il manifesto 17.5.06
Tanti latinos e qualche pandilleros
Genova e le «bande» Dietro il fantasma dei Latin Kings, enfatizzato dai media, la rabbia e lo spaesamento della seconda generazione migrante. L'esempio di Barcellona: bande riconosciute come associazioni giovanili
Manuela Cartosio
Inviata a Genova
Vestono a lo ancho: calzoni larghi con il cavallo basso, felpa abbondante, cappellino con la visiera all'indietro. Nell'umanità varia che nel tardo pomeriggio affolla il lungomare tra Principe e Caricamento la divisa transnazionale dei giovani latinos spopola. I primi che abbordiamo, quindicenni con il pallone sotto il braccio, mangiano subito la foglia: «E' una giornalista. E' venuta a Genova per i Latin Kings». Stefano, genitori cileni, sa persino indicare il libro giusto sull'argomento: «Il fantasma delle bande, me l'ha dato la professoressa». Una bella soddisfazione per Luca Queirolo Palmas e Andrea Torre, i due sociologi delle migrazioni curatori del libro (Fratelli Frilli Editori). Breve riassunto per chi non sta a Genova.
I Latin Kings sono la nacion di pandillas più antica e ramificata della raza latina. Seguono le migrazioni, come la banda rivale dei Netas. Entrambe sono presenti a Barcellona e a Madrid. I ricongiungimenti familiari, seguiti alla sanatoria del 2002, hanno fatto arrivare a Genova migliaia di giovani dall'Ecuador. Subito è partita una martellante campagna mediatica, condotta per due anni da Il Secolo XIX, che ha imputato alle «bande» scippi, furti, pestaggi, accoltellamenti. Fatti reali attribuiti a entità ancora virtuali. Il fantasma, costruito per fini anche di marketing, ha agito sulla realtà. Tre gli effetti principali. 1)Rovesciando lo stigma in emblema identitario, un ristretto numero di giovani latinos - la stima oscilla tra i cento e i duecento - hanno costituito una o più bande di cui poco si sa e molto si favoleggia. 2)Le presunte «colpe» dei figli hanno modificato il giudizio dei genovesi sulle donne ecuadoriane: brave colf e badanti, finché erano sole; persone inaffidabili, dopo i ricongiungimenti familiari. 3) A esprimere i giudizi più severi sulle bande sono proprio gli ecuadoriani. Una reazione difensiva, un modo per dire: «Io non sono come loro».
Richiuso il libro, torniamo sulla strada. Non per cercare i Latin Kings: «parlamentare» con loro richiede un rapporto di fiducia, malleverie e autorizzazioni che non si improvvisano. Ma per verificare cosa pensano del fenomeno i latinos di Genova. Dai ragazzini del nostro primo incontro traspare una punta d'invidia per i pandilleros. «Si trovano alla Fiumara, il centro commerciale verso Sampierdarena, fanno i fichi. Lì noi non ci possiamo andare. Se vedono che ti vesti largo, che cammini un po' così ti picchiano perché sei nella loro zona». Loro, più che dei Latin Kings, preferiscono parlare dei compagni di scuola italiani. «Sono ipocriti e razzisti. Mi dicono: cane nero torna al tuo paese. E finisce a botte», racconta il più mingherlino e il più moreno, soprannominato Hulk. «Mi aspettavo una cosa diversa qui in Italia. Ho trovato disprezzo. Sono legato alla famiglia, ma se riesco a guadagnare un po' di soldi torno in Ecuador». Su quale sia il modo migliore per fare tanti soldi il gruppetto viaggia compatto: «Giocare a pallone». Saluti e una raccomandazione: «Scriva che siamo belli e simpatici».
La Commenda è la piazza degli ecuadoriani. E' piena di maschi adulti che si fanno la prima birretta di fine lavoro, vengono dai cantieri del centro storico. Bande? Latin Kings? Tutti fanno finta di non capire. Anche la signora che vende frutta e prodotti latinos scappa dentro il negozio.
Ci va meglio ai giardini del Porto Antico. Angelica si riposa su una panchina mentre il figlio di 4 anni gioca sotto le palme. Ha una gran voglia di parlare. Ha 35 anni, è arrivata dall'Ecuador 7 anni fa con il marito, «qui si è scatenato e mi sono divisa». Appena sente la parola «bande», parte in quarta. «Mi spiace dirlo, ma sulle bande avete ragione voi italiani. I ragazzi arrivano qua con un'altra mentalità. Marinano la scuola, fumano, litigano. Colpa delle madri che li lasciano troppo liberi. Alla Fiumara li ho visti anch'io, fanno mucchio». Non è un gran delitto far mucchio, obiettiamo. «Fanno anche dell'altro, altrimenti non ci sarebbe una macchina della polizia che li sorveglia tutto il giorno, non ci sarebbero i titoli sui giornali. Prima per noi era facile trovare lavoro presso le famiglie. Adesso appena sentono la parola Ecuador dicono no, no, per carità. Preferiscono le peruviane o le slave». Angelica fa la colf a ore, lascia il bambino all'asilo alle 8 e lo riprende alle 18. Arrotonda affittando una stanza. Non ha mai avuto il permesso di soggiorno. «Nessuno vuole mettermi in regola». Lo dice come se fosse una cosa naturale, molto meno grave delle bande, che descrive usando gli stereotipi dei media.
«Inutile che lei vada in giro a chiedere. E' una ley. Della banda non si parla con gli estranei», taglia corto Susanna, specchietto in una mano, pinzetta delle sopracciglia nell'altra, rotonda gattina diciottenne accovacciata per terra tra le bancarelle di fianco a Palazzo San Giorgio. «Le bande ci sono in Ecuador e anche qui, si mettono insieme per essere forti. Però non sono miei amici». Alla discoteca Victor latino, che Susanna frequenta abitualmente, di pandilleros non ne ha mai visti. A Genova da otto mesi, «in vacanza da amici» dopo il diploma da infermiera, non vuole essere ingabbiata in appartenenze etniche. «Qui c'è più libertà e indipendenza. Decidi da sola». La libertà lontano da casa avrà pure i suoi costi, ammette, ma in Ecuador si sta peggio. Quindi, partire «vale la pena».
Laconici e scocciati tre studenti dell'istituto tecnico Gaslini, intenti a guardare le vetrine: «Non ci piacciono le bande, non cerchiamo casini né a scuola, né fuori. Se ti fai i cavoli tuoi, gli italiani ti rispettano». Al ristorante vicino a San Lorenzo, il cameriere David (viene da Guayaquil) esibisce con orgoglio il suo approdo tra gli integrati. «Io guardo avanti, cerco il nuovo. Quelli delle bande sono prigionieri di un circolo vizioso, per affermare la loro identità ripetono le cose dei nonni. Sono il primo a criticarli, non li frequento, rubano anche a noi». David non si vergogna d'essere latino, però non ci sta a essere messo nello stesso mazzo dei pandilleros. «Per pochi, paghiamo tutti. Gli italiani sono diventati più diffidenti».
Per quanto casuali e frammentari, questi incontri ci dicono che il fantasma delle bande è il sintomo del problema vero: quello della «seconda generazione». La peculiarità di Genova, spiega la psicologa Cristiana Vasino, è che la seconda generazione non è nata in Italia, il trauma della migrazione s'intreccia con l'età ingrata dell'adolescenza, la perdita di status della figura paterna, lo sfilacciarsi della famiglia transnazionale. «Sui banchi di scuola arrivano frotte di adolescenti confusi e sbalestrati, passati in 24 ore dalle cure affettuose di una nonna a una madre che quasi non conosci, da cui ti sei sentito abbandonato anche se mandava i soldi a casa. Assente anche qui, perché deve lavorare». L'impatto con Genova è deludente, immaginavano una città americana e si ritrovano nei caruggi o nelle periferie del Ponente post industriale. In patria avevano quasi il diploma in tasca, qui sono retrocessi in prima o seconda classe. Disagio, malessere, rabbia sono reazioni più che naturali. Le bande, per quanto il fenomeno sia stato enfatizzato, nascono da una rabbia condivisa, di gruppo. La scuola cerca d'andare incontro a questa rabbia. Un tentativo è il progetto Oasi (Orientamento e assistenza studenti immigrati) che la dottoressa Vasino porta avanti dal 2003 in due istituti professionali. Primo anno durissimo; secondo un po' meglio, «abbiamo puntato sulle autobiografie»; terzo, un film realizzato da studenti latinos e genovesi: Caro amico ti scrivo, da spedire in Ecuador ai coetanei in partenza.
Decostruito il fantasma delle bande, riportato il fenomeno alle sue reali dimensioni, sbollita la febbre mediatica, resta comunque molto da indagare e da fare, dice Andrea Torre, direttore del Centro studi Medi (Migrazioni nel Mediterraneo). «Con il Comune di Genova abbiamo appena avviato una ricerca-azione. L'obiettivo è di far emergere le bande». Il che richiede che al primo incontro la Questura non faccia una retata. Barcellona è un buon esempio da seguire. Latin Kings e Netas hanno firmato la pace. Dietro c'è l'intelligente lavoro dell'amministrazione comunale di Barcellona. Un grande convegno lo scorso novembre ha suggellato il coming out dei pandilleros. Da parte sua, il Comune ha riconosciuto le bande come «associazioni giovanili» che chiedono «spazi», una vita più dignitosa, corsi di formazione, lavoro. La «Bibbia» dei Latin Kings, il codice di comportamento per gli affiliati, è stata tradotta in uno Statuto.
Questo conferma quel che i sociologi sanno da sempre: le bande sono associazioni identitarie, comunitarie, affettive, sincretiche, di resistenza e di mutuo soccorso. Talvolta delinquono, ma non sono organizzazioni criminali.
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