[RSF] newsletter n. 32

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Autor: Antigone
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Para: Undisclosed-Recipient:;
Assunto: [RSF] newsletter n. 32
In questo numero:



a.. L'editoriale di Stefano Anastasia: Una nuova stagione politica

b.. Migranti in Italia, quale futuro di Gennaro Santoro

c.. Il Vaso di Pandora: l'Osservatorio regionale del Piemonte e della Valle d'Aosta di Giovanni Torrente

d.. Criminalità economica di Claudio Sarzotti

e.. Le Iniziative di Antigone a cura della Redazione

f.. Segnalazione della Redazione




ANTIGONEONLUS




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ANTIGONE ONLUS
per i diritti e le
garanzie nel sistema penale



La newsletter di Antigone è a cura di Nunzia
Bossa e Patrizio Gonnella - Numero 32 (Giugno 2006)
 
                                        
 In questo
numero:                                          

 


L'editoriale di Stefano Anastasia: Una nuova stagione
politica

Migranti in
Italia, quale futuro di Gennaro Santoro

Il Vaso di Pandora: l'Osservatorio regionale del Piemonte e della Valle d'Aosta
di Giovanni Torrente

Criminalità economica di Claudio
Sarzotti

Le Iniziative di Antigone a cura
della Redazione

Segnalazione della
Redazione
 


 

 


 
 
 
 
 
 
 
 




L’EDITORIALE: Una nuova stagione politica*
di
      Stefano Anastasia


 
Passato l’ingorgo istituzionale, la XV
      legislatura e il secondo Governo Prodi iniziano la loro avventura. Con 
      loro inizia il ‘dopo-Berlusconi’ e, per quanto ci riguarda, il 
      ‘dopo-Castelli’, il ‘dopo-Fini’ e il ‘dopo-Giovanardi’. Debutta una nuova 
      stagione politica, eppure ci si muove a tentoni. Il quadro politico, si 
      sa, non è quello previsto fino a poche settimane prima delle elezioni: la 
      nuova legge elettorale da una parte, e il genio politico di Berlusconi 
      dall’altra, hanno ridotto al lumicino la maggioranza parlamentare di 
      centro-sinistra. Che ne sarà delle innumerevoli pagine del programma 
      dell’Unione? Quanti di quegli impegni saranno mantenuti? La risicata 
      maggioranza sarà un alibi per l’inerzia o l’occasione per una maggiore 
      compattezza e fedeltà a quel minimo comune denominatore programmatico 
      sottoscritto a inizio anno? Sono questi gli interrogativi aperti in questi 
      giorni.

Certo è che una rilevanza particolare
      avrà la qualità del Governo e la direzione politico-amministrativa delle 
      sue strutture. E’ finanche banale dirlo: con quei numeri in Parlamento, la 
      capacità di gestire e indirizzare la macchina amministrativa in senso 
      riformatore è essenziale. Lo è sempre, nel breve come nel lungo periodo, 
      se non si vuole appendere le riforme alla statica eleganza del dover 
      essere. Lo è particolarmente in questa fase, quando si cercano segnali di 
      cambiamento che il Parlamento solo nel tempo, e a fatica, sarà in grado di 
      dare. Non a caso Antigone ha voluto dedicare il suo primo incontro 
      post-elettorale alla riforma dell’amministrazione penitenziaria e alla sua 
      capacità di rispondere alla funzione che le attribuisce la Costituzione, 
      laddove stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione del 
      condannato. D’accordo Sandro Battisti (Margherita), che sottolinea la 
      necessità di distinguere le politiche le politiche di sicurezza e di 
      contrasto della criminalità da quelle dell’esecuzione penale, mentre 
      Massimo Brutti non ha timore a sbilanciarsi fino a dire che nella gestione 
      delle carceri il centro-sinistra si giocherà gran parte delle sue cartucce 
      sul versante della giustizia penale. Staremo a vedere.

Intanto, riparte la discussione sulla
      possibilità di varare un provvedimento di clemenza, capace di alleggerire 
      la pressione del sovraffollamento penitenziario e di dare un segnale di 
      inversione di tendenza nelle politiche penali. Giustamente Romano Prodi, 
      rispondendo alle sollecitazioni di Marco Pannella, dice che questo è il 
      momento giusto, a inizio di legislatura, lontano da ricatti elettorali. 
      Solo ora infatti le armi degli imprenditori politici dell’insicurezza, 
      degli sciacalli della paura della criminalità, sono spuntate, 
      impossibilitate a generare la corsa al ribasso che ha fatto naufragare i 
      recenti e ripetuti tentativi di raggiungere il più alto quorum 
      parlamentare, quello che non è richiesto per l’elezione del presidente 
      della repubblica, dei presidenti dei due rami del parlamento, dei giudici 
      costituzionali, né tanto meno per le riforme della costituzione, ma è 
      imposto al varo di qualsiasi provvedimento generalizzato di clemenza. 
      L’avevamo detto all’indomani dell’ultimo naufragio, dopo la marcia di 
      Natale e la convocazione straordinaria della Camera alla vigilia di San 
      Silvestro: un provvedimento deflativo della popolazione detenuta è una 
      necessità irrinunciabile del nostro sistema penitenziario, se non si vuole 
      mandare alle ortiche anche il secondo dei principi costituzionali in 
      materia di esecuzione penale, e cioè che le pene non possono consistere in 
      trattamenti contrari al senso di umanità. Lo sa bene il nuovo Presidente 
      della Repubblica, che per la sua ultima manifestazione di piazza, nel 
      dicembre scorso, scelse proprio la marcia di Natale per l’amnistia. Alle 
      forze politiche spetta la responsabilità di riconoscere questa urgente 
      necessità, ne va della loro credibilità e autorevolezza. Unione, Forza 
      Italia e Udc (le forze disponibili a discutere di una simile, impegnativa 
      scelta) in questa legislatura fanno i due terzi di ciascuna camera. Non 
      resta che metterle alla prova dei fatti.

Fondata, del resto, è la
      preoccupazione di quanti richiamano l’attenzione sui fattori di 
      accumulazione di un simile sovraffollamento penitenziario (che, giova 
      ricordarlo, non ha precedenti nella storia dell’Italia repubblicana). E 
      allora il Parlamento dovrà fare i conti con le tre terribili leggi della 
      passata legislatura: la legge Cirielli contro i recidivi, la legge 
      Bossi-Fini contro gli immigrati e quella Fini-Giovanardi contro i 
      consumatori di droghe. Lo ricordava il neo-presidente dei senatori di 
      Rifondazione comunista Giovanni Russo Spena, all’indomani dell’annuale 
      appuntamento della 
Million marijuana march. Per ora sulla
      popolazione detenuta sono visibili solo gli effetti della legge 
      sull’immigrazione: nel corso del 2005, 9.000 sono stati gli ingressi in 
      carcere per il mancato allontanamento dal territorio italiano di immigrati 
      soggetti a provvedimento di espulsione perché privi di titolo di 
      soggiorno; più di tremila dei sessantamila detenuti sono in carcere in 
      virtù di questo reato senza vittime, conseguente alla trasgressione di un 
      diktat amministrativo. E sono attesi come fiumi in piena gli effetti della 
      legge Cirielli e del decreto Fini-Giovanardi, approvati agli sgoccioli 
      della legislatura e a regime da poche settimane. Servirà dunque una 
      capacità di iniziativa e di confronto parlamentare, per cancellare queste 
      vergogne e per spostare più avanti la barra della legislazione in materia. 
      Si pensi solo alla proposta del cartello ‘dal penale al sociale’, 
      prontamente riproposta da Marco Boato, che farebbe giustizia non solo 
      delle oscenità della Fini-Giovanardi, ma anche delle stesse ambiguità 
      della legislazione precedente. Il sentiero è stretto, ma non bisogna 
      disperare della capacità di mantenere in parlamento gli impegni presi in 
      sede programmatica (riforma del codice penale, della legislazione sulla 
      droga e sull’immigrazione, istituzione del Garante nazionale dei diritti 
      delle persone private della libertà, ecc.) e magari anche della 
      possibilità di conseguire maggioranze più ampie di quella governativa: con 
      il passaggio all’opposizione, gruppi e singoli parlamentari del 
      centro-destra possono liberarsi del ricatto leghista e fascista che nella 
      passata legislatura ha imposto, p. es., la nuova legge sull’immigrazione e 
      ha impedito l’istituzione del Garante dei diritti delle persone private 
      della libertà. Una legislatura difficile, insomma, ma ancora tutta da 
      scrivere.

 
   *
      L'articolo è tratto dall'ultimo numero di Fuoriluogo

 

 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Miganti in Italia, quale
      futuro

di Gennaro Santoro
 
Il dibattito sulla regolarizzazione, il programma
      dell’Unione e la questione CPT: immediata chiusura o 
      superamento?

Finalmente! Una ventata di speranze giunge dal nuovo
      Ministro della Solidarietà Sociale Ferrero che prospetta la 
      regolarizzazione dei migranti in fila alle poste nel marzo scorso ed una 
      nuova politica dell’immigrazione attenta al sociale e all’inclusione, che 
      riduca ad extrema ratio l’intervento repressivo dello stato nei confronti 
      dei migranti favorendo politiche di ingresso e permanenza regolare. Una 
      politica che, a detta del neoministro, permetterà di ‘superare i CPT’ e 
      che viene lanciata in occasione della visita al CPA di Lampedusa, dove si 
      assiste all’ennesima farsa di una ‘emergenza clandestini’: come se non si 
      sapesse che col bel tempo di primavera, gli sbarchi – con il loro carico 
      di sofferenze e di morte – diventano numerosi; come se si dimenticassero 
      gli eventi tragici della scorsa primavera fatti di sbarchi e di 
      respingimenti senza pause, senza diritti e senza umanità. Eppure ecco le 
      destre aizzare le masse, accusando il neoministro di ‘favorire’ tali 
      eventi e, sul versante del centro sinistra, il Ministro dell’Interno che 
      cerca di frenare, di abbassare il tiro dichiarandosi favorevole ad una 
      estensione delle quote ma, al contempo, contrario ad una abrogazione 

tout court della Bossi-Fini.
Insomma, nulla di nuovo. Ma con l’importante novità
      di dichiarazioni programmatiche forti,  che sin dall’apertura della 
      nuova legislatura rilanciano con vigore la questione migranti in una 
      chiave opposta a quella cui abbiamo assistito attoniti negli ultimi 5 
      anni.

Una politica che ha investito l’80% delle risorse
      destinate al fenomeno migratorio  alla sicurezza e alla 
      criminalizzazione del migrante, come rilevato criticamente dalla stessa 
      Corte dei Conti nei suoi ultimi bilanci. Eppure nel Consiglio europeo di 
      Tampere dell’ottobre 1999 è stata solennemente affermata la necessità e la 
      volontà di adottare una politica comune dell’immigrazione e 
      dell’asilo  separata dalle questioni di sicurezza e giustizia 
      penale.

In altre parole si è ben capito che la questione
      migranti non può essere risolta sul piano penale e deve essere ricondotta 
      e gestita sul piano sociale, motivo per cui le preoccupazioni mosse dalla 
      destra di un possibile ‘allontanamento dell’Italia dall’Unione Europa per 
      le dichiarazioni di Ferrero’, lasciano il tempo che trovano, rappresentano 
      la solita demagogia della quale la nostra politica non sembra riuscire a 
      fare a meno.

Eppure qualcosa di importante, in occasione della
      redazione del programma dell’Unione, è avvenuta, e le dichiarazioni del 
      neoministro Ferrero devono lasciarci intendere che vi sono chiari segnali 
      perché tale chance non venga gettata alle ortiche.

Il coinvolgimento diretto dei migranti e delle
      associazioni del settore ha permesso la stesura di un documento 
      programmatico inedito, completo e ben articolato. Ora tocca alla società 
      civile diffondere i contenuti del programma, per creare una nuova cultura 
      della cittadinanza c.d. di residenza nella società italiana, nel sapere e 
      nel dire comune, che resta ancorato alla stigmatizzazione del migrante 
      come pericolo per la sicurezza pubblica. Solo una evoluzione della cultura 
      diffusa potrà, per così dire, obbligare i nostri rappresentati a 
      rispettare gli impegni assunti. La famigerata vittoria risicata e la 
      conseguente difficoltà strutturale di realizzare vere e proprie riforme 
      legislative, così come le incertezze che ancora perdurano all’interno 
      dell’attuale maggioranza in ordine ad aspetti di primaria importanza - 
      come è nel caso dei CPT, dove non è ancora chiaro se li si vuole superare 
      o chiudere senza 
se e senza ma, devono vederci impegnati in
      prima linea perché gli aspetti salienti del programma vengano 
      effettivamente condivisi ed attuati.  

In altre parole credo che nel dibattito culturale e
      politico del paese bisognerebbe partire dai punti maggiormente condivisi 
      evitando, almeno in una prima fase, scontri diretti sulle questioni 
      controverse che condurrebbero inevitabilmente all’empasse delle attività 
      istituzionali, con lo scontro tra area moderata e area radicale 
      dell’Unione che l’opposizione già attualmente cavalca come un cavallo di 
      Troia.  

Allora, entrando finalmente nel merito del programma,
      ecco che le prime riforme da fare – accanto all’ampliamento del precedente 
      decreto flussi - dovranno evidentemente riguardare l’abrogazione del 
      contratto di soggiorno e delle altre aberrazioni introdotte dal precedente 
      governo e l’attuazione di una nuova politica degli ingressi e del 
      soggiorno che parta dal corollario secondo il quale “gli stranieri non 
      sono ospiti in prova perenne”, non sono merce di scambio ma titolari di 
      diritti e doveri alla pari del cittadino autoctono. 

Bisognerebbe dunque favorire le vie legali
      all’immigrazione, creando una convenienza all’ingresso regolare, 
      eliminando la finzione dell’incontro a distanza tra domanda e offerta di 
      lavoro e adeguando le politiche degli ingressi alla necessità concreta ed 
      attuale dell’offerta di lavoro. Come viene affermato chiaramente nel 
      programma,  la programmazione dei flussi d’ingresso per lavoro a 
      vocazione stabile deve essere flessibile. Tale flessibilità può essere 
      aumentata tramite: lo scorporo dalla programmazione triennale di alcune 
      categorie di lavoratori, ad esempio collaboratori domestici e di cura, per 
      i quali si può ipotizzare un canale continuativo d’ingresso su domanda; 
      una politica attiva di attrazione di studenti immigrati e professionalità 
      specifiche di alta qualificazione, grazie a pacchetti di sostegno che non 
      si limitino alla concessione del permesso di soggiorno. Per rendere poi 
      meno precaria la presenza e la legalità del soggiorno dei migranti, ovvero 
      per superare la situazione attuale per cui, per il singolo soggetto 
      straniero, è facilissimo passare da una posizione regolare a una 
      irregolare, mentre è praticamente impossibile il percorso inverso, il 
      programma propone una semplificazione dei  meccanismi d’ingresso e 
      stabilizzazione del migrante tramite:


l’introduzione del permesso annuale per ricerca di
        lavoro
, da rilasciare in seguito a
        prestazione di precise garanzie economiche;

la reintroduzione della figura dello
        sponsor
, privato, imprenditoriale o
        istituzionale; 

l’istituzione di un meccanismo di regolarizzazione
        permanente 
ad personam per lo straniero in possesso di
        determinati requisiti; 

la previsione di norme che regolino la possibilità
        di convertire permessi brevi in permessi di lavoro; 

l’introduzione di permessi di soggiorno di durata
        più ragionevole e crescente ad ogni rinnovo.

Sempre nella prospettiva di una sorta di
      “umanizzazione” della normativa relativa allo straniero si propone il 
      passaggio dalle questure (e dalle poste) agli enti locali delle competenze 
      amministrative successive al primo ingresso e l’introduzione di garanzie 
      sui tempi entro i quali devono essere concluse le pratiche, per evitare 
      che le lungaggini procedurali possano creare danni e lesione dei diritti 
      degli interessati. Per altro verso vengono messe in rilievo le politiche 
      dell’integrazione e del welfare, dal potenziamento degli sportelli di 
      orientamento e consulenza legale alle politiche abitative e di contrasto 
      al mercato nero degli affitti, di assistenza socio-sanitaria e di 
      incentivo all’occupazione.

Si passa poi al tema dei diritti civili e politici,
      con la proposta di introdurre finalmente una regolamentazione organica e 
      garantista del diritto di asilo, il riconoscimento del diritto di

voto alle elezioni amministrative, la modifica
      delle regole in tema di acquisizione della cittadinanza, una 
      semplificazione della procedura per l’acquisizione della carta di 
      soggiorno. 

Tutte le riforme menzionate inequivocabilmente
      contribuiscono ad implementare il passaggio da una politica e da una 
      cultura dell’esclusione ad una politica e ad una cultura dell’inclusione e 
      dell’integrazione del migrante nel tessuto sociale italiano. Tali riforme 
      avrebbero poi delle ripercussioni positive anche nel campo della sicurezza 
      e nel sistema delle espulsioni. In primo luogo perché lo status di 
      irregolare diventerebbe l’eccezione e non la regola motivo per cui il 
      fenomeno dell’irregolarità sarebbe ricondotto a dimensioni, per così dire, 
      fisiologiche quindi gestibili in maniera maggiormente adeguata, ovvero 
      rispettosa dei diritti fondamentali. In secondo luogo perché i diversi 
      interventi sul piano del riconoscimento dei diritti civili e sociali 
      inevitabilmente porterebbero da un lato ad incentivare la convenienza ad 
      un inserimento sociale, culturale e lavorativo, e, per altro verso 
      rappresenterebbero un deterrente all’attrazione del migrante nei percorsi 
      della  devianza.

Per questo ordine di ragioni dare priorità a tali
      battaglie non vuol dire accantonare l’idea di chiudere i lager del terzo 
      millennio; vuol dire invece riportare la questione dei migranti dal penale 
      al sociale, delegando ad 
extrema ratio l’intervento coattivo dello
      Stato
.
Le misure individuate nel programma, con l’accordo di
      tutte le parti, per concretizzare il superamento dei CPT, sono le 
      seguenti:

- graduare le misure di espulsione, modulandole sul
      grado di integrazione e situazione personale;

- prevedere sanzioni limitate e un meccanismo
      premiale per l’immigrato irregolare che collabora all’identificazione e al 
      rimpatrio;

- consentire alle autorità di pubblica sicurezza di
      utilizzare misure di sorveglianza di pubblica sicurezza dove il 
      trattenimento non sia necessario.

Dalla introduzione di tali riforme il programma
      postula il c.d. superamento dei CPT, senza entrare nel merito della 
      gestione dei centri fin quando tale fase di (presupposta) transizione 
      persista. Abbiamo già evidenziato che le ragioni di tale genericità sono 
      dettate dalla volontà  politica  di evitare lo scontro tra area 
      moderata e area radicale dell’Unione; ora si tratta di partire dai 
      principi condivisi in tema di espulsione per porre in essere una 
      regolamentazione organica e garantista anche in tema di 
      sicurezza.

A tale proposito ci viene in aiuto l’unico disegno di
      legge
presentato nella precedente legislatura in questo
      specifico ambito, 
promosso
dall’Associazione
      Antigone
e firmato dai rappresentanti di tutte le forze
      dell’Unione nel luglio scorso. 

Il disegno di legge si prefigge di trasformare i CPT
      in luoghi con la funzione (umanitaria) di prima accoglienza dei migranti 
      appena giunti in Italia. Nello stesso tempo prospetta l’abrogazione 
      dell’attuale procedura di espulsione/intimazione coatta sostituendola con 
      una nuova procedura interamente giurisdizionalizzata. In altre parole chi 
      oggi è destinatario di un provvedimento di espulsione o allontanamento 
      potrebbe eccepire l’illegittimità dello stesso innanzi al giudice 
      ordinario (e non più il giudice di pace) e non potrà essere espulso fino a 
      quando non intervenga la decisione dell’autorità giudiziaria. 
      L’accoglimento del ricorso potrà avvenire anche nei casi in cui, pur 
      essendo legittimo il provvedimento d’espulsione, l’interessato adduca 
      ragionevoli motivi che giustificano il soggiorno regolare
nel
      nostro paese (c.d. regolarizzazione permanente); nelle ipotesi di rigetto 
      del ricorso, inoltre, il giudice potrà liberamente determinare il periodo 
      di tempo di interdizione al rientro in Italia, venendo meno la regola 
      secondo cui tale divieto operi di regola per un periodo di 10 anni o, 
      eccezionalmente, per almeno 5 anni. A tutela dell’ordine pubblico e della 
      effettività delle espulsioni legittime viene introdotta la misura della 
      sorveglianza speciale – disposta dal questore con decreto motivato e 
      sottoposta alla convalida del giudice entro 48 ore - ossia, l’obbligo per 
      chi è destinatario di un provvedimento espulsivo di dichiarare un 
      domicilio dove dovrà rendersi reperibile in determinate ore del giorno; in 
      via sussidiaria, ossia, per chi non abbia alcun luogo dove poter eleggere 
      domicilio, quest’ultimo potrà essere eletto presso i CPT. Naturalmente, vi 
      dovrà essere l’impegno della società civile e degli enti locali per creare 
      strutture idonee dove lo straniero senza dimora possa eleggere domicilio 
      senza essere costretto a passare alcune ore della giornata in CPT. In ogni 
      caso dovrà essere redatto un regolamento chiaro che disciplini nel 
      dettaglio la trasparenza di tali strutture, eliminando l’attuale 
      discrezionalità assoluta del Ministero dell'Interno e dei singoli prefetti 
      in ordine alla possibilità di accesso nei CPT di soggetti qualificati - 
      quali autorità, giudiziarie e non, con funzioni di controllo, operatori, 
      medici e legali delle organizzazioni della società civile che si occupano 
      di immigrazione e diritti umani, di giornalisti e operatori 
      dell’informazione, nonché di rappresentanti delle istituzioni e degli enti 
      locali. Per altro verso il ddl propone di inserire un meccanismo premiale 
      nei confronti dello straniero che si attenga alle prescrizioni impartite 
      nel provvedimento che dispone la sorveglianza speciale, ossia, in caso di 
      rigetto del ricorso e conseguente esecutività del provvedimento espulsivo, 
      non solo non vale la regola del divieto di rientrare in Italia per almeno 
      5 anni ma anche non viene effettuata la segnalazione al SIS, in tal modo 
      incoraggiando il rispetto delle prescrizioni impartite; nei confronti di 
      chi si renda irreperibile può invece scattare l’arresto fino ad un mese, 
      così come, nei confronti di chi rientri in Italia contravvenendo 
      l’interdizione al rientro per un determinato periodo di tempo l’espulsione 
      è immediatamente esecutiva. 

 
La
      versione integrale dell’articolo, nonché la scheda completa ‘Migranti in 
      Europa’ di questo mese, a cura delle associazioni Antigone e Progetto 
      Diritti,  è disponibile sul sito: 
http://www.associazioneantigone.it/Index3.htm nella
      sezione 'Migranti in Europa'.

 

 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il Vaso di Pandora
a cura del Coordinamento
      Osservatorio Nazionale

 
L'Osservatorio Regionale del Piemonte e della
      Valle d'Aosta

di Giovanni
      Torrente

 
La
      sanità penitenziaria piemontese tra mancate riforme e disfunzioni 
      organizzative

In questi mesi di visite nelle carceri
      piemontesi ci si è potuti rendere conto della distanza effettiva fra, da 
      un lato, i principi, le regole, i diritti e, dall’altro, i fatti. Si è 
      potuta tastare con mano la relatività del concetto di pena: 5 anni di 
      carcere non sono la stessa cosa se li vivi a Torino piuttosto che a 
      Novara, ad Alessandria piuttosto che ad Ivrea. La pena, con buona pace dei 
      principi su cui si fonda il moderno Stato di diritto, varia terribilmente, 
      nella gravità, nella sofferenza, nella speranza di un possibile rientro 
      attivo in società, sulla base del luogo dove si verrà inviati a 
      trascorrere il proprio tempo da recluso. Ed insieme alla pena cambia il 
      concetto di diritto e la natura dei diritti. Qualche mese fa al 
      sottoscritto è capitato di scrivere una dissertazione sul diritto alla 
      salute in carcere, sul 
dover essere della tutela di tale diritto
      all’interno delle mura di un penitenziario. Mentre scrivevo, ed eravamo ai 
      primi mesi in cui facevo delle visite in carcere per l’Osservatorio, il 
      pensiero cadeva inevitabilmente sulla realtà, sulla distanza fra le 
      previsioni contenute nell’Ordinamento Penitenziario, nel Regolamento 
      d’Esecuzione ed in tutte le fonti normative che stavo richiamando per 
      l’occasione e quella che è la realtà che iniziavo a conoscere attraverso 
      le visite nei penitenziari piemontesi. Oggi, quando ci stiamo avvicinando 
      all’inizio di un nuovo ciclo di visite per il nostro Osservatorio, si 
      impongono alcune riflessioni su ciò che 
è, su ciò che abbiamo
      osservato in questi mesi di viaggi fra i penitenziari piemontesi, su una 
      realtà multiforme e per molti versi incredibile.

Si diceva, 5 anni di carcere non sono
      la stessa cosa se li trascorri a Torino piuttosto che a Alessandria o a 
      Biella o a Ivrea o a Novara. Neppure un infarto è la stessa cosa se lo si 
      ha ad Ivrea piuttosto che a Torino. In questi mesi si è potuto osservare 
      come l’analisi dell’effettiva tutela del diritto alla salute dei detenuti 
      all’interno della nostra regione presenti una situazione che può essere 
      definita “a macchia di leopardo”.

Occorre
      al riguardo iniziare con l’osservare una prima fondamentale variabile che 
      evidenzia l’eterogenea situazione delle carceri piemontesi: la presenza di 
      farmaci all’interno degli istituti. Da questo punto di vista la metafora 
      della pelle di un leopardo pare essere assolutamente efficace nel 
      rappresentare la situazione dei penitenziari piemontesi. Se si esclude la 
      Valle d’Aosta, regione a statuto autonomo dove l’approvvigionamento dei 
      farmaci è garantito dalla Regione, la fornitura dei farmaci ai singoli 
      istituti penitenziari è di competenza delle singole ASL competenti sul 
      territorio ove è situato il carcere le quali, attraverso Protocolli 
      d’Intesa, dovrebbero fornire i medicinali di cui la struttura necessita. 
      Purtroppo però, in diverse realtà, la fornitura di farmaci garantita dalle 
      ASL è assolutamente insufficiente. In diverse occasioni abbiamo parlato 
      con direttori che ci confessavano di essere assolutamente consapevoli del 
      fatto che i medicinali forniti all’istituto sono insufficienti rispetto 
      alle esigenze della popolazione penitenziaria; tali direttori ci 
      riferivano di aver parlato con i responsabili delle ASL evidenziando il 
      problema, ma di aver ricevuto soltanto risposte negative. Tali risposte si 
      fondano sul fatto che una ASL ha delle esigenze di bilancio da rispettare 
      e che quindi la fornitura di medicinali non può superare i limiti imposti 
      da vincoli di natura economica. Si verifica quindi il drammatico paradosso 
      per il quale un cittadino detenuto può vedere pienamente realizzata la 
      tutela di un diritto costituzionalmente garantito solo a condizione di 
      essere inviato in un carcere la cui ASL di competenza ha le possibilità 
      finanziarie che permettono di fornire all’istituto tutti i medicinali di 
      cui necessita. Negli altri istituti il motto è “Ci arrangiamo”. E 
      l’arrangiarsi comprende molte pratiche, alcune delle quali legate alla 
      fortuna o al caso. Nella C.C. di Alessandria, ad esempio, si è avuta 
      l’impressione che la tutela sanitaria delle persone detenute all’interno 
      dell’istituto fosse garantita grazie alla vicinanza dell’istituto con il 
      maggiore ospedale cittadino. Tale vicinanza ha determinato nel tempo 
      l’instaurazione di prassi abitudinarie – fondate, appunto, sulla vicinanza 
      territoriale e sulla buona volontà degli operatori penitenziari e degli 
      operatori ospedalieri - grazie alle quali le visite specialistiche e gli 
      esami clinici possono essere garantiti in tempi ragionevolmente ristretti. 
      Ciò avviene all’interno di un contesto nel quale la fornitura di farmaci 
      da parte della ASL competente sugli istituti penitenziari presenti sul 
      territorio (la C.C. e la C.R.) è apparsa palesemente 
      insufficiente.

Accanto ai problemi oggettivi legati
      all’approvvigionamento dei farmaci, si è rilevato nel tempo un altro 
      fattore che ha condizionato sensibilmente le valutazioni relative allo 
      stato della sanità penitenziaria all’interno dei singoli istituti. In 
      diverse realtà, come ad esempio ad Alessandria, si è riscontrata la 
      massima collaborazione da parte delle direzioni nell’elencarci i problemi 
      e le difficoltà che l’istituto incontrava nel garantire la tutela del 
      diritto alla salute per i cittadini reclusi. In altri istituti, invece, ci 
      siamo trovati di fronte alla negazione del problema. Presso tali realtà le 
      risposte sono state spesso evasive; classica al riguardo la risposta “I 
      farmaci sono forniti dalle ASL” senza specificare se tale fornitura sia 
      realmente sufficiente rispetto ai bisogni dell’istituto. Inutile rilevare 
      come all’interno di tali contesti sia stato difficile verificare la reale 
      portata del problema. 

In alcune situazioni le problematiche
      sono emerse a seguito delle denunce effettuate da qualche parlamentare, 
      esperto in medicina, che dopo aver visitato singoli istituti penitenziari 
      ha denunciato l’assenza di molti farmaci essenziali in un contesto 
      caratterizzato dalla presenza di molte persone, alcune delle quali affette 
      da gravi problemi di salute (ci si riferisce in particolare alle visite 
      effettuate presso alcuni penitenziari piemontesi dal medico e parlamentare 
      europeo Vittorio Agnoletto). In altri casi, a seguito delle nostre visite, 
      ci sono giunte lettere di denuncia da parte di medici penitenziari che 
      palesavano il proprio conflitto con l’amministrazione e le difficoltà nel 
      compiere il proprio dovere di medico all’interno dell’istituto 
      penitenziario.

Questi temi portano a proporre due
      ultime considerazioni relative all’esperienza di questi mesi 
      dell’Osservatorio sulle condizioni detentive del Piemonte e della Valle 
      d’Aosta e sullo stato della sanità penitenziaria nella nostra 
      regione.

Gli ultimi tagli ministeriali hanno
      colpito pesantemente la gestione della sanità penitenziaria in tutti gli 
      istituti che abbiamo visitato. Vi è una generale, progressiva, diminuzione 
      delle ore date in affidamento ai medici specialisti che operano 
      all’interno degli istituti. In molti istituti tali carenze finanziarie 
      hanno portato alla cancellazione, o alla pesante riduzione in termini di 
      ore date in affidamento, di convenzioni specialistiche estremamente 
      importanti all’interno di un istituto penitenziario (si pensi a quelle con 
      i medici psichiatri). All’interno di tale generale fase di crisi, 
      l’impatto è stato però sensibilmente differente fra un istituto ed un 
      altro. La carenza di fondi in alcuni istituti ha portato, letteralmente, 
      allo sfascio della sanità penitenziaria. Sono state cancellate 
      praticamente tutte le convenzioni con i medici specialistici, interi 
      reparti costruiti per lo svolgimento degli esami diagnostici all’interno 
      della struttura penitenziaria sono rimasti inutilizzati. Inoltre, in 
      alcuni casi, sono sorti conflitti, anche gravi, fra le direzioni ed il 
      personale medico che opera all’interno dell’istituto. Presso tali istituti 
      penitenziari, a seguito della crisi determinata dalla carenza di risorse 
      finanziarie, vi è stato il nulla. Le giustificazioni poste dalle direzioni 
      di fronte all’evidente degrado della sanità all’interno dell’istituto 
      paiono essere assolutamente ragionevoli: i tagli finanziari impediscono di 
      remunerare gli specialisti per il lavoro svolto e quindi alcune 
      convenzioni vanno soppresse; anche là dove le risorse finanziarie 
      rendessero possibile la firma di nuove convenzioni, non è assolutamente 
      facile trovare medici specialisti disposti a lavorare in carcere in quanto 
      la remunerazione offerta dagli istituti penitenziari non è competitiva se 
      confrontata con le parcelle mediche che tali professionisti ricevono 
      all’esterno. Tuttavia, si è potuto osservare come in altre situazioni vi 
      sia stata la capacità di arginare i danni prodotti dall’attuale periodo di 
      crisi. Si è rilevato infatti come in molte realtà le direzioni siano state 
      capaci di mantenere in vita servizi che altrimenti avrebbero rischiato la 
      chiusura. Tale possibilità pare essere stata determinata, in primo luogo, 
      dalla presenza della volontà politica di mantenere in vita servizi 
      ritenuti indispensabili all’interno della struttura penitenziaria e dalla 
      capacità operativa delle direzioni nel concretizzare tale volontà. Al 
      riguardo, occorre rilevare come alcune direzioni paiono aver sviluppato 
      una vera e propria ingegnosità nel reperire fonti di finanziamento, 
      risorse umane, appoggi da parte della comunità esterna al carcere. Occorre 
      inoltre rilevare come in alcune occasioni paiono essere stati assai 
      rilevanti fattori che teoricamente non dovrebbero influenzare l’operato di 
      una pubblica amministrazione: le buone relazioni personali della direzione 
      con soggetti esterni al carcere, la fortuna, il caso, la buona volontà di 
      qualche professionista esterno al carcere…  

Pare emergere quindi come la crisi
      finanziaria che ha colpito in questi anni la generalità degli istituti 
      penitenziari abbia avuto in realtà un impatto sostanzialmente differente 
      fra una realtà ed un’altra. L’importante è ammalarsi nel posto giusto. 


Le ultime considerazioni riguardano i
      medici penitenziari ed il rapporto con le direzioni. In tante, troppe 
      occasioni abbiamo avuto colloqui con medici penitenziari che, in presenza 
      del direttore, si mostravano palesemente… reticenti. In diverse occasioni 
      ci è capitato di osservare come i medici cambiassero il tono delle loro 
      affermazioni nel momento in cui il direttore usciva dalla sala del medico 
      e come solo allora incominciasse un dialogo libero sulle difficoltà che 
      incontra la tutela della salute all’interno della singola realtà. In 
      alcune occasioni, in maniera apparentemente paradossale, abbiamo 
      incontrato direttori maggiormente disponibili dei medici nell’elencarci le 
      problematiche presenti nell’istituto: le risposte di tali medici 
      apparivano impaurite, attente a non dire cose “compromettenti” di fronte 
      al direttore; quando poi si accorgevano che i direttori ci avevano già 
      narrato le problematiche della sanità penitenziaria all’interno 
      dell’istituto, allora la chiacchierata diventava più libera, più aperta. 
      Sovente, l’assenza dei direttori sanitari durante le nostre visite 
      all’interno degli istituti in cui è parso più problematico il rapporto fra 
      la direzione ed i medici penitenziari ha permesso alla prima di 
      “controllare” le dichiarazioni della guardia medica presente nell’istituto 
      al momento della visita e quindi di non rendere palese il conflitto 
      presente all’interno dell’istituto fra i diversi operatori. In alcune 
      occasioni, come detto, tali conflitti sono emersi a seguito di successive 
      denunce da parte delle direzioni sanitarie.

Queste osservazioni ci portano a
      riflettere su quanto sia lunga nella nostra regione – e probabilmente non 
      soltanto nella nostra regione - la strada che dovrebbe portare alla 
      separazione della medicina penitenziaria dal controllo gestionale del 
      Ministero della Giustizia ed il suo ricollocamento “naturale” all’interno 
      dell’ambito di competenze del Ministero della Salute. Tale percorso appare 
      allo stesso tempo necessario ed irrinunciabile. Quindi è assolutamente 
      auspicabile il riavvio del cammino che è stato intrapreso in alcune 
      regioni attraverso la sperimentazione della riforma che dovrebbe portare 
      la sanità penitenziaria sotto la competenza amministrativa del Ministero 
      della Salute. Allo stesso tempo pare assolutamente necessario superare 
      l’attuale situazione di estrema disomogeneità nella tutela del diritto 
      alla salute attualmente presente all’interno della nostra regione. Tale 
      disomogeneità nella tutela del diritto porta, nella sostanza, alla 
      negazione stessa del principio costituzionale che garantisce la tutela 
      della salute di tutti i cittadini. È quindi auspicabile un intervento a 
      livello regionale – sulla base di quanto è già avvenuto presso altre 
      realtà regionali – volto a rendere maggiormente omogenea, ed effettiva, la 
      tutela del diritto alla salute del cittadino recluso.

 
Per contattare l'Osservatorio Regionale della Campania:
mailto:osservatorioabruzzo@associazioneantigone.it
      .

 

 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Criminalità economica*
di
      Claudio Sarzotti

Quando questo numero della rivista è
      stato progettato, sul palcoscenico della giustizia spettacolo era appena 
      ricomparso lo spettro della criminalità economica e/o politica. 
      “Bancopoli” e i furbetti del quartierino stavano monopolizzando 
      l’attenzione dei media, le intercettazioni telefoniche pubblicate sui 
      quotidiani facevano emergere indebite ingerenze politiche, un sostanziale 
      “commercio” del bene pubblico e volgarità assortite tipiche di certa parte 
      della classe dirigente del nostro Paese. Oggi, quando il numero sta per 
      uscire, altri “colletti bianchi” hanno richiamato l’attenzione dei media 
      implicati in vicende altrettanto gravi (se non giuridicamente almeno 
      eticamente); ed ecco Moggi e il suo sistema di potere, “calciopoli” e il 
      sogno infranto di milioni di appassionati che credevano in un gioco pulito 
      e hanno invece scoperto 
combines e pressioni indebite.
A più di dieci anni dalle vicende di
      Tangentopoli, il nostro Paese non ha ancora saputo fare una riflessione 
      serena su di un fenomeno, la cosiddetta criminalità dei colletti bianchi, 
      che deve essere svincolato dagli esiti incerti e contraddittori della 
      cronaca, dal continuo oscillare del pendolo tra giustizialismo e 
      perdonismo. Un fenomeno che, contrariamente a quanto molti pensano, non è 
      certo solo italiano, ma sta conoscendo un’estensione planetaria con lo 
      sviluppo dell’economia globalizzata e sta mettendo in pericolo la qualità 
      democratica di molti sistemi politici. 

Il numero della rivista intende fare il
      punto della situazione rispetto alla ricerca e alla riflessione 
      criminologica riguardante questa forma di criminalità che esiste da 
      sempre, anche se è stata riconosciuta “scientificamente” solo a partire 
      dalle ricerche degli anni 40 del secolo scorso di Edwin Sutherland. In 
      tale prospettiva, Vincenzo Ruggiero riflette sui problemi pratici e 
      concettuali che si incontrano nel fare ricerca sui crimini dei potenti. Un 
      libro recente, di uno dei più attenti studiosi italiani sul tema (Amedeo 
      Cottino), ci è parso importante per aprire il dibattito: da esso abbiamo 
      preso spunto per il titolo del numero della rivista e un magistrato (Luigi 
      Marini) ed un sociologo (Guido Maggioni) discutono su come la nostra 
      cultura considera una forma di criminalità che spesso si traduce in azioni 
      sostanzialmente violente (sul prossimo numero ospiteremo la risposta 
      dell’autore). E che ciò sia vero, anche per il nostro Paese, viene 
      dimostrato da alcuni casi che sono giunti al (dis)onore della giustizia 
      penale (si veda la ricostruzione del caso Eternit compiuta in questo 
      numero da Rosalba Altopiedi); e la stessa criminalità organizzata non è 
      forse anch’essa una forma di criminalità dei colletti bianchi? Domanda a 
      cui Vincenzo Scalia contribuisce a fornire le argomentazioni politiche e 
      sociologiche per una risposta affermativa. Alessandro Messina propone una 
      lettura dell’agenda politica attuale che sembra trascurare le dinamiche 
      strutturali della corruzione e dell’economia criminale. Chiudono il 
      numero, oltre alle rubriche, un saggio di Messner e uno di 
      Siebert.

 
  * L’editoriale è tratto dal
      secondo numero della rivista ‘Antigone’ che verrà pubblicato a fine 
      giugno. Il numero è dedicato alla criminalità 
      economica.


 

 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Le iniziative di
      Antigone

a cura della Redazione
 
Lunedì 12 giugno ore
      12:00
presso la Sala
      Fernando Santi della Cgil, in Corso d’Italia 25 - Roma si terrà la 
      conferenza stampa di presentazione del Rapporto sui diritti Globali 2006. 
      Il rapporto presenta la 
Prefazione di Guglielmo Epifani,
      introduzione di Sergio Segio, interventi di Paola Agnello Modica, Aldo 
      Amoretti, Stefano Anastasia, Lucio Babolin, Paolo Beni, Franco Chittolina, 
      Roberto Della Seta, Fulvio Fammoni, Patrizio Gonnella, Maurizio Gubbiotti, 
      Mauro Guzzonato, Giulio Marcon, Emilio Molinari, Paolo Nerozzi, Mauro 
      Palma, Achille Passoni, Ciro Pesacane, Antonio Pizzinato, Nicoletta 
      Rocchi, Marino Ruzzenenti.

Il Rapporto, realizzato dalla
      Associazione SocietàINformazione, è promosso dalla CGIL nazionale in 
      collaborazione con: Antigone, ARCI, Conferenza nazionale Volontariato 
      Giustizia, Coordinamento nazionale delle Comunità di accoglienza (CNCA), 
      Forum ambientalista, Legambiente.

 
Alla conferenza stampa di presentazione
      i
nterviene:
      Guglielmo Epifani, segretario generale Cgil.

Partecipano:
Paolo Beni, presidente
      nazionale Arci

Patrizio Gonnella,
      presidente nazionale Antigone

Maurizio Gubbiotti,
      segreteria nazionale Legambiente

Claudio Messina,
      vicepresidente Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

Ciro Pesacane,
      presidente nazionale Forum Ambientalista

Sergio Segio, curatore
      del Rapporto

 
Venerdì 16 giugno riparte l'attività dell'Osservatorio
      nazionale sulle condizioni di detenzione in Italia. Sono state organizzate 
      circa 50 visite in contemporanea in tutta Italia. 

A tale proposito, martedì 20
      giugno
, è prevista una conferenza stampa durante la quale
      verranno illustrati i risultati.

 

 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Segnalazione
      editoriale della Redazione

 
La Redazione segnala l'imminente pubblicazione del
      seguente volume:

 

 

 

Visitate il sito dell'associazione:
      www.associazioneantigone.it