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Di chi è la colpa?
Pierluigi Sullo
Conosco Gianantonio Stella da anni, posso dire che lo considero un amico e apprezzo moltissimo il suo lavoro, i suoi libri e i reportage. Talvolta gli capita, però, di scrivere articoli, come si dice, "a tesi", smentendo così la sua vocazione di narratore e cronista. E' il caso di quel che ha scritto sul Corriere della Sera di giovedì a proposito degli insulti a Letizia Moratti e delle bandiere di Israele bruciate ai margini del corteo del 25 aprile a Milano. La tesi era: la "sinistra radicale", cioè il candidato alla presidenza della camera Bertinotti, non ha fatto abbastanza per isolare, emarginare e combattere i violenti e antisemiti che di nuovo, in quella occasione, hanno potuto fare quel che volevano. Godendo, se non della complicità, per lo meno dell'omertà di Rifondazione, del suo giornale e anche del manifesto.
L'articolo di Stella era parte delle quattro o cinque pagine che il Corriere della Sera ha quel giorno ha dedicato all'evento, aggiungendovi la polemica bolognese - di Cofferati - contro i consiglieri di Rifondazione, colpevoli di aver protestato contro un magistrato perché alcuni studenti, che si erano auto-ridotti il prezzo della mensa, sono stati accusati di "eversione", cioè in pratica di aver tentato un colpo di stato. Cofferati ha commentato - minacciando di buttar fuori dalla maggioranza Rifondazione e Verdi - che la "sinistra radicale" si comporta, nei confronti dei giudici, "peggio di Berlusconi".
Il tutto, lo capisce anche un bambino, è una guerra preventiva per mettere alle corde Bertinotti, che, come scrive lo stesso Corriere della Sera, sarà chiamato fin dal primo discorso da presidente della camera a "parlare a tutti e a tenere aperto il dialogo con i movimenti". Dove "tutti" e "movimenti" sono evidentemente intesi come termini antitetici, dato che "tutti" sono i bravi cittadini benpensanti e i "movimenti" quelli che bruciano le bandiere israeliane e commettono altri crimini, come autoridursi il costo della mensa.
Questo scenario mi tornava alla mente, giovedì mattina, guardando le facce compunte dei politici che dicevano: non è il momento di dividersi, è il momento del dolore, di stringersi alle famiglie e bla e bla e bla. Rutelli, eroico, ha commentato: i terroristi non ci faranno deviare dal nostro percorso. Tradotto: il nuovo governo non farà come Zapatero che, appena insediato, ordinò il ritiro immediato delle truppe spagnole dall'Iraq.
C'è, in questo atteggiamento, un cinismo nauseante. L'espressione forte non vuole essere retorica. Altri tre militari italiani sono morti [è morto anche un rumeno ma non è importante, ne muoiono già così tanti cadendo dalle impalcature dei cantieri edili italiani, e non frega niente a nessuno], molti altri sono feriti. Perché? Siamo andati lì a "ricostruire il paese"? A compiere una missione umanitaria? Ma lo stesso Prodi, in uno dei confronti in tv con Berlusconi, ha detto che della colossale cifra spesa per il contingente in Iraq, a fini civili sono stati spesi solo spiccioli, e Berlusconi ha balbettato che "bisogna pur dare lo stipendio ai militari". Siamo lì a piantare la bandierina su un giacimento di petrolio riservato all'Eni? Sì, è così, anche se nessuno lo dice, ed è solo l'ultima conferma che sull'energia è urgentissimo cambiare strada e non bruciare più fonti fossili, per smetterla con le guerre e con l'avvelenamento del pianeta. Siamo lì a fare da ausiliari alla guerra americana? Certo che sì, ma allora, per lo meno, bisognerebbe farla seriamente, la guerra, affrontando il nemico esterno e quello interno [i pacifisti] a viso aperto, fornendo alle truppe tutto il necessario a proteggersi e cercando di contare qualcosa anche nelle decisioni che Donald Rumsfeld prende anche contro il Pentagono [e l'opinione pubblica statunitense, se è per questo]. Altrimenti, andiamo via, subito, prima che altre vite umane precipitino sulle coscienze gommose dei politici ipocriti.
Perché Gianantonio Stella e i suoi colleghi non si pongono queste facili domande? Quelli del Corriere della Sera sanno benissimo che cosa siano quella cosa che chiamano "i movimenti", se non altro perché hanno una certa età e ricordano bene cosa accadeva in altre stagioni. Fin da Genova, e passando per Firenze e fino alla Val di Susa, si è pronosticato che i "violenti" avrebbero prevalso, che i "no global" sarebbero diventati un branco di teppisti. E lo sono diventati, nel mondo immaginario che il Corriere della Sera racconta. Sarebbe divertente chiedere a uno di quelli - e sono in numero ridicolo - che pensano bene di bruciare le bandiere di Israele, se lo fanno perché credono davvero sia un atto di "resistenza" o perché il fotografo e il cronista possano dare al gesto, e a chi lo fa, un'importanza spropositata.
Sì, certo, c'è una estrema sinistra, residuale e in numero trascurabile, che riproduce in forma di farsa la grande guerra del Novecento, l'uso della violenza per cambiare il mondo. Ma è quel metodo il cui fallimento definitivo ha dato luogo a un movimento globale, per cambiare il mondo, che cerca altri mezzi, che principalmente siano coerenti con i fini che ci si propone: aperti, inclusivi, dialoganti anche nel conflitto più duro [che c'è, come possono raccontare i valsusini aggrediti di notte da truppe di polizia nel novembre scorso]. Se fossero responsabili, i nostri "opinion makers", metterebbero in valore, o quanto meno studierebbero, lo strano fenomeno di una insorgenza sociale che - nonostante tutto, incluse le torture di Bolzaneto e il massacro della Diaz, per citare altri due episodi vergognosi - non ha mai effettivamente reagito con la violenza. Che strano, quant'è interessante, vero Gianantonio?
E invece non possono farlo. Perché implicherebbe guardare alla violenza che gli apparati della politica, e militari, dispensano a piene mani, inclusa la partecipazione alla guerra irachena. Dovrebbero per l'appunto finalmente chiedersi: chi e perché ha mandato quei tre militari a farsi ammazzare inutilmente in una città del sud dell'Iraq? Chi è colpevole, per quelle vittime?
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