[Lecce-sf] Fw: "MORTE BIANCA" PER MOLTI . ANTONINO PER NOI

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Autore: Maria
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Sent: Tuesday, April 25, 2006 8:42 PM
Subject: "MORTE BIANCA" PER MOLTI . ANTONINO PER NOI


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Movimento Politico Antiliberista e Pacifista - Brindisi



on line 25 aprile 2006

"MORTE BIANCA" PER MOLTI . ANTONINO PER NOI



Gli amici tutti del Movimento Politico A Sinistra piangono la morte di

Antonino MINGOLLA

Testimone di virtù civili e dedizione familiare,
operaio generoso strappato alla vita sul luogo di lavoro.

Mesagne, 18 aprile 2006



·        Avanti in memoria di Antonino, operaio. Sono passati 8 giorni dalla tragica scomparsa del nostro amico fraterno Antonino Mingolla, 46 anni, in un incidente sul lavoro nell'inferno dell'ILVA di Taranto ma solo ora riusciamo a trovare le parole per annunciarlo e iniziare a commentarlo. Antonino è cresciuto con noi contribuendo a tutte le esperienze che siamo stati capaci di mettere in piedi in questi lunghi anni. E' stato tra i fondatori del Movimento A Sinistra risultando lucida mente impregnata di valori autentici e di sofferta testimonianza sul posto di lavoro. Lascia alla tenacia della moglie Franca ed alla purezza dei figli Gabriele e Roberta una eredità bellissima e pesante: la contagiosa vitalità di un uomo "giusto" e l'impegno a disvelare gli ultimi momenti della sua esistenza per andare alla verità dell'incidente mortale. Anche noi amici ci faremo carico, fintanto che viviamo, di questa eredità, provando con tutte le nostre forze ad affiancare la famiglia. Che proprio per l'accertamento della verità sull'incidente ha incaricato l'amico e compagno avv. Stefano PALMISANO di Fasano. Di seguito l'articolo di Graziano Santoro, il primo tra noi a trovare la forza per dare commento ed espressione ai nostri pensieri ed ai nostri sentimenti.








AVANTI IN MEMORIA DI ANTONINO, OPERAIO

La drammatica morte nei cantieri Ilva di Taranto di Antonino Mingolla, avvenuta lo scorso 18 aprile, non ha trovato adeguato spazio su giornali e televisioni nazionali. Questa insopportabile tragedia non è stata considerata all'unanimità una notizia degna di essere raccontata a tutto il paese. In quei giorni c'era troppa carne al fuoco in materia di cronaca e spettacoli e, soprattutto, andava dato il giusto risalto ai preparativi per il compleanno della amata regina d'Inghilterra Elisabetta II. La scomparsa di un operaio, l'ennesima nerissima disgrazia sul lavoro (le chiamano "morti bianche") che va ad ingrossare un bollettino ogni giorno più angosciante, avrebbe rischiato evidentemente di turbare il sonno degli italiani. E' il segno dei tempi.

Tempi che pure non perdono occasione per sbatterci in faccia tutti i nefandi effetti di un modello economico-sociale imperniato sul profitto dei pochi a scapito dei diritti di tutti, che fa dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo una prassi consolidata e sempre più socialmente accettata, che in nome dell'accumulazione della ricchezza dei privilegiati reclama, e il più delle volte ottiene, il peggioramento delle condizioni del lavoro. Quel lavoro su cui ancora, stando almeno alla Costituzione, sarebbe invece fondata la nostra Repubblica.

Eppure sembriamo proprio non volercene accorgere, troppo beatamente presi dal torpore di una quotidianità disumanizzante che ci svuota e umilia mentre ci blandisce con l'illusione di una normalità effimera e scintillante che non ci riguarda. La realtà sono gli abbaglianti corridoi di un centro commerciale, sono le vacanze intelligenti, i telefonini di ultima generazione, le auto di lusso e gli abiti alla moda, le vicende di perfetti sconosciuti che nel giro di un'ora diventano eroi nazionali grazie al nulla che sfoggiano nei loro (appunto) "reality".

Cosa conta allora l'inferno sferragliante delle zone industriali alle porte delle nostre città? Cosa importano quei guard-rail e quelle strade all'ingresso di Taranto di color rosso ruggine, lo stesso delle polveri che arrivano direttamente dagli stabilimenti industriali e su di essi si posano, quanto rimane di ciò che ha trovato già posto nei polmoni di chi ci lavora all'interno? A chi importa se di lavoro ci si ammala e si muore? E cosa conta la morte di Antonino.

Antonino era una persona amabile, così dolce in quella sua determinazione che conquistava, con un senso del dovere che ha procurato soggezione in chiunque l'abbia conosciuto, limpido esempio di dedizione agli altri e alla famiglia. E con l'ironia disillusa di chi da questo mondo non si aspetta grandi regali che raccontava quel sorriso amaro, di rado assente dal suo volto di ragazzino impertinente. Al giorno d'oggi dunque, un perfetto signor nessuno. Che nelle nostre riunioni però ha offerto, ogni volta che i turni asfissianti glielo concedevano (ma quanto gli pesava il non poterci essere sempre.), quel lucido contributo nell'analisi e nella proposta che poteva essere proprio solo di un uomo che viveva in piena consapevolezza la sua gravosa eppure ineludibile condizione di operaio del ventunesimo secolo. Il rifiuto appassionato di ogni ingiustizia, il senso e il valore della solidarietà gli appartenevano nel profondo. Antonino era autenticamente una persona per bene.

Caduta in battaglia. Perché può dirsi "posto di lavoro" quel luogo in cui un uomo, per portare due soldi a casa che possano consentire una vita dignitosa alla propria famiglia, consuma la propria persona in un'occupazione alienante e nell'angoscia quotidiana del rischio di rimetterci la pelle? O non trattasi piuttosto di "trincea"? Chiedete a chi in certi stabilimenti ci lavora o ci ha lavorato. Vedete nelle loro testimonianze quante volte ricorrono i termini "paura di morire" e "rischio della vita". Questa è la normalità per migliaia di persone appartenenti ad una categoria oramai fuori moda, quella degli operai.

Ecco perché Antonino, anche lui vittima del ricatto infame a cui si è sottoposti quando nella vita ci si trova a dover scegliere tra una disoccupazione disgraziata e una occupazione assassina, non è morto per una fatalità. Questo intollerabile dramma dei giorni nostri non c'entra nulla con la sorte avversa, perché non c'entra nulla il fato con le condizioni disumane e di assoluta insicurezza in cui si lavora in quegli stabilimenti. I rapporti annuali sugli infortuni e le morti sul lavoro tolgono impietosamente tutti i dubbi a riguardo. Esistono invece responsabilità precise e pesantissime, responsabilità politiche e morali di coloro che si prodigano nell'edificare un'economia e una società a misura dei propri interessi e a scapito delle vite degli altri. E di chi ogni giorno, crogiolandosi nel disinteresse per tutto quanto gli passi anche a un palmo dal naso, ne fa il gioco infame. Sulle responsabilità penali la fiducia in una giustizia giusta e rapida è quella che con amarezza bisogna metterci in queste occasioni.

Adesso ci attende una pesante inevitabile responsabilità. Quella di non far finta di niente. Quella di non dimenticare. Quella di raccontare, vivere e lottare nell'esempio e in onore del sacrificio dei tanti ignoti Antonino della storia, nostri amati compagni di strada. Ci attende l'obbligo morale di trasformare il nostro dolore e la nostra rabbia in rinnovato vigore vitale e farci nuovi portatori del loro grido mai soffocato che anela giustizia per tutti. Se ne saremo degni e capaci.

Se no andiamo pure avanti così. Continuiamo ad odiarci l'un l'altro, ammazziamoci in guerra, per strada o sul lavoro, e chi riesce a portare le penne a casa, non perda una puntata del "Grande Fratello" e avanti tutta allegramente verso l'autodistruzione.



Mesagne, 23 aprile 2006

Graziano SANTORO
Movimento Politico A SINISTRA





«E' vero, ci hai ragione insomma, ho convenuto io conciliante, ma alla fine siamo seduti tutti su una grande galera, remiamo tutti da schiattare, puoi mica venirmi a dire il contrario!... Seduti su 'ste trappole a sfangarcela tutta noialtri! E cos'è che ne abbiamo? Niente! Solo randellate, miserie, frottole e altre carognate. Si lavora! dicono loro. E' questo che è ancora più fetido di tutto il resto, il loro lavoro. Stiamo giù nelle stive a sputare l'anima, puzzolenti, con le palle che ci sudano, ed ecco lì! In alto sul ponte, al fresco, ci sono i padroni e mica se la prendono, con belle femmine rosa tutte gonfie di profumo sulle ginocchia. Ci fanno salire sul ponte. Allora, si mettono il cappello dell'alta uniforme, e poi te ne sparano in faccia una del tipo: "Banda di carogne, è la guerra! ti fanno loro. Adesso li abbordiamo, 'sti sporcaccioni che stanno sulla Patria n. 2 e gli facciamo saltare la pignatta! Alè! Alè! C'è tutto quel che ci vuole a bordo! Tutti in coro! Spariamone una forte per cominciare, da far tremare i vetri: Viva la Patria n. 1»" (Louis Ferdinand Cèline, Viaggio al termine della notte.)











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