Una lettera di Piero Bernocchi in risposta all'appello "Ripartire da Genova"...
___________________________________________
I furbetti del Movimentino
Ripartire da Genova? E perché non da Roma? Dalle manifestazioni davanti alla
Camera (17 luglio ore 18) e al Senato quando si voterà il decreto di
rifinanziamento delle missioni di guerra, per dire QUI e ORA (non in autunno o
in inverno) no alla guerra di Prodi, per appoggiare i parlamentari che
voteranno NO al decreto, per ottemperare adesso e non in futuro a quanto deciso
ai Forum di Caracas e di Atene.
Perché fate i furbetti del Movimentino, falsamente equidistanti, confuciani
esponenti dell'"aurea via di mezzo", né con quello ne con questo, fingendo di
non sapere che il principale nemico del movimento oggi , ciò che lo riduce a
Movimentino, è la sindrome "del governo amico"?
Proprio quella che colpisce anche voi quando scrivete che "il decreto introduce
elementi di cosiddetta riduzione del danno"; che pace e guerra "sono troppo
importanti perché su di esse si scatenino vecchie e nuove concorrenze" e che
"non è il momento di polemizzare con chi ci siede vicino"; che "partecipare al
governo e a una guerra non sono due scelte obbligatoriamente tra loro
vincolate"; e quando proponete di incontrarci a Genova per "costruire una
mobilitazione capace di ottenere dal Parlamento entro il 2006 l'approvazione di
una strategia di uscita dalla guerra".
Avreste scritto questo cumulo di assurdità se ci fosse stato il governo
Berlusconi? Se il Cavaliere fosse andato in Parlamento dicendo: Bush voleva che
aumentassimo le truppe in Afghanistan ma io mi sono rifiutato, ho ridotto il
danno, "congelando" il contingente (a parte le due navi)?
Avreste usato l'orrendo termine "riduzione del danno", che fa il paio con
"guerra umanitaria", per gli afgani che riceveranno pallottole di
centrosinistra invece che di centrodestra? E avreste bollato come "concorrenza"
la battaglia politica intransigente contro il decreto o la polemica "con chi ci
siede vicino" (lapsus di Agnoletto, che pensava ai suoi vicini di seggio a
Strasburgo)? E avreste usato la grottesca espressione "non obbligatoriamente
vincolate" per dire che stare al governo non costringe a fare la guerra? E
infine: vi sareste dimenticati che le manifestazioni a settembre sono già state
decise al Forum Europeo e non certo per chiedere "una strategia di ritiro" bensì
il ritiro immediato da tutti i fronti di guerra di tutte le truppe?
Tre giorni prima che uscisse il vostro appello, il segretario del PRC Giordano
aveva annunciato che, una volta approvato il decreto, Rifondazione avrebbe
fatto partire il movimento per il ritiro delle truppe (e cioè contro il
decreto: la paraculaggine italica non ha limiti, con una mano faccio la buca
con l'altra la riempio). Fate da battistrada? E' un caso che il promotore e
primo firmatario dell'appello sia chi, ieri leader di movimento, oggi è un
accasato parlamentare europeo del PRC?
Trovo infine di pessimo gusto usare la straordinaria e terribile esperienza
comune di Genova per lanciare una iniziativa che si pretenderebbe unitaria e
che invece si incunea tra due mobilitazioni di piazza per fermare il decreto e
la guerra QUI ed ORA, che, per quanto con numeri limitati o da voi non
condivise, non vanno sbeffeggiate. E' come se, mentre ci si accinge a fare uno
sciopero, qualcuno/a dicesse che non lo farà ma ci invitasse a discutere il
giorno prima dello sciopero di un altro da tenere tra tre mesi.
Ragazzi/e, meglio una polemica aspra che la melassa degli amici del "governo
amico". Le ipocrisie da furbetti del Movimentino non ci restituiranno il
movimento.
Piero Bernocchi
______________________________
LETTERA/APPELLO AFGHANISTAN - RIPARTIRE DA GENOVA
Avvertiamo l`urgenza e la necessità di costruire un percorso collettivo con un
obiettivo semplice e preciso: il ritiro delle truppe militari italiane
dall`Afghanistan, teatro di una guerra sanguinosa e potenzialmente infinita.
Obiettivo indicato da tutto il movimento fin dal 2001 e ribadito dai Forum
sociali mondiali di Bamakò e Caracas e dal Forum sociale europeo di Atene. Il
decreto del governo per il rifinanziamento della missione italiana in
Afghanistan introduce elementi di cosìddetta «riduzione del danno» ma non può
essere certo considerato un risultato adeguato, infatti non parla di ritiro.
D`altra parte il movimento per la pace attraversa un momento di affaticamento,
e noi, che di questo movimento ci sentiamo parte, crediamo sia necessario
investire al più presto ogni energia possibile per un suo rilancio,
nell`autonomia che è elemento costitutivo della sua stessa esistenza. La pace e
la guerra sono un terreno troppo importante perché su di esso si scatenino
vecchie e nuove concorrenze fra componenti e anime della così detta sinistra
«radicale», sia nelle aule parlamentari, sia nei movimenti sociali. Non è il
momento di polemizzare con chi ci siede vicino ma di impegnarci per far sì che,
dopo l`Iraq, il 2006 sia effettivamente l`anno della decisione sull`uscita delle
nostre truppe dall`Afghanistan. In questi giorni molte voci chiedono di non
mettere a rischio la tenuta del nuovo governo, e di subordinare a ciò il ritiro
delle truppe dall`Afghanistan.
Siamo quindi ben consapevoli della situazione di grande difficoltà nella quale
si trovano i parlamentari pacifisti. Siamo certi che, se potesse pronunciarsi,
gran parte del popolo dell`Unione, e non solo la «sinistra radicale»,
sceglierebbe ambedue gli obiettivi: la tenuta del governo e l`uscita
dell`Italia dalla guerra afghana. Se potesse scegliere. Esiste infatti un
problema di democrazia e partecipazione: perché non s`interpella direttamente
il popolo dell`Unione sulla missione in Afghanistan? Quello stesso popolo che è
stato chiamato a pronunciarsi sul leader. Scegliere se partecipare o meno ad una
guerra è forse meno importante? Siamo certi che la risposta di pace sarebbe
ancora una volta chiara. La scelta tra pace e guerra è per noi costitutiva del
nostro modo d`intendere la politica, il terreno principale sul quale unità e
radicalità si incontrano. Se è giusto non sottrarsi alle responsabilità di
governo, e noi ne siamo convinti, è altrettanto necessario stare al governo in
maniera differente. Partecipare al governo e partecipare ad una guerra non sono
due scelte obbligatoriamente tra loro vincolate.
Continuiamo ad impegnarci perché questo obiettivo possa essere raggiunto nei
prossimi giorni, pur sapendo che oggi questo non dipende solo da noi,
considerato l`alto grado di condivisione che tale obiettivo richiederebbe nella
coalizione. Ma già da oggi possiamo scegliere di impegnarci per costruire
mobilitazioni in grado, per dimensioni e qualità, di ottenere, il definitivo
ritiro di tutte le truppe italiane dall`Afghanistan. Vorremmo proporreai
movimenti, alle reti, alle associazioni democratiche, alle tante singole e
singoli incontrati in questi anni di tornare a lavorare assieme nei prossimi
mesi, attraverso tappe condivise, per costruire una mobilitazione la più ampia
possibile capace di ottenere dal Parlamento entro il 2006 l`approvazione di una
strategia di uscita dalla guerra. Possiamo ripartire proprio da Genova, da dove
cinque anni fa il movimento dei movimenti lanciò la sua sfida contro la guerra
senza se e senza ma.
Proponiamo di incontrarci in occasione delle giornate di luglio
nell`anniversario del G8 a Genova sabato 22 luglio alle 9,30 (luogo in via di
definizione).
Primi firmatari:
Vittorio Agnoletto, Mario Agostinelli, Marco Bersani, Antonio Bruno, Donatella
Della Porta, Tommaso Fattori, Alessandra Mecozzi, Emilio Molinari, Andrea
Morniroli, Tonino Perna, Riccardo Petrella, padre Giuseppe Pirola,
Anna Pizzo, Raffaele Salinari, Gigi Sullo, Danilo Zolo.