[NuovoLab] report di Alessandra Mecozzi dal processo Diaz

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Ritorno alla Diaz
Alessandra Mecozzi, Ufficio Internazionale FIOM-CGIL
Osservatorio internazionale sui processi Genova 2001

Genova, 21 giugno 2006

Sono passati cinque anni da quella notte del 21 luglio 2001, quando arrivai
di corsa in macchina insieme ad un altro compagno della Fiom nazionale,
Lello Raffo, alla Scuola Diaz. Avevamo appena capito dalla televisione in
albergo, (dove eravamo rientrati tardi in diversi, dopo una lunga attesa in
ristoranti affollatissimi) che in quella Scuola, approdo notturno per tanti
giovani, stava succedendo qualcosa di terribile; avevamo capito che la
grande manifestazione, sconvolta da ulteriori violenze poliziesche, non era
stata la conclusione di quelle giornate belle ed emozionanti per la grande
partecipazione, terribili per le violenze e l'uccisione del ragazzo Carlo.
Ascoltando le parole dei due giovani, Morgan e Sherman, tornati a Genova
dall'Oregon per testimoniare sulla loro drammatica esperienza alla Diaz (e
poi a Bolzaneto), è come se quelle immagini fisse, indelebili, della Scuola
svuotata da polizia e carabinieri, come l'avevo vista allora, si
popolassero e animassero. Ricordavo una striscia di sangue sul muro e
vicino una piccola pozza di sangue fresco: nel tribunale avevo di fronte
quelli a cui apparteneve questo sangue. Morgan dice infatti che è stata
picchiata in testa e sulle spalle con manganelli duri da poliziotti che
"apparivano enormi, forse per le divise imbottite..." forse per la sorpresa
e la paura essendo svegliata dopo un' ora di sonno da rumori e grida.
Quando il suo compagno Sherman si sposta, lei vede la striscia di sangue
sul muro e capisce che è il suo; lui quando vede sangue per terra prima
pensa che sia del suo vicino, che ha un braccio molto gonfio, poi capisce
che gli esce dalla testa spaccata. Mentre raccontano, vedo la palestra
desolata animarsi di quelle ragazze e ragazzi inginocchiati che fanno il
segno V con le mani alzate, sento il via vai urlante e violento dei
poliziotti, il pianto di una ragazza che chiede di smettere di picchiarla,
e poi vedo i paramedici vestiti di arancione, le treccine di Morgan
tagliate e quel suo rocchetto di filo di ferro sottile per fare i gioielli
(il mio lavoro...) tirato fuori dallo zaino insieme a tante altre cose, poi
buttato. Sento le urla "bastardi", è tutto quello che riesce a capire
Sherman "perché è una parola uguale in tutte le lingue"; vedo Morgan e
Sherman rannicchiati per terra, picchiati in testa, lui anche sui testicoli
(e dice che c'è il rischio che possa rimanere impotente), sulle spalle.
Vengono arrestati e portati via in manette, senza che nessuno gli dica il
perché, quali sono i loro diritti.
Colpisce la distanza tra la precisione, la vivezza dei loro racconti, anche
a distanza di cinque anni, la proprietà delle loro risposte alle domande
del Pubblico Ministero e degli avvocati, e i tanti "non ricordo, non so, è
passato tanto tempo, se ricordo bene, non sono sicuro" delle testimonianze
di due poliziotti (un terzo si avvarrà della facoltà di non rispondere): è
la distanza tra la verità della realtà e l'insostenibile vuoto della sua
rimozione, della volontà della sua negazione; è la distanza tra chi ha
subito la brutalità vendicativa e insensata e chi l'ha agita eseguendo
ordini, o vi ha assistito. E' istruttivo assistere a queste udienze, anche
se tanti elementi sono conosciuti, già letti o sentiti raccontare. E'
istruttivo, per non dimenticare quello che è successo e far valere anche
questi ricordi per affermare verità e giustizia, ancora lontane; per Carlo,
per la sua famiglia e i suoi amici e amiche, per tutte e tutti coloro che,
come Morgan e Sherman hanno pensato all'Italia non solo come luogo di cui
ammirare le bellezze e l'arte (la giovane Morgan non è mai arrivata
all'Università di Siena per il suo corso d'arte…), ma anche quella parte di
mondo in cui far sentire, in quei giorni di luglio, insieme a migliaia di
altre/i un grido contro i potenti G8, per la giustizia nel mondo,
esercitando in tal modo il diritto-dovere di ogni cittadino/a del mondo che
guarda al futuro, perché non vuole rassegnarsi al presente. E' per quello
stesso diritto-dovere che va decisa subito, senza ulteriori rinvii o
tentennamenti, la Commissione di inchiesta in Italia sui fatti del luglio
2001, una delle pagine peggiori della storia recente di questo paese per la
violenza politica e fisica, preordinata e diretta dall'alto da Governo,
vertici di polizia e carabinieri, ma anche una delle migliori in termini di
partecipazione civile e resistente, di un movimento internazionale che in
Italia si manifestò allora per la prima volta. La Commissione d'inchiesta
la si deve alle cittadine e cittadini italiani, ma anche a quel grande
movimento che in Europa e nel mondo continua a guardare all'Italia come a
un luogo di civiltà e passione democratica.