il manifesto 7 maggio 2006
L'intervento
L'arma assoluta di Atene: la democrazia
Mario Pianta
Otto notizie. Le due più vecchie sono di marzo. I governi di Francia e altri paesi hanno introdotto una tassa sui voli aerei che dovrà finanziare interventi sui problemi globali: la prima tassa sulla globalizzazione. E poi, al vertice messicano sull'acqua, la resa di chi pensava che gli investitori privati potessero sostituirsi agli stati e alle comunità nel costruire acquedotti: l'acqua ritorna un bene comune.
Le altre sono di questi giorni. Il Gruppo dei 77, che alle Nazioni Unite raccoglie 132 paesi poveri, blocca la proposta di riorganizzazione «manageriale» imposta a Kofi Annan dalle pressioni di Washington. Con la minaccia di tagliare i fondi, gli Usa vogliono concentrare i poteri nelle mani di Segretariato e Consiglio di Sicurezza, alla faccia della riforma.
Al Fondo monetario, dove si contano le quote di capitale e non i voti dei 184 paesi membri, si discute una riforma che estenderà le quote (e i voti) di nuovi paesi industriali come Cina, Corea del Sud, Messico, Turchia, Malaysia, Thailandia e Singapore.
All'Omc, i negoziati sulla liberalizzazione del commercio non hanno portato a un accordo entro la data prevista del 30 aprile e lo slancio che l'agenda di riduzione delle tariffe sembrava aver ripreso sei mesi fa, al vertice di Hong Kong, si sta spegnendo, tanto che gli Usa hanno sostitutito il loro rappresentante commerciale.
Aggiungiamo due aggiornamenti europei: in Francia, come tutti sapete, la lotta di giovani e studenti contro il precariato del contratto di primo impiego ha portato alla ritirata del governo. In Germania la coalizione di governo decide invece di aumentare le tasse per contribuire a pagare i costi del welfare.
Infine, il gran finale boliviano. Le risorse naturali, petrolio compreso, appartengono ai paesi e le decisioni su come disporne spettano ai cittadini, con elezioni e programmi di governi, non alle scelte di pochi consiglieri d'amministrazione che hanno portato i profitti delle multinazionali petrolifere a record mai visti. Una cosa ovvia per un'Italia che ha basato il suo sviluppo anche sul ruolo chiave dell'Eni, ex impresa pubblica. Una cosa semplice, che non ha creato agitazione neanche negli editoriali dei giornali americani.
A legare le otto notizie c'è il fatto che di tutte queste cose, tutte insieme, se n'è parlato nei Forum sociali degli ultimi cinque anni, da Porto Alegre a Bamako, e quasi soltanto lì. Per tutti gli altri, i realisti, era un'utopia irrealizzabile chiedere riforme delle istituzioni internazionali, tasse globali e nazionali, beni comuni e nazionalizzazioni delle risorse naturali. Ora succede. Qualche governo (perfino di destra) e addirittura il terribile Fondo monetario fanno i conti con quello che i movimenti di tutto il mondo hanno chiesto. Sarebbe banale pensare che è la fine del neoliberismo: era morto da un pezzo. Più interessante è pensare che siano i primi segni di democrazia che riappaiono sulla scena dell'economia globale. La democrazia chiesta in questi anni in centinaia di manifestazioni e decine di Forum internazionali. Forse ad Atene il Social Forum Europeo ha dimenticato di programmare una discussione su «Le nostre vittorie», ma non c'è altro modo di vedere questi sviluppi, per quanto timidi possano essere.
E' il successo di un'arma nuova, capace di sconfiggere multinazionali e governi «cattivi», e di convincere governi «buoni» e poteri economici che le persone vengono prima dei profitti, i cittadini prima degli investitori. Un'arma assoluta, la democrazia. Quella di Atene, appunto.
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