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Autor: Rosario Gallipoli
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Temat: [Lecce-sf] Fw: [aa-info] La Borsa petrolifera Iraniana non costituisce casus belli

Subject: [aa-info] La Borsa petrolifera Iraniana non costituisce casus belli


No, la Borsa del Petrolio in Iran non costituisce un casus belli…
by F. William Engdahl

10 marzo 2006
GlobalResearch.ca

( Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

Di recente, sono apparsi in buon numero documenti scritti riportanti
la tesi che il progetto annunciato dal governo Iraniano di istituire a
Teheran una Borsa Petrolifera, fin da questo mese, sia l’effettiva
ragione nascosta che sta nel retroscena della manifesta marcia verso la
guerra contro l’Iran da parte della potenza Anglo-Americana.
Secondo la nostra opinione, questa tesi è sbagliata, per molte
ragioni, e questa non ultima, che la guerra contro l’Iran è stata
pianificata già negli anni Novanta, come parte integrante e
fondamentale della strategia USA per il Grande Medio Oriente.
Più significativamente, l’argomento della Borsa Petrolifera è una
“falsa pista” che distoglie l’attenzione dalle reali ragioni
geopolitiche che stanno dietro alla marcia verso la guerra, che sono
state esposte in dettaglio in questo sito web, anche in un mio articolo
dal titolo “Calculating the Risk of War in Iran - Valutazione del
rischio di guerra in Iran” , che è stato mandato in diffusione su
GlobalResearch.ca il 29 gennaio 2006.
Nel 1996, Richard Perle e Douglas Feith, due neo-conservatori, che in
seguito hanno giocato un ruolo importante nella formulazione delle
politiche del Pentagono in Medio Oriente durante l’Amministrazione
Bush, sono stati gli autori di un documento per l’allora Primo Ministro
Israeliano di recente elezione, Benjamin Netanyahu. Questo documento
consultivo, “A Clean Break: a New Strategy for Securing the Realm, - Un
taglio netto: una nuova strategia per assicurarsi il dominio” faceva
appello a Netanyahu di dare un “taglio netto al processo di pace”.
Inoltre veniva raccomandato a Netanyahu di rafforzare le difese di
Israele per meglio affrontare la Siria e l’Iraq, e incalzare l’Iran
come sostegno della Siria.
Più di un anno prima, il Presidente Bush conclamava l’Operazione
“Shock and Awe – Colpisci e Terrorizza” contro l’Iraq, e nel gennaio
2002 inviava al Congresso il suo scellerato messaggio sullo Stato dell’
Unione in cui marchiava l’Iran, in compagnia dell’Iraq e della Corea
del Nord, come trio “Asse del Male”. Questo avveniva ben prima che
qualcuno a Teheran solo considerasse di mettere in piedi una qualche
Borsa per commerciare petrolio nelle varie monete correnti. Le
argomentazioni di coloro che pensano che la Borsa Petrolifera di
Teheran potrebbe funzionare da casus belli, il grilletto schiacciato da
Washington verso la strada del potenziale annichilimento termonucleare
dell’Iran, sembrano basarsi sull’affermazione che commerciando in modo
aperto il petrolio con altre nazioni o altri acquirenti in Euro,
Teheran potrebbe innescare una catena di eventi, per cui, nazione dopo
nazione, acquirente dopo acquirente, ci si allineerebbe a transizioni
di petrolio non più in dollari USA ma in Euro. Cosa che, a sua volta,
secondo queste argomentazioni, provocherebbe una vendita, dettata da
panico svalutativo, del dollaro sul mercato dei cambi con l’estero nel
mondo e un collasso del ruolo del dollaro come moneta corrente di
riserva, una delle “colonne dell’Impero”. Basta! Il Secolo Americano
dovrebbe fare una brutta fine per l’attacco della Borsa Petrolifera di
Teheran…La realtà è un po’ più differente.

Alcune fondamentali considerazioni

Queste argomentazioni non riescono ad essere convincenti per un buon 
numero di ragioni. In primis, nel caso di alcuni dei documenti teorici 
sulla Borsa Petrolifera, le loro congetture si basano sulla non 
comprensione del processo, che ho già descritto nel mio libro, A 
Century of War – Un secolo di guerra, che riguarda la creazione nel 
1974 del “riciclaggio di petroldollari” sull’onda dell’orchestrato 
aumento del prezzo del petrolio del 400% da parte dell’OPEC, un 
processo che aveva visto profondamente coinvolto l’allora Segretario di 
Stato USA Henry Kissinger. (n.d.tr.: Per petroldollari si intende l’
insieme dei dollari ricavati dalla vendita del petrolio, depositati 
generalmente nelle banche estere) 
Il dollaro, allora, non divenne un “petroldollaro”, sebbene Kissinger 
parlasse di un processo di “riciclaggio di petroldollari”. Anziché 
quello a cui faceva riferimento, si trattava dell’inizio di una nuova 
fase dell’egemonia globale USA, nella quale i proventi dei paesi 
petroliferi OPEC esportati come petroldollari venivano riciclati nelle 
mani delle più importanti banche di     New York e di Londra e rimessi 
in gioco sotto forma di prestiti in dollari ai paesi in deficit di 
petrolio come il Brasile o l’Argentina, creando quella che presto 
sarebbe stata conosciuta come Crisi del Debito Latino-Americano.   
A quel tempo, il dollaro veniva considerato come moneta corrente di 
riferimento, fino all’agosto 1971, quando il Presidente Richard Nixon 
per primo metteva fine al Trattato di Bretton Woods e non accettava di 
controbilanciare i dollari USA tenuti dalle banche centrali estere in 
oro. Il dollaro fluttuava rispetto alle altre maggiori monete correnti, 
deprezzandosi più o meno, fino a che venne rinvigorito dal turbo 
cambiamento dello shock dei prezzi petroliferi del 1973-4.  
Quello che lo shock petrolifero del 1973 ottenne per il dollaro in 
deprezzamento, è stata una repentina iniezione della domanda globale di 
dollari da parte delle nazioni messe a confronto con i prezzi più alti 
del 400% per le importazioni di petrolio. Allora, per accordi 
postbellici e convenienza, quando il dollaro veniva considerato come l’
unica moneta corrente di riserva in tutto il mondo oltre all’oro, i 
prezzi del petrolio venivano determinati in dollari da tutti i paesi  
OPEC, come esigenza pratica.  
Con l’aumento dei prezzi del 400%, nazioni come la Francia, la 
Germania, il Giappone e gli altri importatori improvvisamente trovarono 
motivo di cercare di comprare il loro petrolio in cambio delle loro 
valute, Franco Francese, Marco Tedesco e lo Yen Giapponese, in modo da 
abbassare la pressione sul rapido esaurimento delle loro riserve in 
dollari di scambio.                    
Il Tesoro degli Stati Uniti e il Pentagono si assicurarono che ciò non 
accadesse, in parte attraverso azioni diplomatiche segrete di 
Kissinger, con minacce prepotenti e un esorbitante accordo militare 
degli USA con il produttore chiave OPEC, l’Arabia Saudita. È utile 
ricordare che l’ultimo Scià di Persia (Iran) era considerato a 
Washington come un vassallo di Kissinger.
Il punto non consisteva nel fatto che il dollaro diventasse una 
“petrol” valuta. Il punto era che lo status di riserva del dollaro, ora 
valuta cartacea, era sostenuto dall’aumento del 400% della domanda 
mondiale di dollari per comprare petrolio. Ma questa è stata solo una 
parte della vicenda del dollaro. Nel 1979, in seguito all’ascesa al 
potere dell’ Ayatollah Khomeini in Iran, i prezzi del petrolio 
sfondarono il tetto di aumento per due volte in sei anni. (n.d.tr.: il 
prezzo del petrolio passò dai 2,64 dollari al barile del 1972 agli 
11,17 dollari del 1974, fino a raggiungere i 35,10 dollari nel 1981. 
Nel 1986 il prezzo del petrolio crollò a 12,52 dollari al barile. Nei 
primi anni Ottanta alcuni dei paesi membri OPEC avevano iniziato a 
mettere in discussione le quote assegnate e l’OPEC non è riuscita più a 
mantenere il necessario livello di cooperazione). Ora, paradossalmente, 
nel giro di un anno, il dollaro iniziava una precipitosa libera caduta, 
non un aumento. Il dollaro non era un “petroldollaro”.   
Infatti, i detentori stranieri di dollari cominciarono a disfarsi dei 
loro dollari come protesta della politica estera dell’Amministrazione 
di Jimmy Carter. Per affrontare la crisi del dollaro, nel 1979 Carter 
fu indotto a mettere alla testa della Federal Reserve Paul Volcker. 
Nell’ottobre 1979 Volcker forniva al dollaro un altro turbocompressore, 
permettendo ai tassi di interesse negli USA di aumentare di qualcosa 
come del 300% nel giro di settimane, di ben oltre il 20%. Di 
conseguenza, questo costrinse un rialzo alle stelle dei tassi di 
interesse globali, un rialzo del costo del denaro, scatenando una 
recessione globale, una disoccupazione massiccia e la miseria. Dunque, 
questo “salvò” il dollaro come valuta di riserva. Il dollaro non era un 
“petroldollaro”. Era la valuta di riferimento della più grande 
Superpotenza, una superpotenza determinata a mettere in atto tutto quel 
che è necessario per rimanere tale! 


L’ F-16, garanzia del 
dollaro                                                                                                 


Dal 1979, l’instaurarsi del potere USA da Wall Street a Washington ha
conservato lo status del dollaro come valuta corrente di riserva
incontestata nel mondo. Comunque, il suo ruolo non è puramente ed
unicamente economico. Lo status di valuta di riserva è un attributo
aggiuntivo del potere globale, della determinazione degli Stati Uniti
di dominare le altre nazioni e i processi economici mondiali. Gli USA
non hanno ricevuto lo status del dollaro come valuta di riserva
attraverso un voto democraticamente espresso dalle banche centrali
mondiali, nemmeno l’Impero Britannico nel 19.esimo secolo. Per questo
hanno combattuto delle guerre!
Per questa ragione, lo status del dollaro come moneta di riserva di
riferimento dipende dallo status degli USA come superpotenza militare
incontestata nel mondo. In buona sostanza, dall’agosto 1971 il dollaro
non è più sostenuto dall’oro. Invece, è sostenuto dagli aerei F-16 e
dai carri da battaglia MI Abrams, che operano in qualcosa come 130 basi
Statunitensi nel mondo, che difendono la libertà e…il dollaro.

L’ Euro, una sfida?

Perché l’Euro lanci la sfida al ruolo del dollaro USA come valuta di 
riserva, sarebbe necessario che in area Euro avvenisse di fatto una 
rivoluzione nella politica.                        
In primo luogo, la Banca Centrale Europea, l’ente istituzionalizzato, 
non democratico, creato dal Trattato di Maastricht, tale da conservare 
il potere delle banche creditrici nell’esigere e raccogliere i loro 
debiti, dovrebbe cedere potere ai legislatori eletti. Inoltre 
dovrebbero essere messe in funzione le macchine per stampare gli Euro e 
stampare Euro. Questo, perché le dimensioni attuali del mercato dei 
titoli governativi di Euroland pubblicamente scambiati è ancora 
minuscolo rispetto allo smisurato mercato dei buoni del Tesoro USA.  
Come spiega bene Michael Hudson nel suo brillante e troppo poco 
studiato lavoro, “Super Imperialismo”, il genio perverso dell’egemonia 
globale del dollaro USA è stato quello di realizzare, nei mesi 
successivi all’agosto 1971, che la potenza USA, sotto un sistema di 
dollaro come valuta di riferimento, era direttamente collegata alla 
creazione del debito del dollaro. Avevano realizzato che il debito e il 
deficit della bilancia commerciale USA non era il “problema”. Era la 
“soluzione”.   
Gli USA potevano stampare quantità di dollari senza limiti per pagare 
le importazioni dall’estero di Toyota, Honda, BMW o di altri beni, in 
un sistema in cui i partners commerciali degli USA, possedendo dollari 
cartacei ricevuti in cambio delle loro esportazioni, temevano il 
collasso del dollaro abbastanza da continuare a sostenere questa 
valuta, acquistando obbligazioni e titoli di stato del Tesoro USA. 
Effettivamente, nei trent’anni dall’abbandono dello scambio oro contro 
dollari cartacei, le riserve in dollari Usa hanno raggiunto la crescita 
enorme del 2.500% e oggi aumentano alla velocità a doppia cifra.  
Questo sistema è continuato incontestato per tutti gli anni Ottanta e 
Novanta. La politica USA consisteva nella gestione delle crisi, 
accoppiata alla proiezione esperta e coordinata della potenza militare 
USA. Il Giappone, negli anni Ottanta, timoroso di contrastare il suo 
procuratore USA dell’ombrello nucleare, comprava senza limiti volumi di 
debito pubblico del Tesoro statunitense. Si trattava di una decisione 
politica, non di un investimento.  
La sola potenziale sfida al ruolo di valuta di riserva del dollaro è 
stata lanciata negli ultimi anni Novanta con la decisione dell’Unione 
Europea di creare un’unica moneta corrente, l’Euro, che doveva essere 
amministrata da una sola Banca Centrale Europea (ECB). L’Europa 
appariva emergere come una voce politica unificata, indipendente, di 
quello che Chirac allora definiva come un mondo multi-polare. Queste 
illusioni multi-polari si dissolvevano con la decisione, non 
pubblicizzata, della ECB e delle banche centrali nazionali di non 
mettere in un fondo comune le loro riserve auree a garanzia del nuovo 
Euro. Questa decisione di non usare l’oro come garanzia cadeva in mezzo 
ad una accesa controversia sull’oro dei Nazisti e si adducevano ragioni 
sugli abusi del tempo di guerra commessi dalla Germania, dalla 
Svizzera, dalla Francia e da altre nazioni Europee. 
Dagli sconvolgimenti dell’11 settembre 2001, e in seguito alla 
dichiarazione degli USA di una Guerra Totale al Terrorismo, compresa la 
decisione unilaterale di ignorare le Nazioni Unite e la comunità delle 
nazioni, e di scatenare una guerra contro un Iraq privo di difese, 
pochi Paesi hanno solo osato di sfidare l’egemonia del 
dollaro.                                                          
Oggi la spesa per la difesa di tutte le nazioni dell’Euro messe 
insieme impallidisce rispetto al totale della spesa attuale degli USA 
prevista dal bilancio e fuori bilancio.  Le spese militari degli USA 
raggiungeranno, secondo dati ufficiali, un livello strabiliante di 663 
miliardi di dollari nell’anno fiscale 2007. La spesa combinata dell’
Unione Europea arriva ad un totale di 75 miliardi di dollari, con la 
tendenza ad abbassarsi, in parte dovuta alle pressioni della ECB sui 
governi europei riguardanti il deficit, secondo i parametri imposti da 
Maastricht.  
Così oggi, almeno per il presente, non vi sono segnali che i detentori 
di dollari, Giapponesi, Europei o altri, si stiano impegnando nella 
liquidazione della risorsa dollaro. Perfino la Cina, scontenta com’è 
per la politica arrogante di Washington, sembra riluttante ad eccitare 
la furia del dragone Americano.  


Le origini della Borsa Petrolifera

L’idea di creare una nuova piattaforma negoziale in Iran per 
commerciare il petrolio, e per formare un nuovo punto di riferimento 
delle transazioni del greggio, apparentemente ha avuto origine con l’ex 
Direttore della Borsa Petrolifera Internazionale di Londra, Chris Cook. 
In un articolo del 21 gennaio in Asia Times, Cook forniva le 
informazioni necessarie a capire la questione. Cook descriveva il 
contenuto di una lettera che aveva scritto nel 2001 al Governatore 
della Banca Centrale Iraniana, Dr Mohsen Nourbakhsh, in cui forniva le 
seguenti raccomandazioni: 
“In questa lettera facevo notare che la struttura dei mercati 
petroliferi nel mondo favoriva  in modo massiccio gli operatori 
intermediari, e in particolar modo le banche con i loro investimenti 
finanziari, e che sia i consumatori che i produttori, come l’Iran, 
erano penalizzati da tutto questo. Quindi, raccomandavo che l’Iran 
considerasse come argomento urgente la creazione di una Borsa sull’
Energia nel Medio Oriente, e specialmente un nuovo prezzo del petrolio 
come riferimento nel Golfo 
Persico.                                                                      
Perciò, è stato con divertimento ironico che ho visto mitizzare e 
diffondere largamente su Internet che la genesi di questo progetto di 
“Borsa Iraniana” aveva come obiettivo di abbattere il dollaro, fissando 
il prezzo del petrolio in euro.   
Chiunque ha familiarità con l’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi 
Esportatori di Petrolio, saprà che il valore nominale delle vendite di 
petrolio in valute correnti diverse dal dollaro non è una novità, e 
chiunque abbia familiarità con le questioni economiche vi potrà 
informare che il valore nominale delle vendite di petrolio è meramente 
una questione di affari: qualsiasi sia l’affare che produce attività, 
(o, nel caso degli Stati Uniti, passività), comunque questi profitti 
vengono poi investiti.”  
Una sfida totale al dominio del dollaro come valuta corrente di 
riserva per la Banca Centrale Mondiale comporta una dichiarazione de 
facto di guerra all’odierno “spettro del dominio totale” degli Stati 
Uniti. I potenti membri del Consiglio di Amministrazione della Banca 
Centrale Europea si rendono ben conto di questo. I capi di stato di 
ogni Paese Europeo sanno tutto questo. La dirigenza Cinese, così come 
quella Giapponese e quella Indiana, conoscono tutto questo. E questo 
vale anche per Vladimir Putin. 
Finché non si coagula qualche combinazione di queste potenze Euro-
asiatiche in una sfida coesiva al dominio sfrenato degli USA come unica 
superpotenza, non vi sarà Euro, o Yen, o anche lo Yuan Cinese che potrà 
portare la sfida solitaria al ruolo del dollaro. La questione è di 
enorme importanza, come è cruciale comprendere le vere dinamiche che 
possono portare oggi il mondo sull’orlo di una possibile catastrofe 
nucleare.  
Come piccola nota finale, un caro amico di Oslo mi ha fatto pervenire 
di recente un articolo di stampa Norvegese. Alla fine di dicembre, Sven 
Arild Andersen, Direttore della Borsa di Oslo, dichiarava che questa 
Borsa doveva assumere maggior peso, dipendendo attualmente dalla Borsa 
petrolifera di Londra, che scambia petrolio in dollari. Andersen 
affermava che la Norvegia, un importante produttore di greggio, 
vendendo la maggior parte del suo petrolio ai Paesi europei dell’Unione 
Europea, avrebbe dovuto impostare una sua Borsa petrolifera e 
commerciare il suo petrolio in Euro. La Norvegia, membro della NATO, 
diventerà… il prossimo obiettivo della collera del Pentagono? 
* F. William Engdahl è un collaboratore di Global Research e autore 
del libro ‘A Century of War: Anglo-American Oil Politics and the New 
World Order - Un secolo di guerra: la politica petrolifera Anglo-
Americana e il Nuovo Ordine Mondiale’ Pluto Press Ltd. 
Lo si può contattare attraverso il suo sito web, www.engdahl.
oilgeopolitics.net. 



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© Copyright F. William Engdahl, GlobalResearch.ca, 2006

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