[NuovoLab] «Armi italiane ai signori della guerra somali»

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Szerző: Edoardo Magnone
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Tárgy: [NuovoLab] «Armi italiane ai signori della guerra somali»
Somalia: Mogadiscio; nuovi scontri, oltre 20 morti

MOGADISCIO - E' riesplosa violenta oggi a Mogadiscio la battaglia dopo 24 ore di
sostanziale tregua che, come si era temuto, erano servite solo a riposizionare
truppe ed armi. Da una parte i miliziani legati alle corti islamiche della
capitale somala, dall'altra quelli fedeli ai signori della guerra locali. Il
bilancio odierno, ancora provvisorio, è di almeno 23 morti ed oltre una
cinquantina di feriti.

La città ormai esausta, di fatto non esiste più. L'altro ieri, in una delle
giornate più sanguinose degli ultimi 15 anni anni, si erano contati una
sessantina di morti, ed oltre 100 feriti. Dalla fine di febbraio, quando i
combattimenti erano riesplosi con violenza, le vittime sono almeno 300, in
maggioranza civili.

Tutta la popolazione che è potuta fuggire, soprattutto vecchi e bambini, lo ha
ormai fatto. Ma i combattimenti non danno tregua e sono condotti con armi
moderne, e molto efficienti: artiglieria pesante, missili, mortai. Le milizie
delle corti islamiche, che appaiono prevalere sul campo, sono su posizioni
integraliste, e fortemente sospettate di infiltrazioni terroristiche, di al
Qaida in particolare.

Molti osservatori ritengono che ormai, di fatto, si tratti di una sostanziale
emanazione del gruppo di Osama bin Laden. Un rischio gravissimo, dati i
possibili effetti domino in caso di loro prevalere, per l'intero Corno
d'Africa. Quelle legate ai signori della guerra - prima alleate tatticamente
agli islamici, almeno nel rifiuto del governo centrale, e nella spartizione dei
ricchissimi traffici di Mogadiscio - hanno creato nella seconda metà dello
scorso febbraio l'Alleanza per il Ripristino della Pace e Contro il Terrorismo,
subito fortemente sponsorizzata dagli Usa.

Oggi gli scontri si sono concentrati in due aree: Daynile, nel sud di Mgadiscio,
e Galgalato, a nord. Stando agli osservatori, non ci sono stati significativi
avanzamenti, ma giovedì scorso gli islamici avevano avuto un netto successo
nella zona sud, espugnando l'hotel Sahafi, storico caposaldo dei warlords, e
stanno continuando ad attaccare in quella zona.

Un drammatico contesto, che sembra senza soluzione, da cui il governo federale
unitario, pur internazionalmente riconosciuto e radicato su larga parte del
territorio, che ha avviato a pacificazione, resta del tutto avulso. L'esecutivo
a Mogadiscio non può neanche mettere piede, e senza la capitale storica, oltre
che cuore pulsante dell'economia, la Somalia di fatto non esiste.

SDA-ATS

http://www.swissinfo.org/ita/mondo/agenzie/detail/Somalia_Mogadiscio_nuovi_scontri_oltre_20_morti.html?siteSect=143&sid=6755999&cKey=1148754681000


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Nel Paese africano si scontrano milizie filo-occidentali e islamiche «Armi
italiane ai signori della guerra somali» L'Onu denuncia la violazione
dell'embargo. La replica «Nessuna fornitura». Non compaiono invece gli Stati
Uniti

Dal nostro inviato
NAIROBI – Le accuse dell’Onu sono durissime: «L’Italia lo scorso autunno ha
fornito materiale militare al Governo Federale di Transizione somalo (Tfg),
violando l’embargo imposto dal Consiglio di Sicurezza». Assieme all’Italia il
rapporto del gruppo di investigatori incaricato dall’Onu di monitorare le
violazioni alle forniture d’armi (di cui il Corriere ha ottenuto una copia)
cita Gibuti, Eritrea, Etiopia, Arabia Saudita e Yemen.

Non compaiono invece gli Stati Uniti (ma viene indicato solo un «Paese Terzo»),
nonostante una fonte bene introdotta all’interno del gruppo di monitoraggio
avesse assicurato al Corriere che le prove contro Washington (massicci
finanziamenti ai signori della guerra) fossero schiaccianti. «L’amministrazione
Bush ha minacciato di bloccare il rapporto al vaglio del Consiglio di Sicurezza,
se non fosse stato cancellato il nome degli Stati Uniti. Sono così rimasti i
riferimenti ai finanziamenti ai signori della guerra, ma è stato tolto ogni
riferimento preciso», ha sottolineato al Corriere la stessa fonte. Riguardo le
forniture da parte dell’Italia, il rapporto è assai dettagliato: cita le date
in cui sono state spedite, (tra il 12 e il 16 ottobre 2005 e il 14 dicembre
dello stesso anno), il porto e l’aeroporto dove è stata scaricata la merce (El
Ma’an e lo scalo di Johar) e il materiale consegnato al Governo Federale di
Transizione: 18 camion, «un certo numero di casse lunghe, larghe e sigillate
tenute sotto stretta sicurezza», tende e altre casse «con scritte in italiano
che attribuivano il contenuto all’esercito italiano».

Secondo il gruppo di monitoraggio dell’Onu, appena arrivati alcuni camion sono
stati utilizzati per il trasporto dei miliziani e in particolare tre di essi
equipaggiati con un cannoncino antiaereo. Ai chiarimenti richiesti degli
investigatori il nostro governo ha risposta con una lettera nella quale si nega
qualunque spedizione di camion al porto di El Ma’an. La comparsa dei veicoli in
Somalia «si può spiegare con il possibile acquisto del materiale italiano sul
mercato, dove esiste equipaggiamento dismesso dalle nostre forze armate».
Effettivamente è risultato che un uomo d’affari di Dubai ha comprato quei
camion a Bari e li ha spediti in Somalia, violando, lui sì, l’embargo. Per quel
che riguarda invece le casse scaricate a Johar, si tratta di voli organizzati
dalla Cooperazione Italiana, in partenza dalla Base delle Nazioni Unite a
Brindisi «con carichi umanitari (generatori, tende multi uso, utensili da
cucina, contenitori per l’acqua e prefabbricati) procurati in accordo con
l’Onu». La circostanza è stata confermata dalle fonti del Corriere all’interno
della base di Brindisi.

Riguardo il Paese terzo, il documento dell’Onu è più cauto e sfumato: si parla
di finanziamenti « per aiutare l’organizzazione di milizie create per
combattere le minacce poste dai movimenti fondamentalisti che stanno crescendo
nella Somalia centrale e meridionale». Infatti le milizie dei signori della
guerra - che in queste ora stanno combattendo a Mogadiscio, riuniti
nell’Alleanza per la Restaurazione della Pace e contro il Terrorismo, contro
l’Unione della Corti Islamiche - sembrano dotate di armi nuove e più
sofisticate. I comandanti hanno a disposizione moderne radio walkie-talkie per
comunicare tra loro. Per altro anche gli islamici sono ben armati. Secondo il
rapporto ricevono aiuto principalmente dall’Eritrea che in politica estera sta
facendo un pesante doppio gioco. Da una parte dice di sostenere la guerra
americana al terrorismo, dall’altra fornisce ingenti quantità di armi agli
islamici somali e a quelli etiopici dell’Oromo Liberation Front e dell’Ogaden
People’s Liberation Front, che operano anche in Somalia.

L’Eritrea è un’alta spina nel fianco degli americani che stanno pensando come
fare e sbarazzarsi di una sanguinaria dittatura diventata per loro
inaffidabile. Secondo fonti di intelligence la Cia sta pensando a un cambio
della guardia anche ad Asmara, a meno che il presidente Isayas Afeworki non
inverta in fretta la rotta e non solo rinunci a fornire armi agli islamici ma
si impegni concretamente nella lotta al terrorismo «american style». Che gli
Stati Uniti abbiamo aperto nel Corno d’Africa un nuovo fronte della guerra al
terrorismo appare evidente da alcuni indizi.

Il generale William F. Garrison, l’uomo che guidava la Delta Force ai tempi
della fallita operazione Unosom del ‘93-’94, nei mesi scorsi si è recato a
Mogadiscio per incontrare i signori della guerra. Ma nella capitale somala
recentemente è andato anche Porter Goss, ultima missione prima di essere
cacciato da capo della Cia pochi giorni fa. Inoltre un aereo americano a giorni
alterni atterra all’aeroporto di Gesira, a una trentina di chilometri a sud di
Mogadiscio, controllato da Omar Finish, uno dei comandanti dell’Alleanza.
Scarica apparecchiature elettroniche e ne carica altre. Secondo fonti somale
non verificate, si tratta di registrazioni di tutte le conversazioni
telefoniche che si svolgono nella capitale. Infine la base americana a Gibuti
sarebbe stata trasformata in campo di prigionia segreto simile a Guantanamo.
Fuori da occhi indiscreti verrebbero lì trasferiti presunti terroristi da
trattare senza nessuna delle garanzie previste dalle convenzioni
internazionali. Appare certo, comunque, che gli uomini di Al Qaeda negli ultimi
anni abbiano utilizzato la Somalia come base per organizzare le loro operazioni
terroristiche in Africa Orientale, dagli attentati nel 1998 alle ambasciate
americane di Nairobi e Dar Es Salaam, agli attacchi nel 2002 a
Mombasa,all’hotel e all’aero utilizzati da turisti israeliani, al tentativo,
nel 2003, di bombardare l’ambasciata americana con una piccolo aereo.

In Somalia avrebbero trovato rifugio alcuni terroristi di Al Qaeda il cui
elenco, secondo la rivista specializzata Africa Confidential, sarebbe stata
consegnata dagli uomini della Cia ai capifazione dell’Alleanza perché si
occupino della loro cattura. In questo quadro si inserisce il tentativo del
Pentagono di servirsi dei signori della guerra per combattere e distruggere le
corti islamiche di Mogadiscio che, secondo Washington, proteggono i terroristi.
Le corti, inoltre, riceverebbero finanziamenti dal network di Osama Bin Laden e
dai sauditi. Ma pare che le cose per gli alleati di Washington stiano andando
assai male. Giovedì è scoppiata una violentissima battaglia che durava ancora
ieri.

I fondamentalisti hanno conquistato il nodo centrale del Quarto Chilometro, una
piazza da cui si diramano le strade che portano al porto e all’aeroporto
internazionale (chiuso dal 1995), e lo storico hotel Sahafi. «I morti sono
almeno 200 – ha raccontato al telefono il dottor Jia, che opera in
continuazione all’ospedale Medina -. I feriti quasi 400. Non abbiamo sangue per
le trasfusioni, non abbiamo bende, garze, medicina. Imponete almeno una tregua e
mandate un aiuto sanitario urgente». La gente terrorizzata è in fuga. I
contendenti tirano cannonate e colpi di mortai ormai a casaccio. E ovviamente
vengono colpiti i civili, che più di tutti sono vittime della violenza. Ieri
Abdi Nur Said (detto «Waal», il pazzo), uno dei comandanti delle milizie
antifondamentaliste, contattato al telefono dal Corriere, mentre «nella
cornetta» esplodevano colpi di cannone, ha lanciato un appello al telefono: «Se
il mondo non interviene la Somalia diventerà un nuovo Afghanistan dei talebani.
Vogliono islamizzare tutto; trasformare il Paese in un campo di terroristi».

La situazione politica è assai confusa. Alcuni dei signori della guerra che
combattono i fondamentalisti, sono anche ministri del Governo Federale di
Transizione, che ha condannato i combattimenti in corso. Ieri il premier Ali
Ghedi ha intimato ai ministri al fronte di deporre le armi e tornare a sedersi
sui banchi della politica. In realtà anche la componente islamica è assai
variegata e i moderati sarebbero pronti a dialogare con il governo, anche se
per ora la leadership è in mano ai più radicali. La confusione dunque regna
sovrana. Per ora una sola cosa è chiara: i fondamentalisti sono a un passo dal
conquistare tutta la capitale. Perché mai dovrebbero fermarsi?
Massimo A. Alberizzi

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2006/05_Maggio/28/somalia.shtml

28 maggio 2006