Autore: ugo Data: To: forum sociale di genova Oggetto: [NuovoLab] Storie 27 anni fa veniva ucciso Marcelo Quiroga
Il nemico boliviano
della Gulf Oil
Nel 1969 il governo di La Paz nazionalizzò per pochi mesi l'industria petrolifera.
L'autore di quell'atto, il ministro Marcelo Quiroga Santa Cruz, non ebbe
più vita facile, finché non venne ucciso dalla dittatura del generale Garcìa
Meza
F.Pilla 13 maggio 2006
Quella mattina del 17 luglio 1980 Marcelo Quiroga Santa Cruz si era svegliato
prestissimo, come di consueto. Aveva indossato la camicia bianca appena inamidata
da Cristina, si era annodato la cravatta e aveva calzato i suoi mocassini.
Il sole era molto caldo e la giacca appesantiva la sua pelle, ma Marcelo
la metteva ogni giorno e l'avrebbe fatto anche oggi. Mentre sorseggiava il
suo mate, pensò compiaciuto alla sua primogenita Marisol ormai divenuta una
donna, e salutò idealmente il secondo figlio Rodrigo, emigrato per studiare
in Germania. Baciò sua moglie e lasciò la casa nel centro di La Paz per dirigersi
alla sede della Centrale operaia boliviana. Era una giornata piena di impegni,
Marcelo dopo il colpo di stato contro il neoeletto presidente Hernán Siles
Zuazo, orchestrato dal generale Luis García Meza, era nervoso e aveva una
riunione con i compagni del sindacato per organizzare l'opposizione. Non
era ancora mezzogiorno quando udì delle urla e sentì le scarpe pesanti dei
militari salire frettolosamente le scale. In quel momento capì che non sarebbe
stato il solito controllo: si arrivava alla resa dei conti. I paramilitari
- uomini della scorta di Hugo Banzér Suarez, si seppe dopo - costrinsero
tutti i presenti a scendere le scale in una fila ordinata. Cercarono di separarlo
dagli altri, ma Marcelo si divincolò e tornò al suo posto. Arrivati al pianoterra
iniziarono gli insulti e le percosse, Marcelo intese e alzò le mani in segno
di resa. Partì una raffica di proiettili che gli trapassò il torace, mentre
una serie di colpi uccise Carlos Flores, il suo compagno di lotte nonché
dirigente sindacale. Marcelo barcollò e crollò sul corpo di Carlos. I paramilitari
trascinarono tutti per le scale, vivi e morti, li caricarono su di un'autoambulanza
e li portarono allo stato maggiore.
Dalle foto scattate nella sede delle forze armate sappiamo che Marcelo arrivò
ancora vivo. Le immagini lo ritraggono esangue mentre indica qualcosa fuori
dall'obiettivo. Alle cinque del pomeriggio arrivò una telefonata alla moglie
Cristina Quiroga: «Non cercatelo più, Marcelo è morto». Quanto accaduto dopo
è ancora un mistero. Secondo le ricostruzioni del processo al generale García
Meza, condannato negli anni novanta per aver dato l'ordine di assassinarlo,
i militari si liberarono dei cadaveri senza che i medici legali eseguissero
l'autopsia, ma prima vollero infierire con calci, colpi di baionetta e altri
spari. Il corpo di Marcelo, torturato e seviziato prima di morire, fu fatto
a pezzi, bruciato nella fonderia di Vinto, nei pressi di Oruro e, per non
essere mai più ritrovato, disperso nella selva. Lo stato maggiore aveva il
timore di una rivolta popolare.
Battaglie per la sovranità popolare
Marcelo Quiroga Santa Cruz, socialista, è stato una figura centrale nelle
lunghe battaglie dei boliviani per la sovranità popolare dagli anni sessanta
in poi, ed è stato uno dei più strenui sostenitori della nazionalizzazione
del petrolio boliviano (da poco rimessa in atto dal presidente Evo Morales
contro lo strapotere delle compagnie petrolifere). Nel 1969 fu lui, in qualità
di ministro delle miniere e del petrolio del governo Ovando, a firmare il
decreto che rendeva gli idrocarburi della Bolivia un bene pubblico. Una vittoria
per il paese e per Marcelo, se non fosse che dopo pochi mesi il petrolio,
sotto la pressione degli Usa e della Gulf Oil, fu nuovamente privatizzato.
Marcelo si trovò a dover iniziare una lunga opposizione, durata dieci anni,
ai generali-dittatori e agli interessi delle multinazionali del petrolio,
un impegno che gli sarebbe costato la vita. Oggi nella sua terra è considerato
un eroe civile per la sua condotta irreprensibile; e anche una sorta di Cassandra
che ha previsto e denunciato il destino della nazione, ricchissima di materie
prime (la Bolivia è il secondo produttore di gas dell'America del sud) ma
la più povera dell'area. La storia del leader socialista è quasi sconosciuta
fuori dai confini boliviani, le sue vicissitudini si perdono nelle foreste
insieme al suo corpo.
La prima interpellanza per chiedere conto della marcia indietro sulla nazionalizzazione
degli idrocarburi, Marcelo la tenne in una sola notte. Aveva chiesto un dibattito
di almeno tre giorni, ma il governo, per paura che l'opinione pubblica potesse
reagire, lo obbligò a esporre i fatti in un'unica seduta. Marcelo parlò per
14 ore di fila senza mai fermarsi, nonostante le angherie e le continue interruzioni
dei parlamentari. Ecco alcuni stralci del suo discorso: «La legge sul petrolio
è stata scritta da avvocati pagati dalle compagnie straniere con l'evidente
proposito di garantire loro guadagni smisurati a spese della nostra misera
economia nazionale... Questa legge ha trasferito la proprietà e il diritto
di esportazione del petrolio alle imprese private, violando la costituzione.
Non consente allo stato di controllare i guadagni delle compagnie petrolifere
alle quali fa pagare tasse ridicole... Dobbiamo controllare il prezzo dei
combustibili se vogliamo industrializzare il paese: non avremo mai le acciaierie
se i costi non lo permettono, e i costi non saranno mai bassi se il combustibile
è caro». All'alba Marcelo lasciò la sede del parlamento, era atterrito moralmente,
sconfortato e sfinito fisicamente. Poche settimane dopo si dimise e da quel
momento divenne un uomo scomodo per tutti i governi che poi si succedettero.
Ma già nel 1966, quando era stato eletto come deputato indipendente, era
stato immediatamente chiaro che Marcelo Quiroga Santa Cruz era un uomo che
doveva essere fermato. Nel 1968, dopo l'assassinio di Ernesto Che Guevara,
in Bolivia per organizzare una campagna rivoluzionaria, Santa Cruz chiese
l'incriminazione di René Barrientos quale infiltrato della Cia e per il ruolo
che aveva avuto nel delitto insieme ai berretti verdi statunitensi. Chiese
quindi l'espulsione di Barrientos dal parlamento e il suo imprigionamento
in Amazzonia. Per tutta risposta fu lui ad essere accusato di spionaggio.
Quiroga si presentò spontaneamente in tribunale: fu arrestato dalla Direzione
d'investigazione criminale e confinato nella giungla, nella regione di Madidi.
Una breve tranquillità
Fu liberato durante il breve mandato di Luis Adolfo Siles Salinas per poi
diventare ministro del petrolio durante il governo del generale Alfredo Ovando
Candia. La sua tranquillità però durò poco. Nel 1971 aveva appena fondato
il Partito socialista uno (Ps-1) quando avvenne il colpo di stato di Hugo
Banzér. Marcelo, nel momento in cui seppe della presa militare del parlamento,
imbracciò il suo vecchio fucile e scese nelle strade a combattere insieme
a studenti e operai. Per un giorno intero la resistenza fronteggiò i militari,
le perdite tra i civili furono alte, la rivolta venne sedata nel sangue.
Quiroga fu costretto ad andare in esilio con moglie e figli in Argentina.
Qui divenne commentatore del periodico Noticias (ala rivoluzionaria del peronismo)
e insegnò all'Università di Buenos Aires. Dopo il colpo di stato di Pinochet,nel
1973, si trasferì in Messico, dove scriveva per El Día, ottenendo una cattedra
universitaria all'Unam. Era il 1977 quando Marcelo decise di tornare in patria.
Il nipote José Antonio organizzò il suo rientro. Con documenti falsi attraversò
la frontiera del Perù. Una coppia di amici lo aspettava in macchina: lo aiutarono
e lo tennero nascosto. Dopo qualche mese la dittatura di Banzér cominciò
a vacillare. Iniziarono quattro donne con uno sciopero della fame contro
i delitti e le prepotenze della dittatura. In due settimane erano in migliaia
a digiunare. Banzer cadde, Marcelo riorganizzò il Partito socialista, che
divenne il quarto nel paese durante le elezioni che lo portarono nuovamente
in Parlamento. Appena venne eletto, il leader del Ps-1 iniziò il processo
a Banzér. «Il generale e i suoi ex ministri hanno imprigionato, assassinato
e torturato» - disse Quiroga in un discorso parlamentare. «I funzionari di
Banzér hanno arraffato a piene mani generosi crediti a fondo perduto e decine
di migliaia di ettari statali sono stati spartiti fra ministri parenti e
amici del regime. Per i contadini invece, solo repressione e massacri».
Presto la Bolivia ripiombò nel caos. Le elezioni del '79 e dell'80 furono
segnate da brogli. Ci furono colpi di stato, rovesciamenti di fronte e governi
guardiani. Nel marzo 1980, il generale Luis Garcìa Meza fu l'artefice di
un violento golpe. Il suo governo sarebbe divenuto tristemente noto per le
violazioni dei diritti umani, il narcotraffico, la cattiva gestione economica
e finanziaria. Perfino gli Usa gli rifiutarono ufficialmente qualsiasi relazione
politica formale. Il 21 giugno 1980 Meza minacciò pubblicamente Marcelo:
il 17 luglio lo fece assassinare. Il rapporto ufficiale parla di 13 morti
e dieci feriti nell'assalto alla Centrale operaia, la stampa riportò le immagini
di almeno ottanta cadaveri, il popolo ricorda che quel giorno morirono in
duecento: corpi accatastati nei camion e fatti sparire. Ancora oggi la vedova
Cristina Quiroga Santa Cruz e i suoi figli non sanno dove siano stati dispersi
i resti di Marcelo e chiedono di veder condannati i suoi assassini.
Ugo Beiso