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Szerző: Sergio Casanova
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Címzett: forumgenova
Tárgy: [NuovoLab] PROPOSTA

PROPOSTA
DISCUTERE NEL MERITO DELLA “QUESTIONE AFGHANISTAN”
PARTENDO DA ANALISI ARGOMENTATE
 
Il successo dell’assemblea autoconvocata del 15 luglio preoccupa molto! L’indipendenza e l’autonomia di giudizio di parti significative del movimento e le inequivocabili prese di posizione di personalità di enorme prestigio a livello mondiale non piace ai partiti di governo. Purtroppo a nessuno di essi, neppure a quelli che da anni sostengono, e spesso hanno praticato, la loro internità al movimento! Oggi scoprono, all’unisono, che ci sono movimenti buoni e movimenti cattivi. Qual è il metro di giudizio? Semplice: sono cattivi quelli che si pongono contro le scelte del governo dell’Unione, anche se non si sono spostati di una virgola rispetto a ciò che facevano prima, quando erano buoni perché si opponevano a Berlusconi!
 
Chi è interessato al reale oggetto del contendere ( e non a oscurarlo dietro a ingiuriose o minacciose affermazioni ispirate alla tristemente nota cultura del sospetto-screditamento-dietrologismo, ma spesso non suffragate da argomentazioni che affrontino il merito della questione “cosa farà l’Italia nella guerra in Afghanistan”) leggerà sicuramente con interesse, se già non l’ha fatto, l’analisi di Manlio Dinucci, non proprio uno sprovveduto avventurista, che incollo qui sotto. Naturalmente, mi è noto che non esiste l’oggettività o la verità assoluta e asettica, ma almeno proviamo a produrre qualche ragionamento!
 
Ciao a tutte e tutti, Sergio Casanova
 
P.S. 1) E’ solo una mia impressione o quasi nessuno pare accorgersi che il Presidente della Repubblica Napolitano, ben lungi dall’incarnare il suo ruolo istituzionale di garanzia (come molti, me compreso, avevano sperato avrebbe fatto), continua a intervenire su questioni che non gli competono minimamente, visto che non è più un privato cittadino o un semplice parlamentare! Qualcuno dei garantisti a senso unico di qualsiasi parte potrebbe ricordarglielo?
P.S. 2) Ma il rispetto dei ruoli istituzionali, a gran voce giustamente invocato nel recente passato, appare veramente in crisi se persino il Presidente della Camera dichiara al “Corriere della Sera” di oggi, a pag. 11: “C’è un problema di lealtà [nei confronti del popolo della sinistra (n.d.r)] così forte che chi non vi tiene fede esce dalla sfera della politica come esercizio della medesima nelle istituzioni.” Dato che il “patto con gli elettori” si basava sul programma dell’Unione, esistono argomenti per sostenere che è proprio l’Unione a non attenervisi in merito al voto sulle missioni militari, ma, a prescindere da ciò, sulla base di cosa il Presidente Bertinotti si ritiene autorizzato a dare letture e lezioni così prive di “prudenza”, e così lontane dal suo stile?
 
 
 
 
 



















POLITICA & SOCIETÀ

Il manifesto 14/07/06, pag. 6
 


















editoriale











analisiLa vera missione dell'Italia armataManlio DinucciIl ministro degli esteri D'Alema ha promesso ai capigruppo dell'Unione, in cambio del ritiro degli emendamenti, una mozione parlamentare che impegni l'Italia a «promuovere una ridefinizione della missione Isaf in Afghanistan». Arriva però un po' tardi: la missione Isaf è stata ridefinita quando, l'11 agosto 2003, la Nato ne ha assunto il comando senza mandato del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che solo dopo ne ha
preso atto. Non solo: nell'intervento alle commissioni difesa di Senato e Camera, il ministro Parisi ha ridefinito l'intero quadro della politica militare e, contestualmente, della politica estera italiana.Compiti fondamentali delle forze armate sono «la difesa degli interessi vitali del paese contro ogni possibile aggressione» e «il contributo alla gestione delle crisi internazionali». Per «produrre sicurezza» esse devono operare in «uno spazio che si è allargato a dismisura finendo con l'estendersi a tutto il mondo e proiettandoci dalle tre dimensioni classiche della nostra politica - europea, atlantica e mediterranea - ad una missione assolutamente globale». In tale quadro «l'Italia dovrà muoversi nei prossimi anni, assumendosi oneri e fornendo contributi che siano proporzionali al
suo status politico e alla sua capacità economica». Non fare questo significherebbe «porci a margine della comunità internazionale». Parisi ricorda che oggi l'Italia impegna all'estero oltre 30mila militari su base rotazionale, più 3mila pronti a intervenire. Ma per mantenere e potenziare tale capacità occorre assumersi ulteriori oneri anche in termini di bilancio: vi è una «carenza di risorse» che può incidere sulle capacità operative delle forze armate, il cui personale assorbe oltre il 70% del bilancio della difesa (l'indennità di missione è di circa 4mila euro mensili aggiunti alla paga). Ciò può portare a «inaccettabili situazioni debitorie nei programmi internazionali»: tra questi (anche se Parisi non lo dice) vi è l'impegno ad acquistare, oltre a 120 caccia Eurofighter, altrettanti Joint Strike Fighter statunitensi il cui costo è salito, ancor prima
di divenire operativi, da 66 a 84 milioni di dollari l'uno. Occorre quindi «un flusso di risorse costante e coerente con gli obiettivi». I preannunciati tagli alle spese sociali servono dunque ad accrescere la spesa militare italiana che, già al 7° posto mondiale con oltre 27 miliardi di dollari annui, deve essere aumentata. Per la «missione globale» occorrono sia militari preparati e ben pagati, sia costosissimi sistemi d'arma.La nostra componente militare - sottolinea il capo di stato maggiore della difesa Di Paola - deve essere trasformata per acquisire una «connotazione fortemente expeditionary (usabilità, proiettabilità e sostenibilità delle forze in teatri esterni anche a grande distanza)» e allo stesso tempo una «interoperabilità multinazionale» (Casd, 20 giugno).Il «teatro esterno» in cui
devono essere sempre più proiettate le nostre forze armate è la fascia di «instabilità e crisi» che attraversa l'Eurasia: qui sono a contatto la parte del mondo che è «soggetto e oggetto della globalizzazione» e quella che è «esclusa e sempre più marginalizzata»; qui si trovano «le aree di primaria importanza strategica per la presenza di fonti energetiche»; qui si trovano Cina e India il cui sviluppo economico, che permetterà loro nei prossimi 15 anni di raggiungere e superare molti degli attuali paesi più ricchi, «non potrà non restare senza conseguenze nella dimensione della sicurezza e stabilità». Viene così adottata la strategia del Pentagono che, nel rapporto del 30 settembre 2001, avverte: «Esiste la possibilità che emerga in Asia un rivale militare con una formidabile base di risorse». E' per queste ragioni e non per altre che le forze Nato sono
state portate in Afghanistan a integrare le forze Usa e poste sotto il Comando delle forze combinate agli ordini del gen. Eikenberry, a sua volta dipendente dal Comando centrale Usa. E' di conseguenza questo comando a stabilire i compiti operativi anche dei militari italiani, nel quadro sia della missione Nato sotto paravento Isaf, sia di Enduring Freedom, che sono due facce della stessa guerra condotta in Afghanistan e Iraq. Anche se Parisi si dice certo che «il mondo del futuro non sarà quello ottocentesco delle politiche di potenza» (Casd, 20 giugno), una cosa è certa: l'imperialismo ottocentesco, cambiatosi d'abito, è ancora vivo e vegeto.