[NuovoLab] Dell’Olio sull’Afghanistan: «L’accordo? E’ riduzi…

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Autor: antonio bruno
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A: aderentiretecontrog8
CC: forumgenova, forumsociale-ponge
Assumpte: [NuovoLab] Dell’Olio sull’Afghanistan: «L’accordo? E’ riduzione del danno»
liberazione 29 giugno 2006

Intervista all’ex coordinatore di Pax Christi, autore dell’appello
all’Unione per il ritiro
Don Dell’Olio sull’Afghanistan: «L’accordo? E’ riduzione del danno»
Stefano Bocconetti
E’ uno di quelli che ha buttato giù, che ha scritto insomma, l’appello
all’Unione perché non fosse rifinanziata la missione in Afghanistan. Il suo
è il secondo nome in testa all’elenco dei firmatari di quell’appello, dopo
don Ciotti e prima di Gino Strada e Alex Zanotelli. E’ stato fino a ieri il
coordinatore italiano di Pax Christi, ora è responsabile dell’area
internazionale di Libera. Don Dell’Olio è allora la persona giusta per
valutare l’accordo che si profila fra le fila del centrosinistra.

«Hai detto bene: accordo che si profila. Magari fra un minuto saremo
smentiti…».


Intanto si può valutare quel che c’è. E l’intesa di massima dice che i
soldati diminuiranno, che non saranno inviati al Sud dell’Afghanistan e che
le operazioni italiane a Kabul saranno sotto l’osservatorio di un organismo
parlamentare. Basta? Ti bastano queste cose?

Vedi, io sono abituato a dare un giudizio su quel che accade, provando
innanzitutto a capire da dove si partiva e, soprattutto dove si vuole
arrivare.


E da dove si partiva?

E’ sotto gli occhi di tutti. Si è partiti dalla richiesta americana -
richiesta che si è fatta via via più pressante e che, a quel che si legge,
è ancora molto pressante in queste ore -, si è partiti, dicevo, dalla
richiesta statunitense di aumentare il contingente in uomini e mezzi. Si è
partiti dalla pretesa americana di avere a disposizione aerei da guerra,
gli Amx, e di impiegare i soldati italiani in nuove offensive militari, nel
Sud del paese.


Si è partiti da qui, per arrivare invece?

Ad un documento che è un passo, un piccolo passo ma nella direzione giusta.
Certo, non è definita una exit strategy, quella che avevamo richiesto. Ma
si riduce la presenza militare e in qualche modo ci sono i primi segnali di
un nuovo modo di concepire la nostra politica internazionale. Legandola al
rispetto dell’articolo 11 della Costituzione. E legandola ad un ruolo nuovo
dell’Onu, riformato democraticamente. Perché credo che nessun pacifista
abbia interesse a ridurre il ruolo dell’organismo sovranazionale,
ripiombando nel buio di una giungla senza giurisprudenza internazionale.


Insomma, secondo te, anche quel documento conterrebbe i famosi «elementi di
discontinuità», di cui tanto si parla?

Assolutamente sì.


Mi spieghi meglio.

C’è discontinuità, per tre motivi. Primo: il contingente verrà
ridimensionato, nonostante le potenti richieste in senso contrario.
Secondo: finalmente - penso all’Iraq ma penso anche alle richieste perché
sia messa fine alla vergogna di Guantanamo - comincia a delinearsi un ruolo
dell’Italia nel mondo non solo ispirato alla logica della subordinazione
verso i potenti. Terzo: è previsto un osservatorio interparlamentare per
monitorare quel che avviene in Afghanistan. Ed è secondo me una delle parti
più importanti dell’intesa. Ammesso - ti ripeto - che resti quel testo che
si legge sui giornali.

Stefano Bocconetti
Perché è così rilevante la commissione?

E’ importante ma lo potrebbe essere ancora di più. Se per esempio quella
commissione venisse aperta alle organizzazioni non governative, al
volontariato, alla società civile. Ai movimenti pacifisti, ai loro
rappresentanti. Sarebbe assai significativo. Sarebbe la prima volta che si
decide un monitoraggio in un teatro di guerra, si darebbe voce e
legittimità a chi lavora per far finire davvero la guerra.


C’è tanto, dici. Ma tanto altro manca. Per capire: tu come definiresti quel
che accade in Afghanistan?

La risposta non è difficile: lì è in corso una guerra. Una guerra
accompagnata da tanti aggettivi - giusta, preventiva e via dicendo - ma si
tratta semplicemente di una guerra. Avviata senza legittimazione
internazionale, che è arrivata solo dopo. Avviata con una sola vera
giustificazione: la vendetta.


E quella guerra continua?

Sì, continua.


E allora? Il documento non dice che l’Italia si ritirerà da quella guerra.

E’ per questo che io parlo di male minore.


Una sorta di riduzione del danno?

Esattamente. E’ il male minore, e ti assicuro che non è poco. Soprattutto
se valuti quel che accade con gli occhi degli afghani, di chi la guerra la
subisce. Viste le condizioni di partenza, è, insomma, un piccolo risultato.
Che diventa qualcosina in più, perché va nella direzione giusta.


Tu sai che proprio in queste ore, in Rifondazione e in altre formazioni
della sinistra si manifestano dissensi sulla vicenda Afghanistan. Qualcuno
dice che il rifiuto della guerra non può essere affrontato solo con gli
strumenti della politica. Perché investe temi etici. Che ne pensi?

Che da cattolico, che da cattolico militante ho una certa sensibilità sui
temi etici. E la mia etica mi dice che è giusto fare di tutto per dare un
panino a chi ha fame. Ma se non ce la faccio a dare quel panino, è meglio
che glie ne dia almeno una metà. Piuttosto che nulla.


Altre obiezioni. Da altri versanti. C’è chi sostiene che questo fosse il
massimo di compromesso possibile, visto e considerato che dalla scena
politica, ormai da molto tempo, il movimento, lo straordinario movimento
per la pace degli anni sorsi, è quasi scomparso. Tu che ne pensi?

Dico che sono sempre sospettoso verso chi valuta lo stato di forma del
movimento pacifista solo dalle manifestazioni di piazza. Non è così. Non è
così per tanti, per moltissimi. Che pensano al loro impegno pacifista come
ad un impegno quotidiano, fatto del lavoro di ogni giorno. Per aiutare chi
subisce la guerra, per provare a fermare chi la organizza.


Visto che ci siamo: quale pensi debba essere un corretto rapporto fra la
politica e i movimenti?

Un mese fa, assieme agli altri firmatari dell’appello siamo stati ricevuti
dal Presidente della Camera. Abbiamo discusso con lui, e ci siamo trovati
d’accordo su molte cose. Su una soprattutto: c’è bisogno di un “tavolo”, e
se non ti piace questa parola chiamolo uno spazio, dove le istituzioni e i
movimenti possano parlarsi. Possano e debbano provare a capirsi. Forse
anche - perché no? - a collaborare. E ritorno a parlare dell’osservatorio,
dell’osservatorio sull’Afghanistan. Se c’è la volontà, può diventare
un’occasione per confrontarsi. Per noi, può essere l’occasione per far
avanzare la cultura della pace.