POLITICHE DEL LAVORO Beni comuni e nuovo welfare ***
Uno spettro si aggira per l'Italia, lo spettro della povertà e della
precarietà. L'indagine sui redditi delle famiglie italiane della Banca
d'Italia dice che il 10% delle famiglie più ricche detiene il 27%
della ricchezza, il 10% più povero solo il 2%. Nel periodo 2002-2004 i
redditi dei lavoratori dipendenti si sono ridotti del 2% mentre quelli
dei lavoratori indipendenti (soprattutto imprenditori e liberi
professionisti) sono aumentati dell'11%. I dati del rapporto Istat
2005 sulla povertà in Italia confermano questi trend: quasi il 10%
delle famiglie è sotto la soglia di povertà e oltre il 13% dei
lavoratori/trici con un'attività lavorativa continuativa non raggiunge
un reddito superiore alla soglia di povertà relativa. Negli ultimi
dieci anni, il grado di precarizzazione è aumentato sino ad
interessare oggi più di un terzo dell'intera forza lavoro italiana,
con punte di oltre il 60-65% per coloro che hanno meno di 35 anni.
Ciononostante, parlare di distribuzione del reddito oggi è come
bestemmiare, e una riforma del welfare come strumento per combattere
l'ineguaglianza sociale non fa parte dell'agenda politica.
Dall'interno del vasto panorama della sinistra - da quella radicale a
quella riformista - due sono le alternative che ci vengono offerte: o
gli interventi contro la precarietà che auspicano il ritorno a forme
contrattuali subordinate di stampo fordista (Fiom, Prc, la proposta di
legge popolare di
http://www.pecariarestanca.it<
https://www3.autistici.org/horde3/services/go.php?url=http%3A%2F%2Fwww.pecariarestanca.it>);
o, sulla scia del
pacchetto Treu, l'incremento della flessibilità come unico mezzo per
garantire forme di occupabilità, anche tramite la reintroduzione
aggiornata di strumenti vecchi come le gabbie salariali (Ichino e i
liberal-democratici). Da questo punto di vista, appare drammaticamente
significativo il manifesto dei Ds «oggi precarietà, domani lavoro».
Sul tema della povertà, l'unica proposta finora presentata rimanda
all'esperimento della Legge Turco di fine anni `90, finalizzata
all'introduzione di un reddito minimo garantito, non universale,
condizionato, insomma una forma assistenziale momentanea per i periodi
di non lavoro. Lo stesso programma dell'Unione, come pure i tre volumi
editi dalla Fondazione Di Vittorio, presuppongono interventi
compatibili con la filosofia del libero mercato, vincolato in parte da
un intervento di regolamentazione pubblica. Il ripensamento della
politica fiscale e del welfare appare una chimera (unica eccezione, le
proposte di riforma degli ammortizzatori sociali).
Riteniamo invece - anche sulla base delle mobilitazioni sul lavoro
precario promosse dalle Mayday - che sia necessario voltare pagina, e
porre al centro della proposta politica una nuova idea di welfare
congruente con le nuove leve dell'accumulazione capitalistica che
caratterizza la fine del paradigma fordista-keynesiano. Il welfare
state keynesiano è stato il frutto di un compromesso fra la necessità
del capitalismo di garantire stabilità lavorativa e di consumo per la
valorizzazione della produzione di massa e le rivendicazioni sociali
volte a garantire condizioni di vita più dignitose e umane. Anche oggi
abbiamo bisogno di condizioni di vita più dignitose ed umane, ma le
caratteristiche dell'accumulazione capitalistica sono mutate: il
passaggio al il capitalismo cognitivo impone nuove rivendicazioni
economiche e sociali.
Il processo produttivo è caratterizzato sempre più da elementi
immateriali legati alla capacità intellettiva e cognitiva. Prova ne
sono la terziarizzazione dell'economia, le nuove modalità
organizzative e strategiche adottate dalle imprese, basate su forti
processi di apprendimento e su nuove di economie di scala, la
diffusione delle nuove tipologie contrattuali: non v'è differenza
sostanziale tra occupazione e disoccupazione, esiste solo il lavoro
intermittente, più o meno precarizzato o specializzato. Si potrebbe
sostenere che la disoccupazione è lavoro non remunerato e che il
lavoro è a sua volta disoccupazione remunerata. L'antica distinzione
tra «lavoro» e «non lavoro» si risolve in quella tra «vita retribuita»
e «vita non retribuita».
Il welfare state novecentesco non è più in grado di creare le
condizioni per entrare nel mercato del lavoro, né può garantire il
diritto al lavoro. Un welfare adeguato alle domande del presente deve
creare le condizioni perché ogni individuo residente in un territorio
abbia la garanzia di un reddito stabile e continuativo che gli
consenta lo sviluppo delle sue capacità cognitive-creative (basic
income) e gli assicuri il diritto di scelta del lavoro (ben diverso e
più dirompente del diritto al lavoro).
Occorre anche prendere atto che la produzione e l'attività lavorativa
non avvengono più in un luogo solo (fabbrica, ufficio, casa), ma sono
disseminate in un territorio, fisico e virtuale. Attività produttiva e
spazio tendono a coincidere; l'attività lavorativa è sempre più
attività di relazione e interconnessione reticolare; sfuma anche la
separazione tra produzione e consumo, produzione e riproduzione. Il
welfare, per garantire come perno centrale della sua azione un reddito
dignitoso incondizionato, deve riferirsi a un duplice livello
spaziale: quello sopranazionale (nel caso nostro, l'Europa in primo
luogo), si veda il rapporto Supiot) e quello locale.
Infine. Lo sviluppo del paradigma cognitivo di accumulazione tende
sempre più a basarsi sullo sfruttamento di beni comuni, che sono allo
stesso tempo individuali e sociali, perché frutto dell'agire sociale
umano: i beni primari della terra (acqua, energia), e quelli
(conoscenza, comunicazioni, informazioni) che risultano dalle
interconnessioni sociali su cui si basa la cooperazione sociale
produttiva, e sulla cui espropriazione da parte dei poteri economici
privati si basa altresì il principale dispositivo di creazione di
ricchezza. La dicotomia privato - pubblico appare superata a vantaggio
del concetto di proprietà comune. La preservazione dei beni comuni e
la distribuzione sociale dei guadagni che il loro sfruttamento
comporta sono il nuovo obiettivo di un possibile welfare adeguato
all'attuale struttura produttiva. E' questa la base da cui partire
anche per una nuova politica fiscale.
E' necessario fare del bene comune una categoria politica basilare per
costruire una logica istituzionale adeguata a una nuova società. A
poche settimane dalle elezioni, siamo convinti che sia urgente e
necessario affrontare questi temi in un confronto aperto tra le
diverse anime della sinistra.
*** Beppe Allegri, Gabriele Ballarino, Papi Bronzini, Alex Foti,
Stefano Lucarelli, Andrea Fumagalli, Massimo Mazza, Cristina Morini,
Filippo Pretolani, Anna Simone e la lista Neurogreen
[][][][]][
NEUROGREEN
ecologie sociali, strategie radicali
negli anni zerozero della catastrofe
http://liste.rekombinant.org/wws/subrequest/neurogreen<
https://www3.autistici.org/horde3/services/go.php?url=http%3A%2F%2Fliste.rekombinant.org%2Fwws%2Fsubrequest%2Fneurogreen>
http://www.neurogreen.org/d<
https://www3.autistici.org/horde3/services/go.php?url=http%3A%2F%2Fwww.neurogreen.org%2Fd>