[NuovoLab] G8: Sfilata di Politici al processo per la Diaz

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Sfilata di Politici al processo per la Diaz

Sfilata di onorevoli, di politici e di rappresentanti di un livello delle organizzazione umanitarie ieri al processo per l’irruzione alla Diaz. Era prevista l’audizione anche dell’europarlamentare Marta Vincenzi che, però, non ha potuto arrivare in tempo a Genova per motivi legati alla sua attività. Sono state ascoltate invece le testimonianze sugli avvenimenti della notte di Sabato 21 luglio del G8 2001 di Stefano Kovac dell’istituto italiano di solidarietà (Ics) dell’onorevole di Rifondazione comunista Graziella Mascia e del consigliere regionale del Prc Marco Nesci.
Quest’ultimo ricordando il momento in cui era giunto sotto la scuola di via Battisti ha affermato di aver visto portare via dai barellieri ragazzi feriti e che uno di loro gli aveva detto, mentre era stato messo sulla barella: << Ci hanno massacrato >>.
Il consigliere regionale, come la sua collega di partito e Kovac, si erano presentati spontaneamente in procura nei giorni successivi la “perquisizione” alla Diaz e alla Pascoli per denunciare ai magistrati quello che avevano visto.
Nesci arrivò, verso la mezzanotte, in via Battisti con la sua auto insieme, fra gli altri, all’onorevole Mascia e vide il cordone di carabinieri e di polizia davanti alle scuole. Esibendo il tesserino di parlamentari riuscirono a entrare nel giardino della Diaz. Poi con delle spinte gli agenti li fecero subito uscire. Uno dei funzionari della questura genovese li tranquillizzò sulla regolarità dell’operazione.
L’onorevole Mascia entrò dapprima nella Pascoli dove era la sede del Gsf e dove aveva visto gli agenti che avevano fatto metter a terra i manifestanti con le schiene al muro.
L’onorevole ha anche aggiunto: << Poco dopo abbiamo visto uscire 22 barelle con sopra tutti ragazzi feriti alla testa e sanguinanti. Poi siamo entrati finalmente nella scuola - ha spiegato – e ho visto macchie di sangue ovunque: sugli spigoli, per terra, sui caloriferi >>.
All’ospedale aveva poi parlato con ragazzi di diverse nazionalità ricoverati all’ospedale e tutti avevano detto più o meno la stessa cosa e cioè che erano stati colpiti e feriti alla testa e braccia mentre erano a terra e stavano dormendo.
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il manifesto
Capo Digos nel mirino.

<< Incrocio pericoloso >>, quello di ieri, sull’asse Genova-Cosenza e i processi post-G8 a confermare la sensazione che il processo casentino – che vede imputati 13 attivisti della rete del sud ribelle per svariati reati, tra i quali l’associazione sovversiva – assomigli a un processo bis di quello già corso a Genova, e momentaneamente sospeso, contro 25 manifestanti accusati di devastazione e saccheggio. Spartaco Mortola, all’epoca dei fatti primo dirigente della Digos genovese, dal novembre 2004 vice questore vicario di Alessandria, a Cosenza, e Stefano Kovac, allora responsabile della logistica del Gsf, a Genova al << processo Diaz >>, hanno dato vita a due udienze intimamente connesse tra di loro.
Mortola si è sottoposto alla domande del controesame durante l’udienza cosentina: << Caricare con un blindato sarebbe stato criminale >>, ha affermato. Poco dopo le immagini trasmesse in aula hanno mostrato una delle folli corse dei blindati dei carabinieri tra i manifestanti. << Io quell’ordine non lo avrei dato >>, ha detto in aula, << ma poco prima un blindato era stato dato alle fiamme >>. << Poco prima >> in realtà significa, stando alla cronologia dei fatti, proprio poco dopo la carica al corteo autorizzato di via Tolemaide, effettuato dal duo Antonio Bruno (capitano dei carabinieri) – Mario Mondelli (funzionario ps), che saranno ascoltati a Cosenza l’8 giugno. Quella carica, come venne dimostrato durante un’udienza del procedimento genovese, si contraddistinse per essere effettuata su un corteo autorizzato, senza lasciare alcuna via di fuga ai manifestanti e, come hanno dimostrato le immagini, con l’uso di mazze al posto dei già famigerati tonfa. Alla domanda cruciale circa le ragioni di quella carica, la risposta dell’ex dirigente della Digos genovese è laconica: << non lo so >>.
Mortola è protagonista, non solo in quanto imputato, anche nell’udienza genovese riguardante i fatti della Diaz, per i quali sono a processo 29 tra funzionari, dirigenti, agenti di polizia. In sede di indagini emerse infatti che proprio una telefonata tra Mortola e Kovac avrebbe << fondato >> i motivi dell’irruzione nell’istituto. Secondo la versione dell’ex Digos, infatti, poco prima dell’operazione Kovac gli avrebbe riferito << che la scuola non era più sotto controllo del Glf >>. Una versione che non è in sintonia con quanto affermato da Kovac sia in sede di indagini, sia in tribunale ieri. << Mortola mi chiese chi ci fosse dentro alle scuole; risposi che c’era il media center da un lato, e dall’altro l’internet point e persone che dormivano lì a causa della pioggia di giovedì 19 luglio >>. Le domande di Mortola lo insospettirono: << Gli dissi di non fare cazzate e lui mi rispose di stare tranquillo >>. Poco dopo la telefonata Mortola scorterà tra le strade di Genova le squadre delle forze dell’ordine, << prescelte >> per l’irruzione alla scuola Diaz. Un’operazione oscura fin dall’inizio: la parlamentare Graziella Mascia, ascoltata ieri, ha ricordato di aver cercato di contattare, invano, sia l’allora ministro Scajola che il capo della polizia De Gennaro. Bertinotti, che raggiunse telefonicamente il capo della polizia, fece sapere alla Mascia << che non ci poteva fare nulla >> e che << dovevano cavarsela da soli >>-
Simone Pieranni
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liberazione

di Checchino Antonini
Mentre a Cosenza il capo della digos genovese, all’epoca del G8, confermava che il corteo delle tute bianche era autorizzato, a Genova, il responsabile della logistica del Gsf, Stefano Kosav, riferiva – al processo Diaz – di una strana telefonata con il capo della polizia politica della città. Poco prima della sanguinosa irruzione nel dormitorio dei manifestanti. Ieri i due processi – uno contro i presunti “sovversivi” del Sud ribelle, l’altro contro i funzionari che guidarono l’irruzione e parteciparono a vario titolo, secondo l’accusa, alle violenze e agli abusi contro i manifestanti – hanno rivangato alcuni momenti cruciali di quei giorni del luglio 2001. Nel capoluogo ligure è stata la volta di Graziella Mascia, deputata del Prc, che ha ricordato di aver cercato e non aver trovato un responsabile, ma di aver chiesto alle forze dell’ordine di andarsene e di essersi sentita rispondere << non posso farci nulla >> da un imbarazzato questore. Scajola (allora ministro dell’interno) e De Gennaro (tutt’ora Capo della Polizia) si negarono. Fu Bertinotti a riferire a Mascia che De Gennaro aveva negato ogni margine di trattativa. E il suo portavoce, quella note, era a sbarrare la strada a legali e parlamentari che tentavano di entrare alla Diaz. Nesci, consigliere regionale Prc, arrivà con Ramon Mantovani: ieri ha ricordato come fu respinto << con decisione, a spintoni >>, fino a Mortola dice loro che << è tutto a posto e che non è successo nulla >>. Una normale perquisizione, proprio come sostenne il Viminale. Dopo di loro, Kovac smonterà la tesi di Mortola che fonda infatti l’operazione su una presunta telefonata avuta con Kovac in cui gli sarebbe stato comunicato che il Gsf aveva perso il controllo su chi ci fosse dentro le scuole. Kovac gli spiegà solo che sin da giovedì dopo il nubifragio alcuni manifestanti si erano spostati a dormire nella Diaz ma, insospettito dalla domanda, concluse la conversazione esortando il capo della digos: << Non fate cazzate >>. Risposta << No, no, stai tranquillo, non succede nulla >>.
Più o meno nello stesso momento, Mortola subiva a Cosenza il controesame delle difese dicendo, secondo il comunicato diramato dal supporto legale (i consulenti del Genoa legal forum) << parecchie importanti ammissioni >>. La prima sul fatto che il corteo ndei disobbedienti avrebbe utilizzato scudi e protezioni passive e che la digos ne era a conoscenza. Cadrebbe così il presupposto di una “bardatura” a sorpresa delle ex tute bianche riprese dai filmati (mostrati in aula) a invitare più volte, dal camion, i manifestanti a non armarsi. Mortola aveva accusato Caruso di aver incitato la folla a reagire violentemente dopo la prima carica di via Caffa ma in un altro video lo stesso Caruso grida dal camion: << Non tirare pietre, no stones, Genova ha mille strade, questo è il corteo della disobbedienza civile >>. E, sugli avvenimenti relativi alla carica e a tutto quello che ne segui, fino all’omicidio di Carlo Giuliani, Mortola confermerà in toto la ricostruzione fatta dagli avvocati della difesa: il corteo era autorizzato fino a piazza Verdi, i suoi uomini dovevano accoglierlo, ma i carabinieri agli ordini di Mondello lo intercettano e caricano.
Perché? Mortola ipotizza che << forse i carabinieri avevano visto il corteo fare qualcosa di strano >> ma lui stesso aveva dichiarato che i militari non potevano vedere il corteo scendere da Piazza Alimonia. Quanto alla carica, per Mortola, sarebbe stato << criminale >> farlo utilizzando i blindati. Ma così fu. Il funzionario giura che non avrebbe mai ordiato una cosa del genere ma che bisognava tenere conto che un blindato era stato assalito e incendiato. Ma quell’episodio avvenne solo dopo quella carica.






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