[Badgirlz-list] stupri umanitari

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Szerző: Sealz
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http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=16&idart=4818

Onu, le missioni della vergogna

Giro di vite contro gli abusi sessuali dei caschi blu. Basterà?

Quando, due anni fa, i primi casi di abusi sessuali dei caschi blu in Congo
vennero alla luce, al Palazzo di Vetro non si sarebbero certo aspettati che
quanto emerso fosse solo la punta dell’iceberg. Da quel giorno le missioni
di pace nel mondo sono nell’occhio del ciclone, a causa delle 259 accuse di
stupro presentate contro il personale delle Nazioni Unite di mezzo mondo.
Finalmente, a New York hanno deciso di darsi una mossa.

Abusi diffusi. A lanciare l’allarme la scorsa settimana è stato Jean-Marie
Guehénno, capo delle operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite. A due
anni di distanza dalla scoperta dei primi casi, infatti, il fenomeno è lungi
dall’esser stato debellato ed è più diffuso di quanto previsto, avendo
investito i caschi blu delle missioni in Kosovo, Liberia, Sierra Leone,
Guinea, Congo e Burundi. Tra pochi mesi poi l’Onu sarà chiamata a prendere
dall’Unione Africana le consegne della missione di pace in Darfur, che conta
7 mila uomini, e al Palazzo di Vetro si sta tentando di non fare l’ennesima
magra figura. Anche perché da New York bisogna rendere conto ai Paesi che
ogni anno stanziano i 5 miliardi di dollari necessari a mantenere uno staff
di 85 mila dipendenti in 18 missioni di pace in tutto il mondo.

Il caso Monuc. Nell’occhio del ciclone è soprattutto la Monuc, la missione
Onu in Congo. In un paese martoriato da cinque anni di guerra civile infatti
i caschi blu hanno dato il peggio di loro, secondo le testimonianze delle
presunte vittime. Si va dal “semplice” favoreggiamento della prostituzione,
fino alla pedofilia: sembra fosse piuttosto diffusa la pratica di
costringere bambini affamati ad avere rapporti sessuali con i caschi blu, in
cambio di razioni alimentari supplementari. Pratiche aberranti, aggravate
anche dal fatto che vengono compiute su popolazioni già provate da anni di
guerre e violenze. Ma come risolvere un problema che mina alla base la
credibilità dell’Onu nel mondo?

Cultura sbagliata. Al Palazzo di Vetro è stato ideato un piano che dovrebbe
portare alla fine totale degli abusi in non meno di tre anni. Guehénno ha
posto l’accento soprattutto sulla necessità di estirpare la “cultura della
minimizzazione”, che per troppo tempo ha ritenuto quelli compiuti dai
peacekeepers peccati veniali. Il piano prevede un migliore addestramento
delle truppe, un programma di risarcimento e recupero per le vittime degli
abusi, oltre che una politica di “non fraternizzazione” con i locali, come
quella applicata in Congo dopo la scoperta degli abusi.

Contraddizioni. Saranno misure sufficienti? Il problema, indipendentemente
dalla bontà di queste riforme, è che a monte non risolvono il problema
fondamentale: i caschi blu operano infatti in situazioni di emergenza, in
territori che l’autorità statale non riesce a controllare. Questo fa sì che
le missioni Onu siano autoreferenziali, perché non hanno nessuno che possa
controllarne l’operato. Un problema aggravato dal fatto che solo il
personale civile è sottoposto al controllo delle Nazioni Unite. I
contingenti militari rispondono direttamente al loro paese d’origine. Ora,
negli anni passati i caschi blu sono stati più volte “graziati” per la
scarsa volontà politica dei loro stati di risolvere il problema, tanto che
due anni fa fece scalpore (in positivo) la decisione del Marocco di
processare sei peacekeepers, impiegati in Congo, per crimini sessuali.

Vantaggi economici. Un altro problema da tenere a mente è di natura
principalmente economica: l’arrivo dei caschi blu nelle zone di guerra porta
soldi e crea un minimo di circolo virtuoso per le spesso disastrate economie
locali. Fiorisce così la prostituzione, forse la prima “attività economica”
che segue l’arrivo dei peacekeepers e che non può certo venire estirpata con
qualche circolare di protesta redatta da New York. Come risolvere queste
contraddizioni? PeaceReporter ha più volte provato a contattare l’ufficio
stampa delle Nazioni Unite, ma invano. Sarà per la prossima volta, sperando
che non sia troppo tardi.

Matteo Fagotto

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