[Lecce-sf] Fw: [no-ogm-ra] Cercarono di fucilare Chavez

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Szerző: Rosario Gallipoli
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Sent: Tuesday, May 02, 2006 11:08 PM
Subject: [no-ogm-ra] Cercarono di fucilare Chavez


www.resistenze.org - popoli resistenti - venezuela - 18-04-06


da www.rebelion.org
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=29916

Esclusive dichiarazioni di Fidel Castro a Ignacio Ramonet tratte dal suo libro "Fidel Castro, biografia a due voci":
"Cercarono di fucilare Chavez, ma il plotone si rifiutò di sparare"

Ignacio Ramonet
14/4/206

Nel libro "Fidel Castro, biografia a due voci", pubblicato dalla casa editrice Debate, il presidente cubano ha confidato a Ignacio Ramonet i retroscena sui fatti dell'aprile 2002, il fallito golpe in Venezuela.

Castro afferma che chiamò Miraflores prima che Chávez si arrendesse, e gli disse:
"Non ti immolare, Hugo; non fare come Allende che era un uomo solo; tu hai il grosso dell'Esercito, non ti dimettere, non rinunciare."
Quindi avrebbe incaricato il cancelliere Felipe Pérez Roque di raggiungere subito Caracas, con due aeroplani, per portare con sé Chávez. Poi prese contatto con "un generale che stava con lui" per insistere affinchè andasse a liberarlo, assicurandolgi che il suo Presidnete non avrebbe mollato.



Fidel Castro, pur avendo fatto molti discorsi pubblici, ha concesso poche interviste, e di lunghe interviste con lui ne sono state pubblicate solo quattro in 50 anni. La quinta, concessa al direttore di Le Monde Diplomatique, Ignacio Ramonet, si è trasformato nel libro "Fidel Castro, biografia a due voci, riassunto della vita e del pensiero del capo di Stato di Cuba in cento ore di conversazione"
La prima parte dell'intervista incominciò alla fine del gennaio del 2003, e l'ultima, nel Dicembre del 2005. In queste pagine si pubblica un estratto dell'intervista circa la successione di Castro, che ha ormai 79 anni. Come dice il comandante, continuerà "finché lo decide l'Assemblea Nazionale a nome del popolo cubano." Il libro, di prossima apparizione, sarà pubblicato in Debate.

II Parte

Lei ha detto che prova molta ammirazione per Hugo Chávez, il presidente del Venezuela.

Sì, lì c'è un altro altro indigeno, Hugo Chávez, uno che come dice lui scherzando, è una miscela di indio e meticcio. Ma quando guardi Chávez guardi un vero figlio del Venezuela, il figlio di quel Venezuela che è stato un miscuglio, ma con tutti quei nobili tratti ed un talento eccezionale, davvero eccezionale.
Io ascolto sempre i suoi discorsi; è orgoglioso della sua origine umile, della sua etnia meticcia, dove c'è un po' di tutto, più che altro degli indigeni autoctoni o degli schiavi portati dell'Africa.
Può essere che abbia alcuni geni da bianco, e questo di per sé non è certo niente di male, la miscela è sempre qualcosa di buono, che arricchisce l'umanità.

Lei ha seguito da vicino l'evoluzione della situazione in Venezuela, anche i tentativi di destabilizzazione contro il presidente Chávez?


- Sì, abbiamo seguito con molta attenzione gli avvenimenti. Chávez ci fece visita quando uscì da prigione, prima delle elezioni del 1998. Fu molto coraggioso perché gli rimproverarono molto quel viaggio a Cuba. Scoprimomo in quell'occasione un uomo colto, intelligente, molto progressista, un autentico bolivariano. Poi vinse le elezioni. Varie volte. Cambiò la Costituzione. Con un formidabile appoggio popolare, della gentie più semplice. Gli avversari hanno tentato di asfissiarlo economicamente.
In Venezuela, nei quaranta famosi anni di democrazia che ha preceduto Chávez, io calcolo che siano stati saccheggiati, più o meno, circa 200 miliardi di dollari. Il Venezuela poteva essere più industrializzato della Svezia ed essere al suo stesso livello, se ci fosse stata una democrazia distributiva reale, se quei meccanismi avessero funzionato, se ci fosse stato qualcosa di certo e di credibile in tutta quella demagogia e in tutta quella propaganda.
In Venezuela, da quando è arrivato Chávez al potere, fino a quando si è consolidato il controllo dei cambiamenti, nel gennaio 2003, calcoliamo che siano usciti dal paese circa 30 miliardi di dollari, per fughe di capitale.


L' 11 aprile del 2002 ci fu un colpo di Stato a Caracas contro Chávez, ha seguito quegli avvenimenti?


- Quando abbiamo saputo che la manifestazione dell'opposizione era stato deviata e si avvicinava a Miraflores, che erano in corso delle le provocazioni, gli spari, le vittime, e che alcuni alti ufficiali si erano ribellati e avevano attaccato pubblicamente il presidente, e che la guardia presidenziale si era ritirata e l'esercito stava per arrestarlo, io ho chiamato Chávez. Perché sapevo che in quei momenti si sarebbe sentito indifeso, e che era un uomo di saldi principi, e gli ho detto: "Non ti immolare, Hugo! Non fare come Allende! Allende era un uomo solo, non aveva un soldato.Tú hai il grosso dell'esercito. Non ti dimettere! Non rinunciare!."


Stava incoraggiandolo a resistere con le armi in pugno?


- No, al contrario. Quello è stato ciò che che fece Allende, e lo pagò eroicamente con la sua vita. Chávez aveva tre soluzioni: trincerarsi in Miraflores e resistere fino alla morte; fare un'appello al popolo, all'insurrezione e scatenare una guerra civile; o arrendersi, senza rinunciare, né dimettersi.
Noi gli abbiamo consigliato la terza.
Che era ciò che aveva deciso di fare anche lui. Perché lo insegna la storia, ogni dirigente popolare abbattuto in quelle circostanze, se non viene amazzato, viene acclamato dal popolo, e prima o poi ritorna al potere.


In quel momento avete tentato di aiutarlo?


Ebbene, noi potevamo agire solo usando le risorse la diplomazia. Allora abbiamo convocato in piena notte tutti gli ambasciatori accreditati all'Avana e abbiamo proposto o loro che accompagnassero Felipe, Pérez Roque, il nostro ministro degli Esteri a Caracas per riscattare Chávez, il legittimo Presidente del Venezuela.
Proponemmo di usare due aeroplani per portarlo qui, nel caso che i golpisti avessero deciso di mandarlo in esilio.
Chávez era stato fatto prigioniero dai militari golpisti e si erano perse le sue tracce. La televisione diffondeva la notizia della sua "dimissione" per smobilitare i suoi sostenitori, il popolo.
Ma quando gli hanno lasciato fare una telefonata ha potuto parlare con sua figlia María Gabriela ed avvisarla del fatto che non si è dimesso, che non aveva rinunciato al potere. Che era un "presidente arrestato." Chavez gli chiede allora che diffonda quella notizia, e la figlia ha l'idea audace di chiamarmi e mi informa. Mi conferma che suo padre non è dimitido.
Dcidiamo allora di assumere la difesa della democrazia venezuelana, perché eravamo sicuri che paesi come Stati Uniti e Spagna - il governo di José María Aznar - che tanto parlano di democrazia e tanto criticano Cuba, in realtà stavano appoggiando il colpo di Stato.
Chiediamo a María Gabriela di fare questa dichiarazione e registriamo la conversazione di lei con Randy Alonso, l'autista del programma "Mesa Redonda" della televisione cubana, che ha subito una forte eco internazionale. Inoltre, convochiamo tutta la stampa straniera accreditata a Cuba - dovevano essere le quattro della notte -, li informiamo e facciamo sentire loro la dichiarazione della figlia di Chávez. Immediatamente, la CNN l'ha trasmessa e in tutto il Venezuela la notizia si è diffusa come il fuomo della polvere da sparo.

Che conseguenze ha avuto?

La notizia l'hanno sentita i militari fedeli a Chávez che erano stati ingannati con la bugia della rinuncia, fatto che mi ha permesso di contattare un generale sostenitore di Chávez; gli parlo e gli confermo personalmente che quello che aveva detto la figlia era vero, e che tutto il mondo era già al corrente del fatto che Chávez non si era dimesso. Parlo con lui a lungo, che mi informa della situazione militare, di quali ufficiali superiori stanno con Chávez e di quali no. E' sato a questo punto che ho capito che c'erano ancora speranze, perché le migliori unità delle Forze armate, le più combattive, le più addestrate stavano con Chávez.
Così dico a quell'ufficiale che la cosa più urgente era sapere dove si trovava Chávez, e che bisognava nviare sul posto truppe leali a liberarlo.
Mi chiede allora di parlare col suo superiore gerarchico, e me lo passa. Gli ripeto quello che ha affermato la figlia di Chávez, e che lui continua ad essere il presidente costituzionale. Gli ricordo la lealtà necessaria, gli parlo di Bolivar e della storia del Venezuela... E quell'alto ufficiale, in un guizzo di patriottismo e di fedeltà alla Costituzione, mi afferma che se è vero che Chávez non si è dimesso, continua ad essere fedele al presidente arrestato.

Ma in quello momento non si sa ancora dove sia Chávez,vero ?

- Chávez, nel frattempo è stato portate sull'isola di L'Orchila. È isolato. Si reca da lui l'arcivescovo di Caracas e gli consiglia di dimettersi "Per evitare una guerra civile", gli dice. Gli fa un ricatto umanitario. Gli chiede che scriva una lettera dicendo che si dimette. Chávez non sa quello che sta succedendo a Caracas né in tutto il paese. Hanno già cercato di fucilarlo, ma il plotone di soldati incaricato di sparare non ha voluto ed ha minacciato di ribellarsi. Molti dei militari che custodiscono Chávez sono disposti a difenderlo ed ad evitare l'assassinio. Chávez tenta di guadagnare tempo col vescovo. Fa brutte copie di una dichiarazione.
Teme che una volta la lettera sia scritta, lo ammazzino. Non pensa di rinunciare. Alla fine dichiara che dovranno ammazzarlo prima. E che non ci sarà soluzione costituzionale.

Nel frattempo voi eravate pronti con gli aeroplani con l'intenzione di portarlo in esilio?

- No, dopo quella conversazione coi generali venezuelani abbiamo cambiato piano. Sospendemmo la proposta di Felipe di viaggiare con gli ambasciatori a Caracas. Per di più, a d un tratto era arrivata la diceria che i golpisti stanno proponendo di espellere Chávez verso Cuba, mmediatamente noi annunciamo che se volevano mandare Chávez qui, lo avremmo rimandato in Venezuela col primo aeroplano.

Come ritorna Chávez al potere?

- In un primo momento c'è stato nuovo un contatto col primo generale col quale io avevo parlato, che mi informa che hanno localizzato Chávez e che sta nell'isola di L'Orchila. Conversiamo sul modo miglioredi liberarlo, con molta cautela, e gli consiglio tre cose fondamentali: discrezione, efficacia e forza molto superiore. I paracadutisti della base di Maracay, la migliore unità delle Forze armate venezuelane, fedele a Chávez, si incaricano della liberazione.
Frattanto, a Caracas, il popolo si è mobilitato chiedendo che Chávez ritorni, la guardia presidenziale è tornata ad occupare Miraflores ed esige anche il ritorno del presidente. Procede l'espulsione dei golpisti dal palazzo. Lo stesso Pedro Carmona, presidente della Confindustria e breve presidente usurpatore del Venezuela, viene arrestato lì, nel palazzo.
Finalmente, di buon mattino, il 14 aprile del 2002, liberato dai militari fedeli, Chávez arriva da Miraflores in mezzo ad un'apoteosi popolare. In quei due giorni non ho quasi dormito, per tutto il tempo del golpe di Caracas, ma è valsa la pena di vedere come il poplo e i militari patrioti hanno difeso la legalità. Non si è ripetuta la tragedia del Cile nel 1973.

Chávez è un rappresentante dei militari progressisti, ma in Europa ed anche in America Latina, molti progressisti gli rimproverano proprio di essere un militare. Che opinione ha lei a proposito di quell'apparente contraddizione tra il progressismo e la questione militare?

- Guardi, lì in Venezuela, c'è un esercito che sta svolgendo un importante ruolo in quela rivoluzione bolivariana. Ed Omar Torrijos, in Panama, fu esempio di un militare con coscienza. Anche Juan Velasco Alvarado, in Perù, portò a termine alcuni azioni di progresso degno di nota. Non bisogna dimenticare, per esempio, che tra gli stessi brasiliani, Luis Carlos Prestes fu un ufficiale che realizzò una marcia, nel 1924-1926 quasi come quella che fece Mao Zedong nel 1934-1935.
Jorge Amado scrisse a proposito della marcia, quella di Luis Carlos Prestes, una bella storia, "Il cavaliere della speranza", uno tra i suoi più magnifici romanzi - io li ho letti tutti -, e la marcia fu davvero qualcosa di impressionante, durò più di due anni e mezzo, percorrendo immensi territori del suo paese senza soffrire mai una sconfitta. Ci furono gesta popolari condotte proprio da militari.

Cito un militare del Messico: Lázaro Cardenas, un generale della rivoluzione messicana, quello che ha nazionalizzato il petrolio. Ebbe un valore molto grande, fece riforme agrarie e conquistò l'appoggio del popolo. Quando si parla delle questioni del Messico non bisogna dimenticarsi dei ruoli giocati da personalità come Lázaro Cradenas, e Lázaro Cradenas era di origine militare.
Non bisognerebbe dimenticare che i primi che nel secolo XX si ribellarono in America Latina, negli anni cinquanta, un gruppo di giovani che si ribellarono, erano giovani ufficiali guatemaltechi, insieme a Jacobo Arbenz preseo la via della rivoluzione.

Bene, non si può dire che sia un fenomeno generale, ma ci sono alcuni casi di militari progressisti.
Perón, in Argentina, era anche di origine militare. Bisogna vedere il momento in cui sorge; nel 1943 lo nominano ministro del Lavoro e fa delle leggi che quando lo incarcerano viene liberato dal popolo, ed era un capo militare. C'è anche un civile che ebbe influenza nei militari, che studiò in Italia, dove era stato anche Perón, che fu Jorge Eliécer Gaitán, ed erano leader popolari.

Perón era addetto all'ambasciata, e fu a Roma negli anni trenta nell'era mussoliniana, ed alcune delle forme e metodi di mobilitazioni di massa che vide lo impressionarono. Ci fu quell'influenza, in alcuni processi; ma in questi casi che ho menzionato quell'influenza, Gaitán e Perón, la utilizzarono in senso positivo, perché bisogna riconoscere che Perón fece riforme sociali. Perón commette, diciamo, un errore: offende l'oligarchia argentina, la umilia, gli toglie il teatro simbolico ed alcuni istituzioni prestigiose. Lavorò con le risorse che aveva il paese e migliorò le condizioni di vita dei lavoratori, e gli operai gli furono molto grati, per questo Perón si trasformò in un idolo dei lavoratori. - Guardi, lì in Venezuela, c'è un esercito che sta svolgendo un importante ruolo in quela rivoluzione bolivariana. Ed Omar Torrijos, in Panama, fu esempio di un militare con coscienza. Anche Juan Velasco Alvarado, in Perù, portò a termine alcuni azioni di progresso degno di nota. Non bisogna dimenticare, per esempio, che tra gli stessi brasiliani, Luis Carlos Prestes fu un ufficiale che realizzò una marcia, nel 1924-1926 quasi come quella che fece Mao Zedong nel 1934-1935. Jorge Amado scrisse a proposito della marcia, quella di Luis Carlos Prestes, una bella storia, "Il cavaliere della speranza", uno tra i suoi più magnifici romanzi - io li ho letti tutti -, e la marcia fu davvero qualcosa di impressionante, durò più di due anni e mezzo, percorrendo immensi territori del suo paese senza soffrire mai una sconfitta. Ci furono gesta popolari condotte proprio da militari. Cito un militare del Messico: Lázaro Cardenas, un generale della rivoluzione messicana, quello che ha nazionalizzato il petrolio. Ebbe un valore molto grande, fece riforme agrarie e conquistò l'appoggio del popolo. Quando si parla delle questioni del Messico non bisogna dimenticarsi dei ruoli giocati da personalità come Lázaro Cradenas, e Lázaro Cradenas era di origine militare. Non bisognerebbe dimenticare che i primi che nel secolo XX si ribellarono in America Latina, negli anni cinquanta, un gruppo di giovani che si ribellarono, erano giovani ufficiali guatemaltechi, insieme a Jacobo Arbenz preseo la via della rivoluzione. Bene, non si può dire che sia un fenomeno generale, ma ci sono alcuni casi di militari progressisti. Perón, in Argentina, era anche di origine militare. Bisogna vedere il momento in cui sorge; nel 1943 lo nominano ministro del Lavoro e fa delle leggi che quando lo incarcerano viene liberato dal popolo, ed era un capo militare. C'è anche un civile che ebbe influenza nei militari, che studiò in Italia, dove era stato anche Perón, che fu Jorge Eliécer Gaitán, ed erano leader popolari. Perón era addetto all'ambasciata, e fu a Roma negli anni trenta nell'era mussoliniana, ed alcune delle forme e metodi di mobilitazioni di massa che vide lo impressionarono. Ci fu quell'influenza, in alcuni processi; ma in questi casi che ho menzionato quell'influenza, Gaitán e Perón, la utilizzarono in senso positivo, perché bisogna riconoscere che Perón fece riforme sociali. Perón commette, diciamo, un errore: offende l'oligarchia argentina, la umilia, gli toglie il teatro simbolico ed alcuni istituzioni prestigiose. Lavorò con le risorse che aveva il paese e migliorò le condizioni di vita dei lavoratori, e gli operai gli furono molto grati, per questo Perón si trasformò in un idolo dei lavoratori.

Traduzione dallo spagnolo di FR


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