[Forumlucca] I: [decrescita] Il pensiero della decrescita (i…

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Autor: Elena Bertoli
Data:  
Dla: forumlucca
Temat: [Forumlucca] I: [decrescita] Il pensiero della decrescita (intervista ad Alain de Benoist )


-----Messaggio originale-----
Da: Lanfranco Nosi [mailto:lanfranco.nosi@tin.it]
Inviato: sabato 17 giugno 2006 23.53
A: decrescita@???
Oggetto: [decrescita] Il pensiero della decrescita (intervista ad Alain
de Benoist )



>Il pensiero della decrescita (intervista ad Alain de Benoist ) di
>Alessandro Sansoni* [16/06/2006]
>Fonte: Alessandro Sansoni
>
>
>
>Monsieur de Benoist cosa si intende quando si parla di
>decrescita?<?xml:namespace prefix = o ns =
>"urn:schemas-microsoft-com:office:office" />
>
>La decrescita è un’idea che si basa sulla constatazione assai semplice
>da
>farsi che lo sviluppo produttivo non può essere eterno.
>
>Essa individua due problematiche fondamentali: la prima riguarda lo
>stato
>di salute del pianeta ed in particolare il surriscaldamento
>dell’atmosfera, lo scioglimento delle calotte polari che ne consegue,

con
>le annesse catastrofi naturali sempre più gravi e frequenti. Il secondo


>grande problema è il progressivo esaurimento delle materie prime

presenti
>sul nostro pianeta, soggetto all’intenso sfruttamento di due secoli di
>industrializzazione, e, soprattutto, della principale risorsa

energetica
>disponibile, il petrolio.
>
>E’ risaputo che le riserve di petrolio disponibili sono tutt’altro che
>infinite e che la sua estrazione non solo non è costante, ma che, una
>volta raggiunto il suo punto ottimale tende a divenire sempre più
>difficile ed onerosa. La necessità di accaparrarsi gli ultimi

giacimenti
>disponibili ha delle pesanti conseguenze geopolitiche, come dimostra
>l’attuale atteggiamento degli USA, la cui politica estera mira a porre
>sotto controllo i paesi dell’Asia centrale ex-sovietica, dove sono
>collocate importanti riserve ancora non sfruttate.
>
>Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che il petrolio non è utilizzato
>soltanto come combustibile per i mezzi di trasporto, ma che esso è
>indispensabile alla fabbricazione di materiali plastici, dei prodotti
>impiegati nell’agricoltura intensiva ecc. Esso è una risorsa energetica


>praticamente insostituibile.
>
>Pertanto quello della decrescita è un pensiero che si pone in termini
>critici di fronte alla modernità ed al paradigma dello sviluppo ad ogni


>costo, laddove spesso non se ne riconoscono i limiti e le conseguenze
>altamente negative che ne possono derivare.
>
>Occorre però precisare che la decrescita non è la “crescita negativa”,
>né
>una sorta di ritorno al passato, un invito a privarsi di quanto
>l’evoluzione tecnologica ha messo a disposizione dell’umanità. Serge
>Latouche, che ne è lo specialista, la presenta molto bene allorché
>sostiene che si tratta di un problema di mentalità: egli ha coniato
>un’espressione molto efficace, che spiega come il suo fine sia
>“decolonizzare l’immaginario occidentale”, uscendo dal dogma ideologico


>dello sviluppo sempre e comunque.
>
>Dunque il problema che abbiamo di fronte non è solo di tipo economico,
>ma
>anche psicologico…
>
>Direi quasi antropologico… La critica al mondo attuale che pone il
>pensiero della decrescita, non riguarda soltanto i suoi aspetti

concreti e
>“fattuali”, come quelli ecologici ed economici da me messi in evidenza
>prima. Riguarda invece anche l’impianto ideologico della civiltà
>occidentale nella misura in cui si invitano le persone ad uscire dal

ciclo
>infernale della produzione e del profitto a qualunque prezzo… ad uscire


>insomma dal mondo della razionalità mercantile.
>
>Quali sono allora i fondamenti filosofici di questo pensiero?
>
>Il punto di partenza è la rimessa in discussione di quella che io
>chiamo
>“l’antropologia dell’illuminismo”, che intende l’uomo innanzitutto come


>individuo, dissociato dalle sue appartenenze, dalla sua comunità, dalla


>sua eredità spirituale ed identitaria. L’individuo viene così

immaginato
>come rivolto interamente all’appagamento dei suoi istinti egoistici.

Viene
>identificato come quell’ente che mira a possedere sempre di più. Ora,
>avere di più è l’esatto opposto dell’essere qualcosa di più: stiamo
>parlando insomma della classica opposizione tra essere e avere. Questa
>mentalità si è diffusa in modo sempre più veloce in Occidente prima con

la
>rivoluzione industriale e poi con l’avvento della società consumista.

Il
>“demone” della mentalità economicista fa sì che niente abbia più valore

in
>sé e che tutto ciò che no n è valutabile e calcolabile sotto il profilo


>contabile e monetario non abbia importanza o, semplicemente, non

esista.
>
>Attraverso la teoria della decrescita si può invece lanciare un appello


>a
>porre su basi diverse le ragioni della nostra esistenza, uscendo dalla
>smania di possedere sempre più cose, resa ancora più frenetica
>dall’obsolescenza calcolata dei prodotti in commercio che ne impone
>l’acquisto sempre di nuovi e dalla pubblicità che propone assurdi

modelli
>di comportamento sociale.
>
>Oggi siamo abituati a credere che lo stato normale della società sia
>quello di rincorrere uno sviluppo economico sempre maggiore. La storia,


>però, ci insegna in modo assai puntuale che tale modello ha una sua
>collocazione geografica e cronologica molto precisa.
>
>E’ molto difficile però convincere le persone a modificare il proprio
>modo
>di pensare…
>
>E’ vero. Latouche, ad esempio, vede la civiltà industriale e
>progressista
>come una “megamacchina” che funziona instancabilmente e va sempre

avanti,
>senza conoscere la sua destinazione. Tutti noi, senza saperla

controllare,
>siamo imbarcati su questa macchina, la cui potenza viene ingigantita

dalla
>globalizzazione. La globalizzazione, infatti, non è soltanto il
>perfezionamento dei sistemi di comunicazione informatica o

l’omologazione
>di tutte le culture che ne deriva; essa è soprattutto l’instaurazione a


>livello mondiale del regno del mercato. Essa mira tendenzialmente alla
>trasformazione del pianeta in un unico mercato e di conseguenza a
>sradicarne le identità particolari. Ma cosa si può fare?
>
>Latouche fa leva sulla “pedagogia della catastrofe”, ovvero egli
>sostiene
>che l’imminente apocalisse cui ci conduce lo sviluppo dissennato ci
>imporrà un’inversione di rotta… Io trovo, tuttavia, che si tratti di un


>modo semplicistico di argomentare… Infatti nonostante l’attuale miseria


>affettiva - da cui derivano il diffondersi delle sindromi depressive e
>l’uso di droghe - la crisi di produzione, la crisi di socialità, la

crisi
>della rappresentatività della politica, la crisi occupazionale, i

disastri
>ambientali, sembra quasi impossibile far comprendere alla gente che si

può
>sostituire l’attuale modello di civiltà basato sul sempre più.
>
>Forse perché le argomentazioni di tipo utilitaristico sono troppo
>deboli,
>forse perché servono formule diverse, imperniate sui valori, magari

sulla
>forza persuasiva della religione… Il Cattolicesimo può giocare un ruolo

in
>questo senso?
>
>Per secoli la religione ha fornito agli uomini risposte ai più
>fondamentali interrogativi relativi alla ragioni della nostra

esistenza,
>ma credo purtroppo che oggi vi sia un usura di questo tipo di risposte.
>
>E’ noto che nei paesi occidentali le strutture religiose sono affette
>dalla stessa crisi che colpisce i partiti, i sindacati e tutte quelle
>identità collettive intermedie che cementano il legame sociale. In

Francia
>il numero dei praticanti cattolici è al di sotto del 5%. La separazione


>tra Stato e Chiesa, il diffondersi del laicismo, sono fenomeni a mio
>avviso irreversibili: ciò significa che gli stessi credenti, i più
>convinti, non sperano più in una società governata dalla Chiesa e dai

suoi
>valori. Penso quindi che il ricorso alla religione non possa essere una


>soluzione collettiva. Può essere, beninteso, una soluzione individuale,

ma
>non una proposta politica.
>
>Io sono d’accordo col Papa quando parla contro la mercificazione,
>approvo
>l’idea di sussidiarietà e <?xml:namespace prefix = st1 ns =
>"urn:schemas-microsoft-com:office:smarttags" />la Dottrina sociale

della
>Chiesa, ciononostante non credo che essa sia in grado di fornire

risposte
>politiche.
>
>Ritengo si debbano trovare altre strade, valide per i credenti come per


>i
>non-credenti, in quanto anche questi ultimi sono sensibili al problema

di
>trovare un senso alla loro presenza sulla terra.
>
>Lei ha più volte citato Latouche, di cui è nota la formazione
>gauchiste,
>come il maitre à penser della decrescita. Ma la decrescita è di

sinistra?
>
>La decrescita è un’idea che oggi è sostenuta soprattutto a sinistra, ma
>certo non all’unanimità. Anche tra gli ambientalisti e gli
>alter-mondialisti i più sostengono, in particolar modo in relazione al
>Terzo Mondo, che per risolverne i problemi occorre più crescita, più
>sviluppo, accanto ad una migliore redistribuzione della ricchezza,

secondo
>i dettami della dottrina marxista classica. Lo stesso vale a maggior
>ragione per la sinistra istituzionale, che ormai ha abbracciato in

pieno i
>principi dell’economia di mercato.
>
>Il punto è che la decrescita critica il fondamento principale della
>modernità, ossia l’ideologia del progresso e l’ideologia del progresso

è
>storicamente alla base del progetto politico della sinistra. Insomma la


>sinistra che reclama la decrescita è già qualcosa di totalmente

differente
>dalla sua matrice politica d’origine ed è un sintomo evidente della
>rimessa in discussione delle vecchie etichette destra-sinistra.
>
>A proposito di destra, l'ex ministro all'Agricoltura, Giovanni
>Alemanno,
>tra i più sensibili di tale parte politica in merito, ha di recente più


>volte fatto riferimento alla necessità di cercare “modelli di sviluppo
>differenziato”. Ritiene possa considerarsi una formula politicamente
>credibile e in grado di rendere politicamente spendibile il messaggio
>della decrescita?
>
>Penso si tratti di una buona formula…un modo per uscire dal modello
>unico…
>Occorre però darle concretezza. Mi chiedo se un’azione in questa

direzione
>sia efficacemente perseguibile da un uomo politico che partecipa ad una


>coalizione fondata sui principi del liberalismo classico. Io stimo

molto
>il ministro Alemanno, ma credo che la sua non sia una posizione facile.
>
>Oggi, purtroppo, in Europa il politico liberale è percepito come il
>politico di destra per antonomasia. Ma storicamente noi sappiamo che il


>liberalismo è nato a sinistra e che i suoi postulati ideologici –
>utilitarismo, individualismo – sono stati in passato rigettati dalla
>destra. Bisogna dunque ricordare che la destra liberale non è tutta la
>destra, anche se essa è oggi maggioritaria.
>
>Tra i critici della decrescita vi sono molti fautori
>dell’Europa-potenza i
>quali ritengono che una simile opzione ideologica indebolirebbe

l’Europa
>nel confronto con gli Stati Uniti. Lei è da sempre sensibile al

problema
>della libertà del nostro continente dall’egemonia americana, cosa

risponde
>loro?
>
>Conosco molto bene questo ragionamento, ma non lo condivido.
>Personalmente
>sono un fautore tanto dell’Europa-potenza che della decrescita.
>Quest’ultima viene spesso intesa in termini caricaturali, come un
>improponibile ritorno al passato. Secondo me è invece un progetto a

lungo
>termine ed un problema di mentalità. Coloro che vedono le due cose in
>contraddizione sbagliano a mio avviso nel considerare il concetto di
>potenza seguendo il modello USA.
>
>Potenza non significa soltanto produrre di più o avere un esercito più
>forte; è anche una questione di identità, di definizione del ruolo
>dell’Europa, di sapere se essa vuole essere un modello alternativo di
>civiltà ed un polo di regolamentazione della globalizzazione. Occorre
>quindi non vedere la decrescita in modo caricaturale, né la potenza
>secondo un modello univoco.
>
>Quando si verificheranno i grandi disastri ambientali, quando il
>sistema
>monetario attuale entrerà in crisi, quando il petrolio si esaurirà, i
>paesi realmente “potenti” saranno quelli che avranno introdotto un po’

di
>moderazione e di frugalità nel loro modo di vivere. Quelli che invece

si
>saranno ostinati a conservare un sistema drogato e insostenibile
>mostreranno tutta la loro fragilità.
>
>
>
>
>
>*Invitato a Napoli il 23 febbraio dall’editore Guida e dal Prof.
>Agostino
>Carrino, rispettivamente editore e curatore del suo nuovo libro

Identità e
>comunità, abbiamo approfittato dell’occasione per intervistare Alain de


>Benoist e fare assieme a lui il punto sul dibattito relativo al

pensiero
>della decrescita.



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