accordo con altri e, soprattutto, evita l'ansia dell'insuccesso. Ciò che ha avuto
successo in precedenza mi rassicura sul fatto che riavrà successo. Dall'altro non verificare il
risultato delle propria azione porta inevitabilmente alla depressione da insuccesso che viene
inevitabilmente scaricato sugli "altri" perché sembra ovvio che una azione che ha avuto successo in
passato è di per sé valida e quindi se il suo risultato non è efficace è colpa di chi a quella
azione non partecipa.

Non penso che si tratti semplicemente di riflettere sul tipo di manifestazione da organizzare, ma
serve una riflessione molto più ampia, che parta da cosa si intende ottenere.

Serve recuperare lo scopo dell'agire insieme.
Il valore della libertà è stato forzato esclusivamente verso la libertà individuale frustrando la
libertà dalla sofferenza, dalla violenza e dall'abuso. Ne è un tipico esempio il cosiddetto "diritto
di privacy" per cui invece di difendere il diritto di ogni persona di non subire conseguenze
negative dalle loro condizioni o scelte lecite sancisce il diritto di nascondere le proprie
condizioni e scelte, che siano lecite o meno, perfino se queste ultime vanno a danno di tutta la
collettività.
Bisogna rielaborare il famoso detto "pensare globalmente e agire localmente" in "pensare
universalmente e agire individualmente". Lo scardinamento della logica di branco che nella storia ha
fatto degenerare l'agire sociale in una lotta tra bande, classi, cosche, nazioni, corporazioni non
deve significare lo scardinamento della logica sociale ma una sua lettura per cui si decide
individualmente nella ricerca del bene comune.

Negli anni scorsi tanti hanno ripetuto che "un'altro mondo è possibile" con uno slogan bello ma
ambiguo. Anche palestinesi ed irakeni stanno vedendo un altro mondo rispetto al precedente. Non si è
avuto il coraggio di dire che "un mondo migliore è possibile" per paura di confrontarsi per trovare
quale è la direzione migliore e ciò permette sempre più a chi vuole o vorrebbe imporre la propria
visione individuale agli altri di procedere ad abusare.
Il relativismo paventato dal papa a livello religioso è molto più gravemente attuale a livello
culturale. Anche in questo caso, come per la privacy, invece di difendere il diritto delle persone
ad avere posizioni diverse nella ricerca di una strada comune, si afferma che non esiste una strada
comune da percorrere lasciando a chi a più forza di imporre agli altri i propri desideri e
necessità.

In una società in cui il bene comune viene vilipeso come cosa da anacronistice ed ingenue minoranze
e gli unici valori riconosciuti sono il denaro e la libertà individuale inevitabilmente chi non è
ricco vive una condizione di impotenza totale ed anche quando si aggrega la sua povertà viene
semplicemente moltiplicata in una impotenza collettiva, soprattutto se gestita sulla base di valori
ormai obsoleti come la vita o il lavoro. Se durante la rivoluzione francese ogni persona che metteva
in gioco la propria vita aveva un valore rispetto ad ogni singolo soldato del re che doveva
contrastarlo quasi alla pari ha permesso di ridistribuire il potere dei nobili ad altre classi e
durante le lotte operaie dei secoli scorsi il rifiuto del lavoro a rischio della vita che levava ai
padroni un reale elemento di potere permettendo di ridistribuirlo, adesso per cosa sono disposti a
rishiare la vita le persone? Se l'unico valore è il denaro l'unico motivo per rischiare la vita è il
denaro, come dimostrano i contractor e i soldati negli scenari di guerra.
Constatare che la crisi di iniziativa è notevole nella nostra società per qualsiasi cosa che non
venga retribuita è fin troppo facile. Se non si recupera un valore della vita diverso dal suo costo,
è solo in base al patrimonio disponibile che si può pensare di regolare la vita sociale. Di
conseguenza farà politica solo chi è più ricco perché sarà l'unico che riuscirà a motivare altre
persone a compiere le sue scelte. In fondo anche il boicottaggio è l'obiezione di coscienza della
civiltà del denaro. Ma su questa base la forza di ogni singolo uomo non è uguale a quella degli
altri perché chi non ha denaro non esiste e il consenso si può comprare facilmente.
Solo riconoscendo altri valori alla vita si può pensare di avere persone che agiscono scardinando il
consenso che schiaccia.
Serve smetterla di aver paura di sembrare anacronistici proponendo con forza e convinzione che il
valore della vita è il benessere comune almeno quanto quello individuale. Il berlusconismo ha le
stesse identiche radici individualistiche di molti approcci anarcoidi che mettono al primo posto il
vantaggio personale in modo da poter facilmente ignorare le conseguenze collettive dei propri atti.
Ciò che si ottiene è che per essere completamente liberi di fare ciò che pare si finisce in gabbia
circondati da una umanità dolente come i G8 nel loro recinto a Genova.

LE PROPOSTE
Allora ci possono essere due strade. La prima, minimale, è quella di dare per buono che l'unico
valore è il denaro e tutti i suoi derivati (il consumismo, il marketing, la borsa, il PIL ...).
Allora bisogna essere consequenziale ed adeguarsi per cui invece di andare in un milione di persone
a Roma per una manifestazione si raccolgono i soldi che si sarebbero spesi e almeno si comprano dei
canali per dire le stesse cose con i canali del denaro (spazi pubblicitari, situation commedies e
films, canali e quiz televisivi) ben sapendo che i milioni di euro raccoglibili continuerebbero a
rimanere la somma di povertà e quindi solo una povertà più vasta rispetto alla forza del potere. Per
lo meno si sarebbe più efficaci rispetto ad un investimento che ha come unica conseguenza di essere
ignorato o perfino deriso da chi ha il potere.
Ma anche in questo caso la domanda è per cosa siamo disponibili a mettere a rischio la propria vita?
Nella storia gli unici movimenti sociali che hanno potuto operare un cambiamento avevano messo in
gioco la vita dei loro componenti. Questo è dovuto al fatto che alla base di ogni cambiamento c'è
una disobbedienza, il rifiuto del consenso, che se diventa efficace richiede di mettere in gioco la
propria vita, magari in maniera minima, ma lo richiede. Se una disobbedienza, un rifiuto di consenso
può essere fatta senza rischiare niente significa che è del tutto inefficace.
Proprio per questo la domanda è "Per cosa siamo disposti a rischiare?" tanto da farlo e proporlo
anche agli altri? E' possibile pensare che le generazioni vecchie siano attrici del cambiamento?
Cosa sono disposti a rischiare le generazioni più giovani? De André cantava "Lottavano così come si
gioca i cuccioli del maggio, era normale, loro avevano il tempo anche per la galera, ad aspettarli
fuori rimaneva la stessa rabbia la stessa primavera...". I cuccioli delle generazioni di solito sono
sempre quelli che ci rimettono meno perché meno hanno e quindi essendo quelli che hanno meno da
perdere sono i più disponibili a rischiare. Chi più ci perde meno rischia.
Perché i nostri cuccioli non riusciamo a vederli prendersi cura del mondo futuro? Forse perché il
nostro sistema sociale fa percepire come loro ciò che hanno i genitori facendoli sentire ancora più
prudenti dei loro stessi genitori? Ma è vero che non rischiano più? Invece che il tempo per la
galera, i cuccioli attuali cosa sono disposti a mettere in gioco? Per cosa rischiano e cosa? Vista
la loro precarietà strutturale dovrebbero essere quanto di meno vincolato e più libero di rischiare
ma questo non sembra avvenire.
Invece di chiederci perché i giovani non fanno quello che faremmo noi per cambiare il mondo è più
corretto domandarci come i giovani vorrebbero cambiare il mondo, cioé quale il mondo ideale che gli
abbiamo proposto come adulti. Cosa è che desiderano e che, quindi, motiva il loro agire? Quali sono
gli orizzonti che abbiamo saputo mettere davanti a loro? Quali sono gli orizzonti che gli adulti
sognano? Quali sono i desideri degli adulti che vengono proposti ai giovani come futuro auspicabile?
Nella prima ipotesi l'unico orizzonte è l'accumulo della ricchezza nel cui mito siamo cresciuti come
adulti deridendo l'ingenuità dei figli dei fiori.

La seconda ipotesi è avere il coraggio di dire ad alta voce e proporre agli altri, per primi i
giovani, quelle cose che sappiamo essere ingenue e deboli ma che sappiamo anche essere molto vere.
Non si tratta di dire loro come fare per raggiungerle ma al contrario lasciare che loro scelgano se
e come raggiungerle.
Se non si sanno proporre degli orizzonti, dei desideri, l'unica alternativa è vedere quali sono gli
orizzonti e i desideri dei giovani e mettersi a loro disposizione se li condividiamo. Ma anche in
questo caso una funzione fondamentale è di chiedere ai giovani di avere desideri e sogni da
realizzare perché altrimenti l'unica alternativa è l'attesa dell'estinzione collettiva.

Dato per buono che gli orizzonti siano definiti, un problema successivo è il modus operandi.
Se la disobbedienza, il rifiuto del consenso, è l'unico strumento che permette di modificare una
situazione strutturalmente stabile di violenza, quali azioni di disobbedienza attuare? Se l'unico
valore è il denaro l'unica disobbedienza può essere il boicottaggio e/o la produzione e il commercio
alternativi. Ma se si riconoscono altri valori per cui si è disposti a rischiare qualcosa, allora è
su quei valori che ci si può basare.

Per esempio perché, invece di chiedere ai partiti di fare delle elezioni primarie, con fare suddito
e accettando la personalizzazione della dialettica politica non si comincia ad organizzare dal
basso, partendo da assemblee autoconvocate, che tramite metodi consensuali creino dei programmi più
o meno condivisi, delle elezioni primarie sui programmi, individuando solo in seguito le persone che
li propongano a tutti gli elettori, magari dopo un processo di contaminazione vicendevole basato
anche sui diversi pesi evidenziati dalle votazioni.
Da un processo del genere si potrebbe mettere pesantemente in discussione la credibilità
dell'attuale meccanismo politico senza rischiare di non intaccarlo come nel caso di astensione dal
voto. Se un processo del genere arrivasse poi anche a concretizzarsi in presenze elettorali al
momento delle elezioni non potrebbe essere più di tanto ignorato dai partiti, al limite potrebbero
tentare di manipolarlo e soggiogarlo.
Fare elezioni primarie di questo tipo (che si potrebbero chiamare elezioni programmatiche giusto per
distinguerle) sarebbero sicuramente una forma di disobbedienza civile nei confronti del potere
attuale, condivisibile anche a prescindere dalle divisioni ideologiche. Sarebbe una disobbedienza
civile che fa rischiare abbastanza poco come serve in una fase storica come l'attuale, ma farebbe
percepire alle persone la possibilità di agire concretamente e direttamente.
Ovviamente la cosa principale di tutto il processo è che possa avvenire assicurando che l'impegno
collettivo venga in seguito, come al solito, abusato da alcuni più scaltri, smaliziati e disonesti.
Per fare questo si possono pensare delle semplici regole a cui si devono attenere coloro che sono
disposti a partecipare al processo di cui siano chiare le sanzioni per chi non le rispetta e
soprattutto un impegno da parte di tutti i partecipanti ad attuare le sanzioni previste. Uno dei
punti più deboli di moviementi rivoluzionari del passato, compreso la rivoluzione francese, quella
russa ma anche l'esperienze di Ghandi, è sempre stata la capacità di mantenere i risultati ottenuti
evitando la degenerazione e l'abuso non avendoli tenuti in conto fin dall'inizio.

Scusate la lunghezza ma penso fosse necessaria
Cordialmente
Carlo Schenone
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