[Lecce-sf] Inoltra: Via le truppe dall' Afghanistan - INIZIA…

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Author: Antonella Mangia
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To: gsf puglia, Pugliarossagroups, lecce social forum, CSSF
Subject: [Lecce-sf] Inoltra: Via le truppe dall' Afghanistan - INIZIATIVE A LECCE IL 17 LUGLIO

Anche il Salento si mobilita per chiedere al Governo di Centro Sinistra un segnale di forte di discontinuità con il precedente Governo Berlusconi in materia di missioni di guerra all'estero.
Le truppe italiane devono essere ritirate da tutti i teatri di guerra, a cominciare dall'Iraq e dall'Afghanistan: non si può continuare a violare l'articolo 11 della nostra Costituzione, la cui validità è stata di recente riconfermata dal popolo italiano; non si può continuare a consentire la mistificazione della realtà chiamando missioni di pace quelle che, invece, sono solo sanguinose e illeggittime invasioni di Paesi terzi; non si può pensare che possa MAI esistere una guerra umanitaria, una guerra che per portare aiuto ad un popolo, uccide e rapina le sue risorse; non si possono chiedere sacrifici agli italiani in nome del risanamento della nazione e sperperare milioni di euro in armamenti e missioni di guerra all'estero.
Noi diciamo: che non ci stiamo, non siamo d'accordo, che la guerra non cambia la sua natura se a farla è un governo di centro sinistra invece che un governo di centro destra, che non si può essere pacifisti a giorni alterni e in funzione di chi governa.

Per questo e per ribadire le tante ragioni del 'NO ALLA GUERRA SENZA SE E SENZA MA', per dire ai nostri parlamentari che noi non li abbiamo delegati a votare le missioni di guerra e che se lo faranno non sarà in nostro nome,
LUNEDI' 17 LUGLIO - in occasione dell'inizio del dibattito parlamentare sul finanziamento delle missioni di guerra, allestiremo in Piazza S. Oronzo dalle ore 19,30 in poi una tenda della pace con sit-in, proiezioni di filmati sulla guerra, raccolta firme, distribuzione di materiale informativo e una mostra a cura di Emergency.


Hanno aderito alle iniziative:
Comitato Territoriale ARCI, Comitato Fermiamo la guerra, ARCI Zei,
Circolo di Lecce del P.R.C., Collettivo Iqbal Masiq, Circolo politico culturale IL CANTIERE, Ass.Cubana Josè Marti, Ass. C-arte, Ass. Donne del Mediterraneo, Giovani Comunisti Lecce, Coop. Soc. Commercio Equo e Solidale,
Circolo Arci I Sotterranei-Copertino, Ass. Culture Migranti, PdCI -sez. di Lecce, Unione degli Universitari di Lecce, Mutua Studentesca


allegatI
documento conclusivo dell'assemblea del 15 luglio a Roma
lettera di Walden Bello che si schiera a fianco dei senatori che voteranno no lettera del Vescovo Nogaro "No a finanziamento missione in Afghanistan"
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ALLEGATO 1-

Documento conclusivo dell’assemblea autoconvocata di Roma del 15 luglio - “NO alla guerra senza se e senza ma. Via dall’Iraq, via dall’Afghanistan”



Ci siamo riuniti oggi in tanti, pacifisti e pacifiste, esponenti dei movimenti e delle associazioni contro la guerra, sindacalisti, parlamentari, uomini e donne di partito, per dire una cosa semplice e netta: no alla guerra “senza se e senza ma”.
Il nostro grido giunge mentre in Medio Oriente una nuova, vecchia, guerra riemerge violentemente con l’uso indiscriminato delle bombe sui civili, con il terrore di Stato, con la chiusura unilaterale del dialogo e della trattativa. Una guerra che si aggiunge alle tante contro cui ci battiamo da sempre, dall’Iraq all’Afghanistan. La guerra, sempre più, si presenta come strumento privilegiato degli Stati più forti e dei potenti della Terra, a partire dalle grandi multinazionali, per costruire un “ordine” internazionale fondato sul dominio e l’oppressione che a loro volta generano morte, miserie e sempre più marcate povertà. La guerra si erge, quindi, a sistema politico globale sia nella sua versione più spregiudicata, l’unilateralismo statunitense, sia nella versione temperata del multilateralismo a copertura Onu e a guida Nato.
È contro questa guerra che noi intendiamo batterci senza mediazioni perché sulla guerra non si può mediare né, tanto meno, ridurre il danno. Se la guerra è un sistema di dominio e di oppressione – che non serve a ridurre o a depotenziare i fenomeni terroristici come la storia degli ultimi cinque anni dimostra – il NO alla guerra è fondativo di un’identità politica collettiva che ha preso le mosse nelle manifestazioni contro la guerra del Kosovo e poi contro la “guerra infinita e preventiva” in Afghanistan e in Iraq.
C’è un filo che lega queste mobilitazioni, un filo che non intendiamo spezzare.
Per questo vogliamo proporre a tutto il movimento un nuovo corso, un rilancio della nostra iniziativa per non rassegnarci né smobilitare, per mantenere una coerenza di fondo anche nelle scelte politiche contingenti siano esse di natura istituzionale o meno. Un nuovo corso che sia basato su alcuni punti essenziali:
1) Solidarietà al popolo palestinese per la costituzione di uno Stato laico e democratico sui Territori occupati nel 1967 e con Gerusalemme capitale. Questo obiettivo per essere realizzato ha bisogno di alcune condizioni sostanziali: l’immediato cessate il fuoco, il ritiro di Israele dai Territori occupati, lo smantellamento del Muro, lo sblocco degli aiuti europei al legittimo governo palestinese. Il governo italiano deve impegnarsi su questi punti a cominciare dalla revisione dell’accordo di cooperazione militare con Israele e dalla richiesta di un intervento di interposizione dell’Onu nei Territori occupati.
2) Via dall’Iraq e via dall’Afghanistan. L’occupazione militare di questi Paesi non costituisce la soluzione di un problema ma rappresenta il problema. L’Italia deve farsi portavoce di un’iniziativa di pacificazione e di impegno in direzione della cooperazione e della solidarietà civile. Questo significa contrastare il ruolo di gendarme mondiale della Nato a cominciare dalla revisione degli accordi di Washington del 1999.
3) Via le basi militari e via il nucleare dal suolo italiano;
4) Riduzione delle spese militari con la completa revisione del nuovo modello di Difesa che prevede l’incremento di missioni militari all’estero, per una politica di disarmo e per la riconversione dell’industria bellica senza penalizzazioni per i lavoratori e le lavoratrici.

Questo appello deve vivere nelle iniziative che sapremo realizzare sia a livello parlamentare sia, soprattutto, a livello sociale, a cominciare dalle mobilitazioni delle prossime settimane. Il movimento per la pace rappresenta ancora oggi la maggioranza civile di questo paese. È nostro dovere dargli voce, offrirgli gli strumenti per esprimersi, costruire un nuovo slancio unitario e radicale perché la guerra sia bandita dalla Storia.

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     Oltre mille persone hanno partecipato questa mattina all'assemblea  
 autoconvocata di Roma per ribadire il più convinto no alla guerra e la  
 richiesta del ritiro delle truppe dall'Iraq e dall'Afghanistan.  
 Applauditissimi,tra gli altri, gli interventi di Claudio Grassi, Salvatore Cannavò, Mauro Bulgarelli e Dario Fo. In collegamento telefonico hanno portato il loro saluto Gino Strada, Padre Alex Zanotelli e Peppe Grillo. Al termine degli interventi è stato presentato un documenrto approvato 
 dall'intera assemblea. Contro una guerra che si presenta sempre più come strumento per la costruzione di un ordine internazionale fondato sul dominio e l'oppressione - si legge nel documento- noi intendiamo batterci senza mediazioni: sulla guerra non si può mediare né tantomeno ridurre il danno. Il no alla guerra è fondativo di un'identità politica collettiva che ha preso le mosse nelle manifestazioni contro la guerra del Kosovo e poi contro la guerra infinita e preventiva in Afghanistan e Iraq. C'è un filo che lega queste mobilitazioni che non vogliamo spezzare. Per questo proponiamo a tutto il movimento un nuovo corso,un rilancio della nostra iniziativa per mantenere una coerenza di fondo anche nelle scelte politiche contingenti. Via dall'Iraq e dall'Afghanistan: l'occupazione militare di questi paesi non costituisce la soluzione di un problema ma rappresenta il problema. Il movimento della pace - si legge nella conclusione del documento - rappresenta ancora oggi la
 maggioranza civile di questo paese. E' nostro dovere dargli voce, costruire un nuovo slancio unitario e radicale perché la guerra sia bandita dalla storia.
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DA L ' UNITA'
«Non ci aspettavamo così tanta gente in un'assemblea autoconvocata, saremo sicuramente più di seicento». Salvatore Cannavò non nasconde un sorriso soddisfatto per l'esito dell'assemblea dei pacifisti, organizzata insieme agli otto senatori dissidenti della sinistra radicale, in cui ufficialmente in un documento approvato all'unanimità si è ribadito «il no alla guerra senza se e senza ma e la fuoriuscita dall'Iraq e dall'Afghanistan». Se nei giorni scorsi si erano aperti spiragli per un possibile rientro dei parlamentari dissidenti, oggi invece gli stessi otto senatori hanno ritrovato unità nel riaffermare il no alla missione in Afghanistan, specificando però «che fino all'ultimo si cercherà una mediazione per modificare in modo positivo il disegno di legge». 


Una posizione che non corrisponde alla linea di Rifondazione comunista, precisa il segretario di Prc Franco Giordano pur sottolineandone la legittimità. Il leader di Rifondazione va oltre, non solo chiedendo ai dissenzienti di rispettare il vincolo politico della coalizione ma cogliendo anche una «soggettività politica» nelle manifestazioni dei pacisfisti che si traduce nella contrarietà a un governo «alternativo a Berlusconi». Anche Nello Formisano, dell'Italia dei Valori, rimarca la «legittimità» del dissenso ma poi chiede ai suoi colleghi pacifisti di giungere comunque «ad un voto compatto sul ddl per il rifinanziamento delle missioni».

«Sorpresa» viene invece espressa dall'esponente della Margherita Franco Monaco verso i parlamentari «in sofferenza sull'Afghanistan» perché non «danno mostra di apprezzare la discontinuità nei complessivi indirizzi di politica estera» del governo. Più dura Marina Sereni, dei Ds, che parla, riferendosi all'assemblea di oggi, di una «area di movimento contro il governo "tout court".

Dal palco dell'assemblea si sono alternati esponenti politici e rappresentanti del mondo sindacale, dei movimenti per la pace e del mondo culturale. Chi non ha potuto essere fisicamente presente all'iniziativa ha cercato di mandare comunque un segnale di solidarietà attraverso lettere (Giulietto Chiesa e Paolo Cento) oppure raggiungere i pacifisti tramite collegamento telefonico. Prima Beppe Grillo, che ha definito la guerra «un'operazione di marketing» e poi Gino Strada che senza giri di parole ha messo in evidenza «il servilismo dell'Italia nei confronti degli Stati Uniti». Il fondatore di Emergency si è rivolto idealmente al mondo politico dicendo che «il no alla guerra non è trattabile e soprattutto che la popolazione afghana non può sentir dire che la guerra deve continuare perché altrimenti vacillerebbero le poltrone». Non era previsto tra gli interventi ma ha deciso comunque di dare il suo contributo, anche un pacifista "doc" come Dario Fo, che arrivato insieme alla
moglie, Franca Rame, senatrice dell'Idv, ha giudicato »i soldi spesi per le missioni militari come una cosa da far venire il vomito«.

L'attenzione però era tutta rivolta agli esponenti della sinistra radicale che da giorni manifestano il loro dissenso al rifinanziamento della missione. Salvatore Cannavò, esponente di «sinistra critica», ha sottolineato come «la riduzione del danno non può essere applicata alla guerra», ed ha definito come «meno-peggista» la linea politica assunta ribadendo il fatto che «sulla guerra non può esserci mediazione, ecco perché gli emendamenti al disegno di legge saranno presentati sia alla Camera che al Senato». Pur con toni diversi, anche Franco Russo sempre di Rifondazione, ha spiegato che «bisogna trovare una soluzione perché tra sei mesi ci ritroveremo di nuovo con lo stesso problema». Esprime solidarietà all'assemblea dei pacifisti anche Cesare Salvi, senatore della sinistra Ds, che chiama in causa direttamente il governo Prodi: «È un caso da manuale - spiega Salvi -, se il governo ritiene vitale il consenso della maggioranza per andare avanti e opportuno mettere la
fiducia».

Tra le critiche più accese nei confronti del governo ed in particolare del ministro degli Esteri Massimo D'Alema, c'è quella di Claudio Grassi, altro senatore dissidente di Rifondazione, che accusa lo stesso titolare della Farnesina di «dare lezioni di coscienza agli altri quando lui ha autorizzato i bombardamenti in Serbia e a Belgrado». «D'Alema - aggiunge Grassi - non può pensare di offendere i suoi interlocutori: non accetto di essere offeso su un voto così sofferto come quello sulla guerra».

Per i parlamentari di Rifondazione il capitolo Afghanistan sarà ripreso lunedì nella direzione in cui, stando alle voci, potrebbe anche essere presa in esame l'ipotesi di esclusione dal partito per chi non rispetta il vincolo di mandato scelto una volta eletto. Interpellato sulla questione, però, è lo stesso Grassi a sottolineare come «Rifondazione non arriverà a questo, avendo votato otto volte contro la guerra», dello stesso avviso è anche l'altro esponente della minoranza di Rifondazione, Salvatore Cannavò.

Mantengono il loro riserbo, sia sulla mozione che sul disegno di legge, anche Loredana De Petris e Mauro Bulgarelli dei Verdi. «La mozione contiene dei passi avanti, ma occorre che il governo faccia una presa di posizione importante nella relazione tecnica», è il giudizio della De Petris, mentre il collega Bulgarelli va giù duro: «Sono sempre stato coerente, ho votato contro otto volte, non capisco perché adesso dovrei cambiare idea». Fa un appello al Governo anche il capogruppo al Senato dei Verdi-Pdci, Manuela Palermi, che si riserva di attendere «quello che l'Esecutivo dirà in aula perché la mozione è un atto parlamentare ma occorre da parte dello stesso governo un qualcosa di scritto che segni una discontinuità».


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ALLEGATO 2


13 Luglio 2006
AGLI OTTO CORAGGIOSI SENATORI ITALIANI

Cari compagni,
Abbiamo saputo della vostra dichiarazione di voto negativa alla spesa
che dovrebbe finanziare le truppe italiane in Afghanistan. Noi
supportiamo pienamente la vostra coraggiosa posizione, e condanniamo la
pressione che state subendo dai vostri partiti per votare a favore della
misura. Sono loro che stanno sbagliando. Sono loro che sono crollati dentro
l'imperialismo con il pretesto di prevenire la caduta del governo.

La guerra in Afghanistan è un impresa imperialista, una netta
violazione dei diritti della sovranità di un paese, una ingiustificabile

invasione
che, inoltre, non è sancita da alcuna risoluzione delle Nazioni
Unite.


Negli ultimi cinque anni gli Stati Uniti hanno cercato di imporre un
protettorato nel paese, ma questa impresa è stata un enorme fallimento.
Perché?

Una delle funzioni fondamentali di un governo è provvedere a un minimo
di ordine e sicurezza. Nonostante tutti i problemi legati con il loro
ruolo, i Talebani sono stati in grado di dare al paese il suo primo
regime politico sicuro dopo 30 anni. Contrariamente al regime di
occupazione straniera che è succeduto loro e che ha fallito miseramente. Secondo
un report del Centro per gli Studi strategici e Internazionali, " la
sicurezza si è deteriorata sin dall'inizio della ricostruzione del
dicembre 2001, in particolare dall'estate 2003". Il governo di Hamid Karzai,
instaurato da Washington, non esercita molta autorità eccetto a Kabul e
un'altra o altre due città, tanto che il

segretario
dell'ONU Kofi Annan ha detto "senza le istituzioni statali
che soddisfano i bisogni base della popolazione in tutto il paese,
l'autorità e la legittimità del nuovo governo avranno vita breve"

Sempre peggio, l' Afghanistan è diventato uno stato narco-trafficante.
I talebani avevano ridotto la produzione di papavero in maniera
significativa.
Da quando sono stati cacciati nel 2001, la produzione di papavero è
aumentata, con un record nel 2004 facendo guadagnare all'Afghanistan il
dubbio onore di essere il fornitore dell'80% della produzione mondiale di
eroina. circa 170.000 Afgani ora usano oppio e eroina, 30.000 sono
donne.

I funzionari del governo sono coinvolti nel 70% del traffico di
narcotici, con circa un quarto dei 249 membri del Parlamento, recentemente
eletti, legati al commercio di droga. Una stima in uno studio condotto per
l'Unità di Valutazione e Ricerca Indipendente dell'Afghanistan
conclude
che
almeno
17 membri neo-eletti in Parlamento sono essi stessi trafficanti di
droga, altri 24 hanno legami con bande criminali, 40 sono comandanti di
gruppi armati e 19 hanno affrontano gravi accuse di crimini di guerra e
abusi dei diritti umani. Per queste persone, che dominano la vita
politica in Afghanistan, "l'insicurezza", secondo le parole di Kofi Annan, è
un "affare" e l'estorsione "un modo di vivere".

Dato che i commercianti di droga, i ladri e i signori della guerra
controllano il governo, è difficile sorprendersi del fatto che i talebani
stanno risorgendo nel paese, specialmente nel Sud, dove saranno
assegnante le forze NATO - incluse le truppe italiane, se lì saranno inviate -.
I talebani sono fondamentalisti, ma vengono visti come forze
nazionaliste locali che stanno combattendo contro l'invasore imperialista e un
regime corrotto sostenuto dall'invasore. Anziché ridurre l'attrattiva

dei talebani, le forze
militari straniere la stanno aumentando.

La spedizione italiana e il resto delle forze NATO sono viste come
truppe mercenarie per gli interessi americani. Essi giocheranno un ruolo
che la macchina militare americana fino ad oggi non è stata in grado di
avere:
imporre, con successo, una occupazione militare nel paese. Le forze
NATO hanno il ruolo di fare il lavoro sporco per gli Stati Uniti. Questo è
un obiettivo senza speranza.

La sola possibile soluzione della crisi afgana è che tutte le truppe
straniere si ritirino e permettano al popolo afgano di risolvere i propri
problemi direttamente.

Ma la spedizione italiana ha implicazioni che vanno al di là
dell'Afghanistan.
Rende una farsa il ritiro del governo italiano dall'Iraq.

Come tutti sanno, le forze militari americane sono "sovra estese" in
modo sbagliato. A parte 140.000 soldati in Iraq, hanno 13.500 in

Afghanistan. L'obiettivo di portare truppe
NATO in Afghanistan è per liberare
personale militare americano per l'Iraq. Così, mandare e mantenere le
truppe in Afghanistan va sfacciatamente contro il volere del popolo
italiano che vuole fermare il
proprio governo dall'essere complice della guerra americana in Iraq.

Per favore rimanete fermi nella vostra scelta di non votare il
ri-finanziamento delle truppe italiane in Afghanistan. Il vostro coraggio di
tenere testa a un governo e dei partiti senza spina dorsale servirà come
un esempio ispiratore alle forze di pace e giustizia attraverso il
mondo.

Sinceramente vostro,
Walden Bello

2003 Recipient, Right Livelihood Award (Alternative Nobel Prize)
Professor, University of the Philippines
Executive Director, Focus on the Global
South.
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ALLEGATO 3
Vescovo Nogaro "No a finanziamento missione in Afghanistan"

Dal portale "casertanews"

Sabato 15 Luglio 2006 Nogaro: "No a finanziamento missione in

Afghanistan" Caserta – No al rifinanziamento all'Afghanistan perché

"in ogni caso le bombe sono le stesse dell'Iraq e il numero di morti in

percentuale agli abitanti maggiore". E' duro il commento del vescovo di

Caserta, monsignor Raffaele Nogaro, sulla discussione in corso per il

rifinanziamento della missione in Afghanistan. "Il fatto che questa

guerra sia sotto l'ombrello dell'Onu - osserva il vescovo all'agenzia

Adista - che poi l'ha appaltata alla Nato è solo una finzione

giuridica. In ogni caso le bombe sono le stesse dell'Iraq, il numero

dei morti in percentuale agli abitanti maggiore".
"In nome della

coscienza e della vita di ogni uomo - afferma ancora il prelato - non

credo si possa tacere sulla missione militare
in Afghanistan, dove la

pace viene sistematicamente distrutta. L'Afghanistan è più lontano

dell'Occidente da tutti i punti di vista, è molto meno popolato e fa

meno notizia dell'Iraq. Non passerà molto che i crimini sistematici

commessi in Afghanistan saranno riconosciuti e universalmente

condannati". Il vescovo ha parole di particolare apprezzamento per

l'impegno e la testimonianza di Gino Strada e per il rigore con cui,

anche recentemente, il fondatore di Emergency è tornato a condannare

l'intervento militare in Afghanistan ed il rifinanziamento della

missione italiana. "Ciò che desta orrore - aggiunge monsigno Nogaro - è=




che le stesse forze politiche che contestavano il sostegno di

Berlusconi alla guerra in Afghanistan
oggi presentano come necessità

inevitabile la partecipazione italiana. Tutto questo in nome di impegni

morali derivanti da alleanze. Un
appellarsi alla morale - prosegue il

vescovo - per fare la cosa più immorale di tutte: la guerra! Ai

parlamentari andrebbe ricordato che è nelle loro mani la vita e la

morte di migliaia di esseri umani (il che è già una condizione inaudita=




perché si sostituisce a Dio), e che ogni calcolo del minor danno parte

da un presupposto assolutamente sbagliato: le inevitabilità

dell'intervento militare. La minaccia della caduta del governo è un

ricatto ignobile, perché non di un cataclisma inevitabile si tratta o

di una crisi economica sopranazionale ma di una decisione umana e

italiana, e come tale modificabile. In ogni caso la Costituzione (art.

11)- conclude il vescovo - viene prima di
qualsiasi

alleanza".





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