[Incontrotempo] la tempesta e l'arcobaleno - Esc

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Aihe: [Incontrotempo] la tempesta e l'arcobaleno - Esc
Abbiamo perso.
      Meglio, Roma Arcobaleno non ce l’ha fatta, Nunzio non è  stato eletto.
      Qualcuno può ridere e dire “l’avevamo detto”, qualcun’altro  far finta di nulla, qualcuno voltare le spalle. In molti, anche i più prudenti,  tentano di parare il colpo.
      Abbiamo perso.
      Un fatto semplice da affermare, ma le affermazioni non  sempre risolvono i problemi e i problemi quasi mai hanno natura individuale. 
      In poche righe - senza timidezze, senza far finta che nulla  sia accaduto - vorremmo tentare di analizzare questa sconfitta, di mettere in  rilievo le condizioni entro le quali si era determinata la scommessa, di far  emergere elementi di autocritica e nello stesso tempo problematizzare le  questioni irrisolte, per noi ma anche per molti altri.
      L’idea della lista indipendente è stata solo parzialmente  una scelta autonoma. In origine le intenzioni erano altre, quelle cioè di  federare movimenti, società civile e partiti e dare vita ad un “cartello  radicale”, in grado di condizionare a sinistra la giunta Veltroni e le spinte “neocentriste”.  Considerando il rilievo quantitativo delle componenti moderate (Ulivo+Civica Veltroni+Moderati=44%),  l’idea non era disgraziata, meglio, partiva da valutazioni tutt’altro che  sbagliate. 
      Le intenzioni originarie sono tramontate dopo una lunga  agonia relazionale. I partiti della “sinistra radicale” (mai parola più  distante dalla realtà, le cronache politiche di questi giorni ci aiutano in  questo senso), dai Verdi a Rifondazione comunista, hanno respinto a più riprese  e con forme e tempi diversificati l’idea di una relazione paritaria con i  movimenti. Aver ritenuto possibile la cosa, considerando il peso delle elezioni  politiche a ridosso di quelle amministrative, è stato forse peccare di  ingenuità e di presunzione, confondere i rapporti di forza, misconoscere il  passaggio di fase maturato negli ultimi due anni.
      Proprio questo passaggio di fase però, in parte letto  correttamente, ci aveva convinto che era impensabile un rapporto di continuità  con le vicende passate: le candidature indipendenti con Rifondazione comunista.  In primo luogo per la rottura che Rifondazione aveva esercitato nei confronti  dei movimenti (la questione della non-violenza e della messa al bando delle  pratiche radicali di conflitto; ma anche l’insistenza sui temi lavoristi e  anti-europeisti); in secondo per il dispositivo simbolico di “abiura” e per  quello materiale di “cooptazione” imposto alle nuove candidature politiche; in  terzo luogo per l’insopportabile precedente delle elezioni europee.
      Questa necessità di discontinuità e di rottura la  rivendichiamo tuttora come corretta, nella consapevolezza che il revival della  candidatura indipendente nelle liste di Rifondazione avrebbe nuovamente  garantito a Nunzio l’elezione. Una consapevolezza amara che rimanda a ragioni,  in una parola la questione dell’autonomia dei movimenti, tutt’altro che  marginali. La strumentalità o la qualità tattica dei rapporti non può rimuovere  il peso strategico di alcune scelte.
      Costretti alla solitudine dai partiti, abbiamo tentato  l’impossibile: 2 mesi, anzi un mese e mezzo, per affermare, con il solo lavoro  militante, senza risorse, una nuova lista civica.
      Non la “lista dei disobbedienti” - esperienza  politica-organizzativa, tra l’altro, che a Roma già da tempo aveva seguito un  processo di trasformazione e di dislocazione - piuttosto una rete di movimenti  e di singolarità, di esperienze di conflitto e di associazioni, diverse per  natura e qualità di intervento e di ricerca politica (noi ad es., con la  candidatura di un nostro fratello generoso, abbiamo tentato di far emergere, al  pari di quanto facciamo nel nostro intervento politico quotidiano, le tematiche  cognitarie e antiproibizioniste). Un’impresa ambiziosa, per molti versi  un’impresa impossibile.
      “Potevate star fermi e passare un giro!”, probabile, ma cosa  sarebbe cambiato?
      È evidente che l’esperimento arcobaleno si è mosso dentro un  vuoto di alternative e di modelli. Dopo dieci lunghi anni di incursioni, di  attraversamenti conflittuali dei nessi amministrativi, una modalità di rapporto  con partiti e istituzioni è venuta meno, almeno a Roma (ma a giudicare dalla  disfatta elettorale milanese, non solo a Roma). Quando una regola gira a vuoto,  bisogna inventarne di nuove e per farlo bisogna rischiare, provare  l’impossibile, verificare fino alla fine l’inapplicabilità di alcune formule.  Roma Arcobaleno è stata una ricerca parziale, forse anche goffa, nella terra di  nessuno tra un “non più” e un “non ancora”. 
      Non ha funzionato, dirselo in modo franco è un modo di  consegnare alla discussione pubblica i problemi, tutt’altro che marginali, che  rimangono aperti: come proteggere e mettere in sicurezza le forme di vita  autonome e le conquiste fatte nella città? Quali strumenti utilizzare per  dislocare i passaggi di trattativa con la “governance veltroniana”? Come  respingere i dispositivi di partecipazione concessa del “sindaco di tutti”? 
      Qualcuno può rispondere: “Ma è è chiaro con i movimenti e  con i rapporti di forza materiali! Nella strada e non in consiglio comunale si  apre la trattativa!”
      Nell’esperienza che ci riguarda non abbiamo dubbi sulla  centralità strategica del conflitto e dei rapporti di forza materiali, per  usare un espressione che a noi piace, della “lotta di classe”. D’altronde i  fatti di cui siamo stati o siamo protagonisti, tra gli altri e con gli altri -  senza presunzione possiamo dirlo -, non sono equivoci. Il problema semmai è  capire se l’accumulazione dei rapporti di forza possa evitare la questione dei  nessi amministrativi. Se la strumentazione istituzionale sia cosa di poco conto  per l’espressione e la potenza dei movimenti autonomi.
      Ad esser sconfitta è la scommessa Roma Arcobaleno non di  certo i movimenti che sono cosa eccedente, assai più complessa, non  contabilizzabile, eterogeneea e ricombinante, inaspettata e radicale!
      Il problema rimane, però, il rapporto tra espressione dei  movimenti e continuità organizzativa, intensità dello scontro e produzione di  soggettività, potenza insurrezionale e dislocazione di forme di vita autonome.  Questo rapporto, ad es. in Francia, non è stato mai messo a tema dai movimenti  che, in materia di rapporti di forza materiali, c’è da dire ne sanno spesso più  di noi.
      Chiamateci leninisti, probabile, semmai non è un’offesa, ma  oltre la rottura c’è la continuità, l’inchiesta, il lavoro di talpa, la  costituzione di soggettività, la composizione, il clinamen e “l’incontro che fa  presa”. Non amiamo l’attesa messianica, non siamo “situazionisti”.
      In questo senso alla strategia dei conflitti universitari o  precognitari, pensavamo fosse giusto accompagnare un’incursione autonoma nei  nessi aministrativi. A maggior ragione in una città come Roma che diviene  velocemente Metropoli, condensando rapidamente flussi finanziari e lavoro  cognitivo, rendita/profitto immobiliare e nuova immigrazione, gerarchie globali  e partecipazione comandata. 
      È molto probabile che questa discussione avrebbe dovuto  assumere da subito e con più potenza carattere pubblico. Con molti compagn*,  fratelli e sorelle di tante battaglie, con i centri sociali e con molte  esperienze dell’autorganizzazione abbiamo discusso poco, dando per scontate  differenze monolitiche o vecchie ruggini strategiche. Sbaglio nostro è vero, ma  ci piacerebbe sapere cosa si pensa in giro: un consigliere di Rifondazione o  dei Verdi è equivalente a Nunzio? Roma Arcobaleno ha perso, ma qualcuno, oltre  ai partiti, ha vinto? Alcuni canali di pressione e di disturbo all’interno del  Campidoglio non erano strumento e partimonio utile per tutt*?
      Indubbiamente patrimonio e strumenti che andavano ripensati,  consegnati in termini nuovi ad un uso pubblico e condiviso. Nulla toglie però  che un pezzo viene meno, una storia colettiva si esaurisce e prende nuove  sembianze.
      Roma Arcobaleno, oltre alla “follia” di affrontare in poco  tempo una missione così complessa, ha dato per scontato considerazioni  sbagliate sui meccanismi di opinione. Un enorme processo d’opinione e non solo  il radicamento in alcuni quartieri popolari, a nostro avviso, aveva definito lo  straordinario successo di Nunzio alle europee del 2004. “D’Erme il  disobbediente”, l’incompatibile, l’irriverente, il perseguitato. L’opinione non  è un dato permanente ma un processo plastico, in mutazione, aleatorio.  L’opinione può smettere di fare presa e con questo bisogna fare i conti!
      Il problema comune, non distante dai fatti francesi, è come  la radicalità e la violenza del conflitto sociale possa produrre rapporti di  forza favorevoli anche sul piano dell’opinione (in questo senso, oltre che per  il carattere moltitudinario e sociale, il marzo parigino è mille miglia  distante dai fatti milanesi e dalla stretta sicuritaria/repressiva o  opportunista sulla pelle di 25 compagn*). Come si produce nuova opinione  radicale? Il partimonio precedente è svanito una volta per tutte, ritardarne la  consapevolezza significa perseverare.
      Un nuova fase si apre, la contingenza ce la consegna ruvida.  Senza oscillazioni o ambiguità ci sembra di poter dire che la sconfitta  finalmente dona luce e scioglie gli equivoci.
      Il mare in tempesta - nel mezzo, nè in basso, nè in alto, nè  verticali, nè orizzontali - questo ci pare il nostro posto più proprio.
      Nella consapevolezza che la tempesta è la sola condizione  per l’arcobaleno, ma che qualche arcobaleno sporadico sa sostenere l’amore per  la tempesta.


      Grazie a chi a ha sostenuto, nonostante l’impossibile,  l’Arcobaleno. In “strada”, in movimento, sappiamo dove cercarci, come  continuare a stare assieme!


      Liber* tutt* 


      Esc – atelier occupato 


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