[Lecce-sf] le voci della pace

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Aihe: [Lecce-sf] le voci della pace
Non si sono spente le voci della pace
            di Paolo Beni* Raffaella Bolini**


            Tre anni fa centodieci milioni di persone invasero le strade del 
            mondo contro la minaccia di una guerra imminente. Gli Usa e i loro 
            alleati, incuranti della più grande manifestazione di tutti i tempi, 
            iniziarono ugualmente la guerra all'Iraq. Dopo poche settimane 
            dissero di averla vinta in nome della democrazia, che ben valeva il 
            prezzo di migliaia di vite e di città devastate.
            Tutti sappiamo che quella guerra non è mai finita. Il castello di 
            menzogne con cui l'avevano giustificata è crollato, le bombe non 
            hanno portato agli iracheni la libertà ma solo distruzione e 
            l'umiliazione dell'occupazione. Oggi l'Iraq è sull'orlo della guerra 
            civile, in balia della violenza e del terrorismo, a cui continua a 
            versare il suo tributo di sangue.
            La guerra produce frutti avvelenati, il Medio Oriente è una 
            polveriera, la questione palestinese sembra non avere vie d'uscita, 
            i conflitti regionali si fanno più minacciosi, il mondo è più 
            insicuro.
            La vicenda irachena è lo specchio del fallimento della strategia di 
            Bush, del baratro in cui la sua politica di dominio sta trascinando 
            il pianeta. La guerra è di nuovo arbitro della scena mondiale, con 
            il diritto internazionale piegato agli interessi di una sola potenza 
            e la politica che abdica al proprio ruolo in favore dei poteri del 
            liberismo globale.
            Soffiano venti di guerra. Come non vedere, nella campagna che si sta 
            scatenando contro l'Iran, analogie con l'armamentario 
            propagandistico che fu messo in atto per l'attacco all'Iraq? E quale 
            credibilità può avere la denuncia della minaccia nucleare iraniana 
            da parte di potenze armate di nucleare fino ai denti?
            Non abbiamo dubbi: ci sono ancora mille buoni motivi per manifestare 
            contro la guerra, per chiedere la fine dell'occupazione in Iraq e 
            una nuova politica internazionale basata sul disarmo e 
            sull'iniziativa diplomatica per la pace.
            Tanto più che c'è chi sta soffiando sul fuoco dei fondamentalismi: 
            vignette e magliette blasfeme o ambasciate in fiamme sono la 
            messinscena di una guerra delle identità costruita ad arte per 
            fornire argomenti a quella delle armi. 
            Il fanatismo dilaga nell'occidente cristiano e nel mondo islamico, 
            irrigiditi nella loro chiusura identitaria e incapaci di dialogare 
            perché manca lo spazio democratico in cui relazionarsi e 
            riconoscersi. 
            Ecco allora che le parole chiave della convivenza cambiano 
            significato: la giustizia si riduce alla ragione del più forte, la 
            democrazia diventa l'arma che una parte del mondo scaglia contro 
            l'altra, la libertà di alcuni il pretesto per negare i diritti di 
            altri, sicurezza e diritti sociali si separano irreparabilmente. 
            È qui che la logica di guerra diventa pervasiva, la società 
            interiorizza la paura, rinuncia ai propri diritti e nega quelli 
            degli altri, accetta la logica della violenza e del terrore. È qui 
            che passa l'idea dello scontro di civiltà, l'inganno di cui si 
            alimentano guerra e terrorismo, alleati per tenere in pugno 
            un'organizzazione del mondo basata sul dominio e lo sfruttamento. 
            Contro questo stato di cose, non c'è che l'alternativa radicale 
            della pace e della nonviolenza, dei diritti e della giustizia.
            Il 18 marzo, terzo anniversario dell'attacco all'Iraq, sarà in tutto 
            il mondo una giornata contro le guerre. In Italia, alla vigilia 
            delle elezioni, servirà per ribadire il no ad un governo che ci ha 
            trascinati in guerra e ci sta spingendo nello scontro di civiltà. 
            Servirà anche per ricordare a chi governerà domani che l'Italia deve 
            lasciare l'Iraq ed intraprendere una politica estera alternativa, di 
            pace. 
            Il ripudio della guerra è vivo nella coscienza del paese, ma ha 
            bisogno del conforto di scelte politiche conseguenti, e del sostegno 
            di una nuova cultura di pace. Per questo, a partire dalla giornata 
            promossa venerdì scorso dalla Tavola della Pace, centinaia di 
            iniziative di denuncia, informazione, discussione si svolgeranno in 
            tutto il paese fino al 18 marzo quando a Roma, oltre al corteo nel 
            centro cittadino, ci sarà l'incontro internazionale dei soldati 
            contro la guerra ed il concerto dei ragazzi palestinesi dei campi 
            profughi.
            Il 18 marzo il popolo della pace tornerà a far sentire le sue mille 
            voci diverse. In quel giorno non ci sarà spazio per chi predica 
            l'intolleranza o la violenza, pratiche che non hanno niente a che 
            fare coi movimenti pacifisti e altermondialisti in Italia e nel 
            mondo. 
            Una giornata di manifestazioni pacifiche e serene sarà anche la 
            risposta migliore a chi - da fronti opposti - sta cercando in questi 
            giorni di infangare i valori e la credibilità del movimento per un 
            mondo migliore.
            *presidente nazionale Arci
            **responsabile attività 
            internazionali Arci