[NuovoLab] Afghanistan, perché ritirarsi

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il manifesto 25.6.06

Afghanistan, perché ritirarsi
Paolo Cacciari
Franco Russo *
Caro Vittorio (ndr riferimento all'articolo di Agnoletto pubblicato a pag.
2 sul manifesto di giovedì 22 giugno), grazie per il pensiero.
Siamo due di quei «pacifisti», nonviolenti, obiettori, disubbidienti... che
«ora siedono in parlamento, che hanno votato la fiducia al nuovo governo,
ma che ora rischiano seriamente di non poterla confermare su un
provvedimento che chiedesse agli italiani nuovi «crediti» per la missione
militare in Afghanistan.
Le ragioni sono - tra noi e per noi - note. L'invasione punitiva dopo l'11
settembre 2001 era immotivata e controproducente; tant'è che poi è venuto
l'Iraq e la lista dei paesi infedeli si allunga.
Sotto l'occupazione militare non ci potrà mai essere vera pacificazione. I
modelli di convivenza democratica tra le genti sono processi endogeni o non
lo sono affatto.
Non c'è margine possibile di collaborazione nello stesso territorio tra la
guerra («enduring freedom» degli Stati uniti) e le missioni di peacekeeping
(comprese quelle Isaf guidate dall'Alleanza Atlantica sotto l'egida
dell'Onu). La Somalia insegna qualcosa.
Ricordati i lutti, le miserabili mistificazioni, lo sperpero di denari e
tutte le altre conseguenze della guerra, la domanda che dobbiamo farci è
sempre la stessa: cosa in coscienza debba fare ognuno di noi, nelle sue
indubbie diverse possibilità e responsabilità, per rimanere coerente con sé
stesso e allo stesso tempo far agire le proprie convinzioni.
In molte occasioni è capitato ad ogni pacifista convinto di essere
costretto dalla durezza e urgenza della realtà a non poter far altro che
manifestare la propria testimonianza.
Ma anche in quelle occasioni, per esempio, bloccare un treno di carri
armati per una notte, c'è un valore emblematico utile a far crescere la
presa di coscienza anche di coloro che in quel momento «dormivano». In
tutta sincerità, abbiamo sperato che questa volta ci sarebbero state delle
condizioni favorevoli e tali da poter ottenere di più; un inizio di
cambiamento nelle politiche dello stato italiano non solo in Iraq.
Ci siamo forse illusi, ma continuiamo a sperare che il Presidente del
Consiglio e tutta l'Unione capiscano le nostre motivazioni e fermino quegli
aerei e quelle truppe in modo da riflettere e approfondire le reciproche
ragioni, coinvolgendo davvero partiti, associazioni cittadini, elettori..
Confidiamo anche noi su un dato di fatto: «la seconda potenza del mondo»,
il popolo delle bandiere della pace, i giovani che hanno rianimato la
politica da noi come in Spagna, in Europa come negli stessi Stati uniti,
non si sono affatto squagliati e non credo vogliano farsi rappresentare
solo dal nostro drappello di «pacifisti radicali», né solo dai portavoce
politici e nemmeno dai padri spirituali del «movimento».
Se avessero votato solo comunista e verde non avrebbero riempito quelle
piazze, né credo abbiano cambiato idea sull'uso delle armi civilizzatrici,
compassionevoli, umanitarie.
Se così fosse non avremmo una grande considerazione dei nostri compagni e
compagne di strada, di marcia, di veglia.
Non chiederemo in Parlamento a Romano Prodi e al suo nuovo partito
democratico di farsi convincere da noi e nemmeno dalla spilletta di
Bertinotti.
Chiediamo all'opposto di ascoltare i loro giovani, le loro donne, i loro
militanti.
La fine delle missioni militari di fiancheggiamento agli Usa non è un
piacere che chiediamo per Rifondazione.
E se sconfitti saremo non sarà una sconfitta solo nostra, ma di tutto il
movimento e, soprattutto, di quelle popolazioni arabe e del sud del mondo
la cui alternativa che l'Occidente gli propone è passare da una oppressione
ad un'altra.

* deputati di Rifondazione Comunista