Autore: ugo Data: To: forum sociale di genova Oggetto: [NuovoLab] Il problema è davvero Caruso?
Da "il manifesto"
Se a Milano, città che prima di aver dato i natali a Berlusconi è stata (e
resta) medaglia d'oro della Resistenza, sfila un corteo di camicie nere che
invocano il Duce, la notizia è che in Italia c'è una radice fascista che
non si estingue malgrado i lavacri di An e le visite di Gianfranco Fini al
museo della Shoah di Gerusalemme. Se a quel corteo se ne contrappone uno
di centri sociali minori ed estremi che devasta corso Buenos Aires, brucia
cinque macchine e un motorino, rompe qualche vetrina, lancia petardi, attacca
la polizia, semina sgomento e suscita reazioni nella folla, la notizia ovviamente
cambia e raddoppia. Ma non sparisce, o almeno non dovrebbe. Da sabato sera
in avanti è accaduto invece che la notizia numero due s'è mangiata la numero
uno. Il problema non sono i fascisti della Fiamma che sfilano, sono gli antagonisti
rossi che vandalizzano la città. I fascisti erano legalmente autorizzati,
i rossi no. I fascisti non sono violenti, i rossi sì. I fascisti sono rispettabili
alleati nelle liste elettorali del centrodestra, convenuti a Milano, parola
del premier, per «un civile raduno» dentro le regole de-mocratiche, i rossi
sono attentatori della democrazia che il centrosinistra infiltra nelle sue
liste per il tramite di Francesco Caruso e Daniele Farina. Conclusione: l'onere
della prova della lealtà democratica spetta al centrosinistra, che deve cacciare
Caruso dalle liste. Parola, stavolta, di Casini, Fini e Pisanu. Il tutto,
va da sé, sormontato dal fantasma del ritorno degli anni Settanta.
Negli anni Settanta, quando le provocazioni fasciste e gli scontri fra i
fascisti e i «rossi» erano pane quotidiano a Milano, a Roma e per ogni dove,
(a campagna per la messa fuori legge del Msi fu una campagna caratterizzante
dell'allora nuova sinistra (sfogliare l'archivio del manifesto per verificare).
C'era una proposta di legge di iniziativa popolare, che altro non voleva
fare che applicare la Costituzione antifascista nel punto in cui vieta la
ricostituzione, anche sotto altre forme, del dissolto partito fascista; ma
l'applicazione della Costituzione in Italia non è mai stata, come si sa,
cosa facile né automatica. Non ci si riuscì. Con l'assassinio di Moro, anno
1978, il terrorismo, e poi la legislazione d'emergenza, cambiarono l'ordine
del giorno e del discorso; la questione fascista si inabissò, mentre il revisionismo
storico lavorava per «sdrammatizzare» il ventennio del Duce. Poi venne 1?89
e l'ordine del discorso cambiò ancora: crollato il Muro, fu la volta della
parificazione fra i due totalitarismi, fascista e comunista, e della vittoria
su entrambi dell'ordine democratico. Sotto il quale, lo si vede oggi, torna
a fiorire la teoria degli opposti estremismi. Che come negli anni Settanta
in primo luogo rende simmetrico quello che simmetrico non è, cancellando
la pregiudiziale antifascista della Costituzione; in secondo luogo, si porta
appresso una pratica di privilegio di un estremismo, quello nero e rispettabile,
sull'altro, quello rosso e sovversivo.
Nel frattempo, di decennio in decennio, la radice fascista cambia maschera
ma non si estingue. Non stupisce, perché il fascismo fa parte della storia
italiana come di quella tedesca e di quella spagnola, e la innerva. Quello
che stupisce è che mentre in Germania il dibattito sull'elaborazione della
colpa l'ha devi-tavilizzata, méntre in Spagna c'è un primo ministro socialista
che della discontinuità con il franchismo ha fatto un punto dirimente del
proprio programma, in Italia l'Msi revisionato e ripulito è forza di governo
dal '94 (e la stagione del bipolarismo è stata possibile grazie a questo),
la Fiamma è un rispettabile alleato della Casa delle libertà e Alessandra
Mussolini va impunita in televisione a sbraitare «meglio fascisti che froci».
Continuiamo pure a farci dire che il problema è la candidatura di Francesco
Caruso nelle liste di Rifondazione. Sommessamente suggeriamo che forse sta
da un'altra parte.